La situazione tra Israeliani e Palestinesi continua a precipitare, in una sequenza di eventi e dichiarazioni specchio dello stallo attuale di ogni iniziativa di pace.
Dopo il conflitto a Gaza di quest’estate e i recenti disordini a Gerusalemme e dintorni, le tensioni tra Israeliani e Palestinesi continuano a crescere, in un susseguirsi di eventi e dichiarazioni che mostrano tutta la gravità della situazione. In 5 punti:
1. ELEZIONI IN VISTA IN ISRAELE – In seguito alle tensioni a Gerusalemme, che hanno visto vari morti da entambe le parti, il premier israeliano Benjamin Netanyahu e i suoi ministri hanno presentato un disegno di legge volto a proclamare Israele “Paese della nazione ebraica”, concetto da sempre richiesto dai nazionalisti e sempre avversato non solo dai Palestinesi della West Bank, ma dagli stessi Arabi Israeliani, timorosi di diventare ancora di piĂą “cittadini di seconda classe” in quanto non ebrei. La mossa è stata però notevolmente criticata e bloccata dai due ministri di centro del governo, Tzipi Livni e Yair Lapid. Impossibilitato ad agire senza il consenso soprattutto di Lapid, Netanyahu ha indetto nuove elezioni per la primavera prossima, sperando di ottenere una maggioranza piĂą forte che escluda compromessi con i suoi ex-compagni di governo.
2. L’EUROPA RICONOSCE SEMPRE PIU’ LA PALESTINA – Del resto Netanyahu è sempre piĂą sotto pressione a livello internazionale, visto che il Presidente palestinese Abu Mazen ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di votare per obbligare Israele a terminare l’occupazione entro il 2016 (il voto avverrĂ tra due settimane). Proprio in queste settimane, in vari Stati europei (tra cui la Francia) – stanchi di vedere da tempo le proprie richieste di riprendere il dialogo ignorate da Israele – i parlamenti hanno chiesto ai propri Governi di riconoscere ufficialmente la Palestina. Questo non avrĂ un grande effetto a livello pratico, ma contribuisce a confermare il progressivo isolamento di Israele, al quale quest’ultimo risponde però con ancor piĂą rigiditĂ .
3. MORTE DI UN MINISTRO PALESTINESE – Sul campo la situazione continua comunque a degenerare. Anche se pare che la costruzione di nuove colonie abbia subito una temporanea battuta d’arresto (nonostante le dichiarazioni contrarie di un mese fa), un palestinese ha attaccato alcuni civili davanti a un centro commerciale della grande colonia di Ma’ale Adumim (la piĂą vasta della Cisgiordania), mentre proprio due giorni fa il ministro palestinese Ziad Abu Ein è morto durante una protesta contro le forze di sicurezza israeliane vicino a Ramallah. L’autopsia ha confermato l’infarto favorito da colpi e da gas lacrimogeno, fatto che aumenta le accuse contro i militari israeliani e contribuisce ad aumentare il clima di risentimento reciproco.
I funerali del ministro palestinese Ziad Abu Ein, morto nel corso degli scontri di Ramallah
4. KERRY VUOLE RISPOSTE DA NETANYAHU – L’evento sta aumentando le critiche statunitensi contro l’alleato – le due parti si vedono sempre piĂą reciprocamente come pesi – e il Segretario di Stato John Kerry ha convocato Netanyahu a Roma per lunedì prossimo per parlare proprio del voto all’ONU e capire la posizione israeliana. Si tratta in primo luogo di mettere alle strette il Premier israeliano su quale sia il suo piano di pace, che appare essere sempre piĂą inesistente. Gli Stati Uniti non vorrebbero porre il veto alla richiesta palestinese (preferirebbero che Abu Mazen cambiasse idea spontaneamente) ma esiste anche una proposta simile da parte dell’Europa e gli USA possono contrastare queste iniziative solo facendo una controproposta seria. Una chiusura totale da parte israeliana invece potrebbe portare Washington a favorire, per la prima volta, i Palestinesi per non mettere a repentaglio le relazioni con i Paesi arabi in ottica anti-Stato Islamico. SarĂ un dibattito da seguire con attenzione.
5. QUANDO SE NE VA OBAMA? – Del resto la destra israeliana non ha intenzione di cedere e lo stesso Ministro della Difesa Moshe Ya’alon ha dichiarato che gli USA continuano a fare pressioni mal digerite in Israele. “L’amministrazione Obama prima o poi se ne andrà ” ha dichiarato, aggiungendo che non appena questo succederĂ le costruzioni nella West Bank potranno riprendere, contando su una possibile vittoria repubblicana, piĂą favorevole a Israele. Al di lĂ della dichiarazione in sĂ©, questo atteggiamento indica come ci sia ancora una parte di Israele convinta che lo status quo possa essere gestibile, nonostante la crisi attuale.
CONCLUSIONE: VERSO IL BARATRO – Gli eventi di questi mesi indicano sostanzialmente una cosa: il muro contro muro tra Palestinesi e Israeliani continua, il dialogo viene ora ignorato da entrambi e sul campo si continua a morire e a costruire ancora piĂą risentimento reciproco. Non appare dunque alcuna via d’uscita perchĂ© anche se la scommessa palestinese all’ONU avesse successo, è improbabile che vengano mandati, ad esempio, i Caschi Blu in Israele per costringerlo ad accettare, e dunque tutto dovrebbe comunque passare da un accordo che, ora, appare improbabile. Forse esiste una speranza nelle elezioni israeliane del prossimo anno. La coalizione di centro-sinistra tra Tzipi Livni e i Laburisti di Isaac Herzog secondo alcuni sondaggi potrebbe vincere e giocare così un brutto scherzo a Netanyahu (che tra l’altro non è nemmeno detto rimanga alla guida del suo partito). Certo è tutto da vedere se questo porterĂ a una riapertura del dialogo, ma forse un Governo meno legato alla destra nazionalista potrebbe essere piĂą ricettivo nei confronti degli appelli della comunitĂ internazionale. La partita è comunque ancora lunga.
Lorenzo Nannetti
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Foto: ISM Palestine