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La politica estera del Bangladesh (I) – Un Paese dinamico

Il Bangladesh è al centro degli interessi diplomatici delle maggiori potenze dell’area asiatica, inclusa la Russia di Vladimir Putin. Ma qual è la politica estera di questo popoloso Paese del subcontinente indiano, spesso ignorato dai grandi media italiani ed europei? Su quali calcoli strategici e principi politici si basano le azioni del Governo di Dacca nell’attuale sistema internazionale? Breve ritratto di uno Stato povero, ma fondamentale per gli equilibri geopolitici dell’Asia meridionale nel XXI secolo.

POSIZIONE CHIAVE – Affacciato sul golfo del Bengala, il Bangladesh occupa insieme alla vicina Birmania la congiunzione geografica tra subcontinente indiano e Sudest asiatico, unendo territorialmente due tra le più dinamiche regioni economiche del pianeta. Con oltre 160 milioni di abitanti è l’ottavo Paese più popolato del mondo, con un tasso di crescita demografica annuo particolarmente elevato (+1,6%). È anche una nazione estremamente fertile a livello agricolo, ospitando sul proprio territorio oltre cinquanta corsi d’acqua, inclusi i tre grandi fiumi Gange, Meghna e Brahmaputra. Tutte queste vie fluviali convergono sulla costa nella vasta piana alluvionale del delta del Gange, chiusa a ovest dal grande porto indiano di Calcutta e a est da quello bengalese di Chittagong, principale hub commerciale sulla via per la Birmania. A ridosso della piana si trova anche la capitale politica del Bangladesh, Dacca, megalopoli di circa 15 milioni di abitanti e con una crescita demografica annua di oltre il 4%. Secondo molti osservatori internazionali Dacca è destinata nel prossimo decennio a diventare una delle maggiori aree urbane dell’Oceano Indiano, occupando una posizione chiave nei futuri sistemi di trasporto tra India, Cina e Sudest asiatico.

Porto devastato dal ciclone Sidr nel 2007
Porto devastato dal ciclone Sidr nel 2007

Eppure, nonostante queste importanti caratteristiche umane e territoriali, il Bangladesh viene spesso ignorato dai grandi media occidentali, che lo giudicano a malapena come una semplice comparsa sulla grande scena geopolitica asiatica. Il motivo di tanto disprezzo, ammantato sovente di paternalismo umanitario, è l’estrema povertà del Paese, aggravata recentemente da gravi disastri naturali come il ciclone Sidr del 2007.  Con un alto tasso di malnutrizione infantile e un reddito minimo di 2 dollari al giorno per abitante, il Bangladesh resta infatti una nazione prevalentemente rurale e sottosviluppata, vulnerabile sia alle fluttuazioni dei mercati globali che ai cambiamenti climatici degli ultimi anni. Inoltre l’urbanizzazione sregolata di Dacca e il massiccio inquinamento delle risorse idriche locali, sfruttate malamente da industrie manifatturiere a basso costo, rischiano di compromettere il futuro economico del Paese, rendendolo permanentemente dipendente da aiuti finanziari esterni. Non sorprende quindi che i media occidentali trattino il Bangladesh alla stregua di tanti altri attori poveri del Sud del mondo, riportando solo eventi di carattere umanitario e commiserando a gran voce l’arretratezza socio-economica della popolazione locale. Viene anche rimarcata in negativo la debolezza interna delle Istituzioni politiche bengalesi, focalizzandosi di rado sulle loro azioni diplomatiche nello scacchiere internazionale.

