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La sfida tra Iran e Arabia Saudita in Medio Oriente

Il Medio Oriente sta attraversando una fase di profonda crisi interna che vede tra i principali attori Iran e Arabia Saudita, impegnate in una competizione geopolitica capace di trasformare profondamente i cardini del futuro Medio Oriente

IL CONTESTO REGIONALE – Lo scontro geopolitico in atto in Medio Oriente riflette la competizione geostrategica tra la Repubblica Islamica dell’Iran e la petromonarchia saudita del Golfo. Una lotta per il dominio politico ed economico regionale che ha coinvolto aspetti puramente ideologici, inserendosi nelle tensioni mediorientali e contribuendo a radicalizzare le parti coinvolte. È così che la sfida geopolitica tra Riyad e Teheran ha trovato il suo campo di battaglia in tutta la regione, dove le due potenze, secondo quanto sostiene il politologo francese Oliver Roy, stanno combattendo una “guerra per procura”. Mentre vengono ridefiniti i confini di una zona soggetta a continui scontri e rappresaglie, dove le milizie regolari irachene, i peshmerga curdi e le forze aeree della coalizione internazionale tentano di bloccare l’avanzata del fenomeno jihadista dello Stato Islamico (IS), Arabia Saudita e Iran si contendono un ruolo nevralgico ed egemonico regionale. Il loro confronto geopolitico, quindi, sfrutta pienamente le tensioni ideologico-religiose che hanno riportato all’attualità l’eterno scontro settario tra le due anime dell’islam: quella sciita e quella sunnita.

ALL’ORIGINE DELLA RIVALITA’ – Quando la dinastia dei Safavidi (XVI Secolo) impose lo sciismo come religione di stato in Persia (odierno Iran), era chiaro come essa volesse distinguersi dai vicini turchi e arabi, non solo rivendicando tradizioni millenarie linguistico-culturali, ma adottando la visione (elitaria, sciita) dell’islam. Bisognerà aspettare il 1979 perché questa profonda frattura religiosa diventi uno strumento di potere e di influenza geopolitica. Quando la rivoluzione iraniana divenne islamica e a Teheran si insediò la Repubblica degli ayatollah, Ruhollah Khomeini fece assumere allo sciismo aspetti militanti e teocratici e fu visto con preoccupante sospetto dai Paesi arabi limitrofi, in special modo, l’ Arabia Saudita. Rivendicando una supremazia religiosa in veste di “custode” dei luoghi sacri, Mecca e Medina, la casata degli al-Saud avviò una “controrivoluzione” di matrice sunnita per contenere le ambizioni iraniane; iniziarono in quegli anni i flussi di armi, combattenti e finanziamenti diretti ai gruppi sunniti estremisti che si “facevano le ossa” nei campi di addestramento dei mujaheddin afgani e che poi tornavano in Medio Oriente indottrinati e radicalizzati. L’obiettivo era quello di fomentare il fanatismo religioso anti-sciita e, dal punto di vista geopolitico, contenere l’ambizione di potenza iraniana. Riyad ha sempre brandito una visione puritana dell’Islam, legata ai precetti del wahabismo e della scuola giuridica hanbalita. L’atteggiamento spiccatamente anti-sciita, strumentalizzato in chiave anti-iraniano, ha quindi incentivato la formazione di gruppi salafiti estremisti, spesso violenti, che predicano un islam dogmatico e settario. I gruppi suddetti hanno radicalizzato ancor di più il confronto tra le due anime dell’Islam e, di conseguenza, hanno acuito le tensioni tra i due stati rivali che competono su questioni economiche, energetiche e di influenza politica.

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LE OSSESSIONI SAUDITE – La diffusione della rivoluzione islamica iraniana ha indotto la casa saudita ad un atteggiamento ostile e promotore del radicalismo interreligioso islamico,  una strategia il cui effetto, in Occidente, si è spesso sottostimato, e si è col tempo rivelato problematico al pari di altre minacce. L’aumento della polarizzazione settaria è stato usato per impedire all’Iran di influenzare l’Afghanistan negli anni Ottanta e i paesi del Golfo un decennio più tardi. L’intervento statunitense in Asia Centrale e in Iraq (2001-2003) ha però eliminato due ingombranti ostacoli e nemici di Teheran, rispettivamente l’emirato islamico dei Taliban a Kabul e la dittatura bahatista di Saddam Hussein a Baghdad. Intanto Riyad ha continuato a finanziare gruppi estremisti salafiti successivamente approdati in Siria all’ombra dell’opposizione sunnita.

IL PROGRAMMA NUCLEARE IRANIANO – A spaventare soprattutto i sauditi, vi è l’irrisolta questione sul dossier nucleare di Teheran, i cui colloqui sono ancora aperti ed entro la fine del mese dovrebbero approdare ad accordo decisivo e condiviso. Riyad teme tanto una normalizzazione dei rapporti tra il suo antagonista e gli Stati Uniti (già avvicinati nella lotta all’IS), quanto una maggiore influenza iraniana nel Golfo e nel Levante grazie allo strumento nucleare. Una posizione egemonica dell’Iran potrebbe quindi attrarre nella sua orbita tutti i satelliti regionali, da Damasco, al Bahrain a maggioranza sciita, fino alle regioni Orientali dell’Arabia, dove si trovano i principali giacimenti di petrolio.

