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Separate da un voto

Il 2012 sarà l’anno in cui un terzo dei paesi del mondo voterà: Francia, Russia e Stati Uniti, i più significativi. Mentre la Cina ad ottobre inizierà il passaggio di leadership. Ma la prima importante elezione del 2012 si terrà nell’isola di Taiwan, il prossimo 14 gennaio, per l’elezione del nuovo presidente e per la nuova composizione del parlamento (il Legislative Yuan). Una vittoria dell’opposizione significherebbe tensioni con Pechino. Ecco due possibili scenari

NON SVEGLIATE IL CAN CHE DORME – La questione dello status internazionale di Taiwan è vecchia di 60 anni: da quando i rappresentanti del Kuomintang e il suo leader Chiang Kai-shek persero la guerra civile contro le forze comuniste di Mao Tse-tung, e dovettero ritirarsi nell’isola di Taiwan – ex colonia giapponese tra il 1895 e 1945. Entrambi gli stati si consideravano i soli rappresentanti del popolo cinese, tant’è che il seggio all’Onu è stato occupato dalla Repubblica di Cina (Taiwan) fino al 1971, per poi essere sostituita dalla Repubblica popolare cinese. Il vero problema però risale alla politica della ‘One China Policy’, iniziata nel 1992. I due paesi si accordarono sul fatto che esiste una sola entità nazionale che possa essere definita ‘Cina’, ma non si specificò chi dei due fosse il legittimo rappresentante dello Stato cinese, lasciando libera interpretazione nel definire cosa “una Cina” significhi. Questo accordo prese il nome di ’1992 Consensus’, e ha portato a profonde conseguenze nelle attività diplomatiche dei due Paesi: nessuno Stato terzo può intrattenere relazioni diplomatiche contemporaneamente con la RPC e con Taiwan. Oggi solo 23 stati riconoscono l'isola come legittimo Stato cinese. Non essendoci stato chiaro accordo, le situazioni ambigue sono rimaste; non tanto da parte della Cina, per la quale Taiwan non è altro che una provincia ribelle che prima o poi dovrà essere annessa alla madre patria, quanto per le forze politiche taiwanesi. Il Kuomintang o KMT (i Nazionalisti) con l’attuale presidente Ma Ying-Jeou, riconoscono la politica della “one China(quindi mantenendo quell’ambiguità che lascia tutti soddisfatti), mentre il Democratic People’s Progressive Party (DPP) o Minjindang della sfidante alle prossime elezioni, Tsai Ing-wen, non riconoscono il ‘92 Consensus e storicamente sono portatori di istanze indipendentiste.   La questione della relazione tra le “due Cine” è un po’ come la situazione di un grosso cane notoriamente rumoroso (e potenzialmente pericoloso), che sta dormendo e che nessuno vuole svegliare. La Tsai, negando l’esistenza della “One China Policy” sembrerebbe pronta a svegliarlo. MA VS TSAI – Da quando nel 2008 Ma Ying-jeou vinse le elezioni riportando al potere i nazionalisti, dopo la parentesi dei due mandati di Chen Shui-bian (tra il 2000 e il 2008), le relazioni tra Taipei e Pechino non erano mai state così buone: è stato firmato l’Economic Cooperation Framework Agreement (ECFA) (una serie di accordi per il libero scambio); si sono aperte linee aeree dirette tra i due Paesi, facilitando gli scambi culturali; e si è intensificata la cooperazione in ambito legale e della sicurezza alimentare. L’atteggiamento di Ma ha sicuramente favorito l’appoggio alle sue politiche da parte degli imprenditori che investono fortemente in Cina, ma è stato anche accusato dalla sua avversaria alle presidenziali di aver venduto la sovranità taiwanese in cambio di benefici economici di breve periodo. La Tsai propone il Taiwan consensus al posto del ’92 consensus. In un’intervista al New York Times, di pochi giorni fa, ha detto che Ma ha sostenuto l’accordo del 1992 perché la Cina lo aveva imposto come precondizione per i rapporti diplomatici, aggiungendo che: “Il 1992 consensus non è chiaro, e nessuno ha un argomento convincente per spiegare cos’è successo in quegli anni”. Mentre il Taiwan consensus è da preferire perché significa che: “I taiwanesi devono unirsi e trovare un consenso tra di loro, e da soli, per poi parlare con la Cina e trovare una base comune sulla quale fondare le relazioni nello stretto”. I due candidati si spartiscono l’elettorato in un vero testa a testa, dove Ma ha un lieve vantaggio e dove il risultato resta apertissimo, mentre il terzo candidato James Soong del People’s First Party (vicino alle posizioni del KMT) ha circa il 10 per cento delle preferenze. La Tsai cercherà di ottenere la maggioranza dei voti tra i suoi tradizionali elettori: i nativi dell’isola di Taiwan e i contadini nel sud dell’isola che non sentono i benefici degli accordi ECFA con la Cina. Anche se il fattore economico giocherà un ruolo fondamentale nella decisione di voto, la questione delle relazioni con la Cina resta senza dubbio determinante.

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SCENARIO 1: MA è RICONFERMATO – Altri quattro anni di governo con Ma Ying-jeou, significherebbero un’ulteriore espansione delle relazioni tra Taiwan e la Cina. Anche se non si può negare che frizioni possono comunque verificarsi. Restano sempre da stabilire il modo e i tempi in cui Ma è disposto ad aprire un dialogo con Pechino sulle questioni politiche più scottanti e su quelle militari. Se ciò non avvenisse la nuova leadership cinese potrebbe spostarsi su posizioni più dure. Ma cercherà di continuare ad allargare le relazioni economiche con Pechino e allo tesso tempo cercando nuove opportunità con paesi terzi. La politica dei “tre no” continuerà ad essere la base su cui poggeranno le relazioni con la Cina, e sarebbe a dire: no riunificazione, no indipendenza, no conflitto armato nello stretto. Ciò perché la popolazione taiwanese preferisce lo status quo alle altre due alternative: indipendenza o riunificazione con la Repubblica Popolare Cinese. SCENARIO 2: VINCE TSAI – Una vittoria del DPP introdurrebbe un periodo di incertezza nelle relazioni dello stretto di Taiwan, anche se le dinamiche sarebbero fondamentalmente differenti rispetto al periodo di Chen Shui-bian. Secondo Bonnie S. Glaser, esperto di sicurezza in Asia, “La Tsai non adotterà politiche provocatorie nei confronti della Cina, o che possano alienare gli Stati Uniti. Tuttavia la candidata del DPP non riconosce il ’92 Consensus e perciò il fallimento nel trovare una nuova base negoziale, porterebbe Pechino a sospendere il dialogo”. Anche se le tensioni aumenterebbero “L’uso della forza militare da parte di Pechino è improbabile, a meno che la questione dell’indipendenza non sia una minaccia reale”. In caso di vittoria dell’opposizione questo sembra lo scenario più probabile: il portavoce dell’ufficio cinese per le relazioni con Taiwan ha affermato che se la signora Tsai vincesse le elezioni: “Potrebbe inevitabilmente danneggiare i pacifici progressi nelle negoziazioni tra i due paesi”. Marco Spinello [email protected]

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