SICUREZZA E SVILUPPO ECONOMICO – Tuttavia è proprio grazie a una politica estera accorta e pragmatica che il Bangladesh è riuscito a migliorare parzialmente la propria situazione economica nel corso degli ultimi anni, raggiungendo buoni livelli di crescita del PIL (circa il 6% all’anno) e riducendo significativamente il tasso di povertà nazionale (dal 49% nel 2000 a un probabile 22,5% nel 2015). A livello politico il Paese sembra anche avere imboccato la strada di una certa stabilità dopo decenni di colpi di Stato militari, attentati terroristici e contestate elezioni parlamentari. Non si tratta affatto di una svolta democratica, come inizialmente sperato dopo le elezioni politiche del 2008 vinte a grande maggioranza dall’Awami League dell’attuale premier Sheikh Hasina Wajed, ma è pur sempre un cambiamento positivo rispetto alla dura dittatura militare degli anni Ottanta e al caos politico-istituzionale degli anni Novanta. L’attività di gruppi radicali islamici come Jamaat-ul-Mujahideen Bangladesh (JMB) pare anche in declino e il Governo di Dacca ha difeso con discreto successo la laicità dello Stato bengalese, bloccando la progressiva islamizzazione delle Istituzioni iniziata dal regime militare di Ziaur Rahman nei tardi anni Settanta. Pur precaria, la partecipazione delle donne in politica resta infatti molto alta e ben 45 seggi parlamentari sono riservati costituzionalmente a rappresentanti femminili.

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Fig. 3 – Manifesti elettorali in una strada di Dacca

LA NEUTRALITÀ – Tutti questi cambiamenti non sarebbero stati possibili senza la continua neutralità internazionale del Paese, che ha permesso ai vari Governi nazionali di perseguire i due imperativi chiave della sicurezza e dello sviluppo economico con scarse interferenze esterne. Dopo la traumatica indipendenza di Dacca dal Pakistan nel 1971, tutti gli esecutivi civili e militari bengalesi hanno infatti optato per un’intensa cooperazione economica e militare con l’India e gli altri Stati dell’Asia meridionale, stabilendo solidi legami diplomatici nella regione e facilitando l’ingresso di investimenti stranieri nel settore agricolo. Questa strategia di «amicizia verso tutti e inimicizia verso nessuno», formulata per primo dal fondatore dello Stato bengalese Sheikh Mujibur Rahman (1920-1975), è stata poi replicata con successo al di fuori del contesto asiatico, permettendo al Bangladesh di ricoprire posizioni importanti nel Movimento dei Non Allineati (NAM) e nell’Organizzazione della conferenza islamica (OCI). Dai primi anni Novanta il Paese può contare anche su rappresentanze permanenti all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) e all’Organizzazione mondiale delle dogane (WCO), dove ha dato vita ad alleanze pragmatiche e flessibili con altre nazioni in via di sviluppo dell’Africa e dell’Asia. Inoltre il Bangladesh fornisce uno dei più alti contingenti di truppe alle missioni di pace delle Nazioni Unite, con circa 10mila soldati impegnati sul terreno in posti “caldi” come Somalia, Haiti, Ruanda, Mozambico e Bosnia-Erzegovina. Ad Haiti la presenza militare bengalese è la più vasta dopo quella americana e, pur tra scandali e polemiche, ha assicurato a Dacca una notevole visibilità internazionale, favorendo lo sviluppo di rapporti politici e commerciali con i Paesi dell’America Latina.

MULTILATERALISMO E BILATERALISMO – Grazie a questo prudente multilateralismo, volto a incrementare la collaborazione con altri Paesi su argomenti pragmatici e non controversi, il Bangladesh è riuscito a ottenere significativi aiuti finanziari internazionali e a stabilire buone relazioni diplomatiche con tutte le principali potenze mondiali, garantendo la propria indipendenza nazionale nel difficile e frammentato contesto del post-Guerra Fredda. La presenza di grosse comunità di immigrati bengalesi in Europa occidentale, Medio Oriente e Sudest asiatico ha certamente agevolato il conseguimento di tale risultato, fornendo anche notevoli rimesse per lo sviluppo economico del Paese (oltre 12 miliardi di dollari nel solo 2011). E uno degli obiettivi di Dacca nei prossimi anni è proprio quello di sfruttare al massimo l’intraprendenza commerciale e le capacità professionali dei suoi espatriati per attrarre ulteriori investimenti economici dall’estero. Allo stesso tempo le Autorità bengalesi sperano di accelerare l’integrazione politica e commerciale del loro Paese nel contesto asiatico, sviluppando forti legami con la Cina, il Giappone e gli Stati dell’ASEAN. La minaccia del terrorismo islamico spinge poi verso una maggiore cooperazione militare con l’India, il Pakistan e le altre nazioni del subcontinente indiano, anche se l’operazione appare assai difficile per via della sanguinosa eredità della guerra d’indipendenza contro Islamabad del 1971. Tale eredità continua anche a influenzare pericolosamente il dibattitto politico interno del Bangladesh, giustificando la repressione governativa contro diversi Partiti d’opposizione e complicando i rapporti diplomatici con gli Stati Uniti.