IRAQ COME EPICENTRO DELLO SCONTRO – Le tensioni tra i due competitor regionali si sono riversate nella Siria e nell’Iraq settentrionali, un’area dove più ha attecchito la propaganda sunnita su popolazioni arabe emarginate tanto dagli alawiti siriani, quanto dalla politica settaria del Primo Ministro iracheno Nuri Al Maliki. L’Arabia Saudita non ha mai riconosciuto l’Iraq a guida sciita (da qui l’assenza di un’ambasciata a Baghdad) credendo che Al Maliki fosse semplicemente “uomo di Teheran”. In questo modo ha cercato di  alimentare il malcontento della popolazione arabo sunnita irachena finanziando i gruppi qaedisti e contrastare il Primo Ministro. Una strategia che ha avvicinato ulteriormente Baghdad a Teheran, polarizzando ulteriormente la situazione del Paese. Lo scontro per l’influenza nel paese continua ancora oggi, con l’Iran intenzionato a mantenere la sua influenza sul governo iracheno comunque vada il proseguimento della guerra e della contemporanea pacificazione del paese.

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UN NUOVO PROFILO DELL’IRAN? – L’Iran potrebbe comunque ora beneficiare in modo consistente dal cambiamento dell’ordine regionale. La minaccia jihadista sunnita dell’IS non solo ha rafforzato il regime di Damasco, un alleato strategico per Teheran, ma ha aperto la possibilità di un avvicinamento tra l’Iran e l’Occidente per combattere il nemico comune. Quest’ultimo infatti vede sempre più Tehran come un attore irrinunciabile nel dialogo mediorientale. Nonostante conservatori e ultraradicali, appoggiati dall’anziano rahbar (Guida Suprema) http://gty.im/83038205 , siano più ostili a normalizzare i rapporti con l’Occidente, il Presidente moderato Hassan Rohani (Giugno 2013) è subito tornato al tavolo dei negoziati per trovare un accordo preliminare sul nucleare, invertendo la marcia ostile e intransigente adottata dal suo predecessore e mostrando un Paese più disposto al confronto (forse in questo appoggiato dietro le quinte da Khamenei stesso, alla ricerca di un modo per spezzare l’isolamento del Paese). L’Iran potrebbe così guadagnare in legittimità internazionale e puntare nuovamente a quel ruolo di guida regionale che ha sempre cercato.

In conclusione – è bene considerare che la lotta tra sunniti e sciiti, valvola di sfogo delle tensioni tra Teheran e Riyad, oggi non assume più i caratteri storici di confronto ideologico, ma assume una dimensione principalmente politica, ad uso e consumo della politica estera di ciascun paese. Se da un lato è vero che la competizione tra Arabia Saudita e Iran ha radicalizzato il contesto mediorientale, questa risulta solo un effetto, e non una causa dell’attuale sfida regionale.

Giorgia Perletta

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
Quale ruolo per Washington? La Casa Bianca si trova a dover gestire ancora una volta il pluralismo e la complessità del Medio Oriente, ricalibrando il sistema di alleanze e ripensando alla sua strategia. Come “stato canaglia”, l’Iran è stato bersagliato da sanzioni internazionali e relegato ad una condizione di pesante isolamento, eppure sembra che questa tendenza sia destinata a svanire. Spesso Washington si è alleato con la casa saudita per controbilanciare l’Iran, un Paese che, sebbene i limiti interni, gode di una forte società civile e solida posizione geostrategica. Dopo aver eliminato i principali nemici di Teheran, gli Stati Uniti sono impegnati a combattere l’IS, una minaccia regionale ma rivolta soprattutto all’arco sciita a guida iraniana. Teheran potrebbe essere un importante alleato per la Casa Bianca e la firma di un accordo sul nucleare, dopo un anno di colloqui, potrebbe ridefinire le coordinate del Medio Oriente, riavvicinando due Paesi ostili e dando un segnale forte agli alleati regionali: Arabia Saudita e Israele. Certamente l’interesse degli Stati Uniti, che stanno perdendo sempre più incisività nella regione, è quello di mitigare le tensioni tra Teheran e Riyad, contenere la rivalità ed evitare un confronto militare, un’ipotesi che al momento appare decisamente remota.[/box]

Foto: Please! Don’t Smile.,

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Giorgia Perletta
Giorgia Perletta

Accento abruzzese e occhi di mandorla, un mix che dalla nascita (un Martedì del 1990) mi ha tatuato addosso le forti radici e l’esotismo d’Oriente. Sono dottoranda in Istituzioni e Politiche presso l’Università Cattolica di Milano dove ho conseguito una laurea in Sociologia e Giornalismo, una (magistrale) in Relazioni Internazionali e, (non c’è due senza tre), un Master in Middle Eastern Studies. Ho vissuto per 5 mesi a Seul -quando da Nord schieravano i missili al confine dichiarando lo stato di guerra- e lavorato a Milano in una redazione tele-giornalistica nazionale. La mia rosa dei venti punta verso il Medio Oriente e, soprattutto, verso l’Iran, Paese che mi ha fatto innamorare di una molteplicità dei suoi aspetti; tra questi il Persiano, che ho iniziato a studiare un’estate all’Università di Teheran.

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