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Il 14 gennaio scorso si è votato a Taiwan. Un voto delicato per gli equilibri della regione e per le relazioni sino-statunitensi. Il vincitore è l’attuale presidente Ma Ying-jeou, che rimarrà in carica per altri quattro anni. Era il candidato dei buoni rapporti con Pechino, ma soprattutto di Hu Jintao. Anche gli Usa tirano un sospiro di sollievo. Tutti contenti dunque? Non esattamente

RESTA AL POTERE IL KUOMINTANG (KMT) – “Ma Ying-jeou, ti amo!” urlava la folla raccoltasi a Taipei City, quando poco dopo le 8 di sera di sabato 14 gennaio (ora locale), il vincitore delle elezioni presidenziali è salito sul palco di fronte ai suoi sostenitori rispondendo che: “Questa non è una vittoria di Ma Ying-jeou, questa è una vittoria del popolo taiwanese”. E ancora: “Le relazioni con la Cina saranno ancora più armoniose, abbiamo bisogno di un ambiente pacifico” ha continuato Ma. Ha vinto la sua linea. È riuscito a convincere i taiwanesi che i buoni rapporti con Pechino hanno un ritorno positivo per l’economia e la prosperità dell’isola. Non era facile. Solo pochi giorni prima del voto, l’esito non era scontato. Ma manteneva un lieve vantaggio su Tsai Ing-wen (la candidata dell’opposizione), tanto che nelle prime proiezioni di voto la Tsai era data persino in vantaggio. Alla fine, però, Ma ha ottenuto un ampio margine, superando qualsiasi previsione della vigilia: quasi il 52% delle preferenze, contro il 45,6% della Tsai (il terzo candidato James Soong ha ottenuto il 2,8%). Buon risultato, quindi, ma inferiore a quello del 2008, quando Ma raccolse il 58% dei voti. Nelle legislative il suo partito ha vinto 64 dei 113 seggi in parlamento, mantenendo una comoda maggioranza. Ha vinto il centro nord contro il sud; le grandi imprese (e chi investe in Cina) sui contadini; i blu sui verdi; la “One China policy” del “consenso del 1992” sostenuto dai Nazionalisti, sul “Taiwan consensus” dei Democratici. Ha vinto Ma contro la Tsai. I buoni rapporti coltivati da Ma con Pechino hanno espanso i rapporti commerciali tra le due sponde: il China Daily riporta come nei primi 11 mesi del 2011 il flusso commerciale tra i due Paesi abbia raggiunto quasi i 150 miliardi di dollari (in crescita dell’11% sullo stesso periodo dell’anno precedente), facendo diventare la Cina il primo partner commerciale di Taiwan. Alla fine del 2011, circa 80 mila imprese taiwanesi avevano investito più di 200 miliardi di dollari in Cina. Una cifra ragguardevole. Ma non solo, circa un milione dei 23 milioni di cittadini taiwanesi vive in Cina. Era perciò impossibile tenere separate le questioni economiche da quelle dei rapporti con la Cina.