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Fig. 4 – Discorso del primo ministro bengalese Sheikh Hasina Wajed alle Nazioni Unite (settembre 2013)

In ogni caso le nuove necessità politiche ed economiche di Dacca stanno mutando gradualmente alcune delle tradizionali linee guida della politica estera bengalese, sostituendo il multilateralismo dei decenni passati con un fitto reticolo di relazioni bilaterali con le maggiori potenze asiatiche, inclusa la Russia di Vladimir Putin. Anche se il Governo Hasina continua a considerare essenziale il mantenimento di una benevola neutralità internazionale, le scelte diplomatiche degli ultimi anni sembrano indicare una maggiore propensione a prendere rischi e a privilegiare i rapporti con certi partner regionali e mondiali, confermando la trasformazione del Bangladesh in un significativo attore geopolitico per i futuri equilibri dell’Asia meridionale. Un attore agile, dinamico e ben deciso a far sentire la propria voce a dispetto dei persistenti stereotipi dei media occidentali.

Simone Pelizza

(Continua)

[box type=”shadow” ]Un chicco in più

Figlia di Sheikh Mujibur Rahman, Sheikh Hasina Wajed è stata spesso paragonata a Indira Gandhi, Benazir Bhutto e altre donne forti della politica asiatica. La sua storia personale è infatti tragica e complessa quasi quanto quella delle sue più famose colleghe regionali. Esiliata in India dopo il brutale assassinio dei genitori nel 1975, Hasina è rientrata in Bangladesh nei primi anni Ottanta dove è presto diventata leader dell’Awami League, principale rappresentante del nazionalismo laico bengalese. Imprigionata più volte dai militari, ha giocato un ruolo chiave nella restaurazione di un sistema politico parzialmente democratico nel 1991 ed è diventata per la prima volta premier del suo Paese cinque anni più tardi, restando al potere per un intero mandato parlamentare. Dopo aver perso le contestate elezioni politiche del 2001 è stata leader dell’opposizione sino al 2008, sopravvivendo a un brutale attentato e a un fazioso processo per corruzione. Diventata nuovamente Primo Ministro nel 2008, grazie a una netta affermazione elettorale del suo partito, ha fronteggiato con decisione sia l’ammutinamento di alcune unità dell’Esercito che la questione della minoranza Rohingya in Birmania, adottando spesso misure autoritarie e impopolari. Nel gennaio 2014 ha vinto un terzo mandato al termine di una tornata elettorale estremamente controversa. [/box]

 

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Simone Pelizza
Simone Pelizzahttp://independent.academia.edu/simonepelizza

Piemontese doc, mi sono laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano e ho poi proseguito gli studi in Gran Bretagna. Dal 2014 faccio parte de Il Caffè Geopolitico dove mi occupo principalmente di Asia e Russia, aree al centro dei miei interessi da diversi anni.
Nel tempo libero leggo, bevo caffè (ovviamente) e faccio lunghe passeggiate. Sogno di andare in Giappone e spero di realizzare presto tale proposito. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare la Cina, che ho visitato negli anni scorsi per lavoro.

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