LA REAZIONE DI PECHINO – Quasi superfluo sottolineare come il Dragone guardi favorevolmente alla riconferma di Ma. Nella serata di sabato, non appena i primi risultati semi-ufficiali sono stati rilasciati, l’ufficio cinese per le relazioni con Taiwan (Taiwan Affairs Office), ha rilasciato un comunicato nel quale si diceva come “I fatti degli ultimi quattro anni hanno provato come lo sviluppo pacifico delle relazioni nello stretto è stata la strada giusta e ha ottenuto l’approvazione da parte della maggioranza dei compatrioti di Taiwan”; aggiungendo che i rapporti tra le due sponde devono basarsi sul consenso del 1992 e il contrasto “all’indipendenza di Taiwan”. Molti analisti hanno fatto notare come il risultato delle elezioni sia soprattutto una vittoria del presidente Hu Jintao, della sua “politica dello stretto”. Hu è stato il primo leader cinese a cambiare linea nei confronti di Taipei, seguendo un approccio ‘soft’. Infatti, sembrano lontani i tempi (almeno per il momento) in cui Pechino in vista delle elezioni a Taiwan minacciava di usare la forza militare per influenzare l’esito delle votazioni, con il risultato di allontanare ancor di più Taipei. Hu è riuscito dove altri avevano fallito: riavvicinare la ‘provincia ribelle’ alla madrepatria. Sembra perciò ragionevole aspettarsi buone relazioni tra Pechino e Taipei nei prossimi anni, ma qualche dubbio, anzi molti, esistono sulla prospettiva di lungo periodo. Prima o poi le “due Cine” dovranno sedersi ad un tavolo negoziale e iniziare a discutere della questione politica dello stretto, ossia lo status internazionale di Taipei. Non sarà per nulla facile. Basta porsi un paio di domande per capire quanto cruciale e difficile da risolvere sia la questione: che ruolo avrebbe il KMT in Cina? Si terranno libere elezioni a Taiwan dopo l’unificazione? O verranno abolite? Come ha spiegato molto bene Yvonne Su sull’Asia Times qualche giorno fa, le preoccupazioni di lungo periodo potrebbero materializzarsi molto prima e diventare un problema di breve periodo, anzi brevissimo, qualora Pechino spingesse il piede sull’acceleratore per iniziare le negoziazioni politiche prima che Hu passi il testimone al suo successore. In questo caso, già nei prossimi 2-3 mesi. Ipotesi che allarma Richard Bush Direttore del Center for Northeast Asian Policy Studies (Brookings) che in una recente conferenza ha espresso la sua preoccupazione proprio riguardo all’inizio prematuro del dialogo sulla questione politica che potrebbe interrompere bruscamente l’idillio.  

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IL RUOLO DEGLI USA – Gli Stati Uniti hanno da poco dichiarato ufficialmente la loro svolta strategica verso il Pacifico, in realtà in corso da almeno un decennio. Taiwan è la questione più delicata nella politica estera cinese (anche se Pechino la considera come un ‘core interest’, ossia come politica interna). Gli Usa sono impegnati nella vendita di armi all’isola per garantirne la propria difesa. Sicuramente altri quattro anni di Ma era il risultato più favorito da Washington, che può solo avvantaggiarsi da una situazione relativamente tranquilla sul fronte Pechino-Taipei.

CONCLUSIONE – La riconferma di Ma crea molte più prospettive di stabilità tra Pechino e Taipei, di quelle che avrebbe creato una vittoria di Tsai. Il presidente Ma è disposto a proseguire la linea politica seguita negli ultimi 4 anni, ma come abbiamo visto, Pechino potrebbe aspettarsi molto dai Nazionalisti in termini di avanzamento del dialogo politico.   Secondo Francesco Sisci (sinologo italiano), la direzione è quella dell’unificazione e dell’inevitabile democratizzazione della Cina, pur riconoscendone le difficoltà e i punti di attrito più acuti. Tra quattro anni Taiwan sarà ancora più integrata e vicina alla Cina, rendendo più difficile e improbabile un ritorno delle tensioni. Sisci, vede nell’atteggiamento tenuto da Pechino un insegnamento che va ben oltre le relazioni con Taipei, per abbracciare l’intera politica estera cinese, che se portata avanti con toni meno duri crea meno preoccupazioni negli altri Stati. Resta comunque il dilemma dello status internazionale di Taiwan e del quale dei due Stati sia la vera Cina, che non potrà rimanere irrisolto all’infinito. I più pessimisti ne vedono una possibile rottura già nel corso del 2012 qualora la Cina in cambio di vantaggi economici farà pressioni per iniziare un negoziato politico.   Se così non fosse, il problema (che comunque resta) sarebbe posticipato a data a destinarsi e i successori di Hu e Wen – Xi Jinping  e Li Keqiang – impiegheranno un po’ di tempo prima di delineare la loro linea sulla questione. Che, ad oggi, non è nota.

Marco Spinello [email protected]

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