Il Giro del Mondo in 30 Caffè – L’universo jihadista è cambiato profondamente, dimostrando per l’ennesima volta le capacità di mutazione e adattamento dei suoi interpreti. Alcuni importanti trend di innovazione hanno iniziato a essere osservati a seguito delle Primavere arabe, altri si sono manifestati con l’ascesa di IS, molti sono ancora in fase di germogliazione. Proviamo a ipotizzare l’evoluzione di queste tendenze e proponiamo alcuni scenari per il 2015
1) Nel mese di settembre al-Qaida ha annunciato l’apertura di una nuova branca, denominata AQIS (al-Qaida nel Subcontinente Indiano), di cui però molto poco è stato detto. Cosa c’è dietro?
Sono state avanzate diverse ipotesi sulla scelta di AQ di penetrare nel Sudest asiatico. Due importanti fattori sono tuttavia imprescindibili nell’analizzare la questione: il grande flusso di uomini proveniente da India, Bangladesh, Pakistan e Filippine verso i ranghi di IS, e l’alto numero di cellule e collettivi che nelle stesse zone hanno espresso solidarietà e volontà di collaborare con il Califfato. Secondo diversi analisti, quella di AQ sarebbe stata una mossa per invertire la tendenza e ridare un certo grado di prestigio al network, spostando di fatto l’area di insistenza primaria di al-Qaida verso est e lasciando allo Stato Islamico l’Ovest (non dimentichiamo che India, Pakistan e Bangladesh sono tre dei quattro Paesi con più musulmani al mondo). Non mancano però visioni discordanti, secondo cui AQIS sarebbe la base per un tentativo di avvicinamento, seppur parziale, fra AQ e IS: le cellule locali, bilateralmente impegnate, farebbero quindi da collante fra i due gruppi. Questa seconda tesi sembra essere sostenuta dai messaggi di apertura verso lo Stato Islamico che AQ ha fatto pervenire tramite la sua nuova rivista, Resurgence, lanciata nello stesso periodo di AQIS: nel primo numero si può infatti leggere un messaggio di sostegno verso Da’esh relativamente ai raid aerei della coalizione, oltre che di appoggio a eventuali mosse di IS in aiuto al cosiddetto Turkmenistan Orientale (territorio dello Xinjiang che alcuni gruppi islamisti uiguri vorrebbero indipendente).  Sicuramente non bisogna aspettarsi un riavvicinamento fra IS e AQIS nel breve periodo: basti pensare che il fallito attentato di Karachi nel mese di settembre è stato motivo di scherno ai danni del gruppo sud-asiatico da parte di diversi mujahedin iraqeni.
Il porto di Karachi, dove nel mese di settembre AQIS ha condotto un attacco a una nave americana, rivelatasi pakistana
2) Qual è la strategia che guida AQIS e che rischi pone il gruppo?
Si profila una terza via, mediana, che sembra riassumere le due precedenti: i territori di AQIS non sarebbero altro che il nuovo safe haven di AQSL (al-Qaeda Senior Leadership, il core del gruppo). Seppure si ritenga generalmente che Zawahiri e compagni abbiano la propria base nelle regioni montagnose sul confine fra Pakistan e Afghanistan, negli ultimi anni il nocciolo duro del network è andato spargendosi in più gruppi e dislocandosi in diverse regioni. Dopo l’11 settembre alcuni veterani di al-Qaida si sono infatti riversati in direzione ovest, in Iran (ad esempio Abu Bakr Naji) e Iraq (Zarqawy e compagni), mentre più recentemente diversi uomini (il famigerato gruppo Khorasan) sono stati inviati a sostegno di al-Nusra in Siria. L’inversione di marcia del Governo pakistano nei confronti del Tehrik-e Taliban, oltre che l’indebolimento dei taliban afghani, ha portato l’élite qaidista a spingersi verso sud in attesa di tempi migliori. Si pensa infatti che Karachi ospiti oggi importanti esponenti di AQ, mentre altri abbiano trovato rifugio più a est, in Assam, Bangladesh e Myanmar. Nel frattempo, i leader di AQ avrebbero il tempo di lasciare che lo Stato Islamico si indebolisca, oppure di ripensare la loro grand strategy e virare verso scenari di fusione. Inoltre, AQIS può legittimamente puntare a diventare un hub regionale. Diverse milizie MILF (Moro Islamic Liberation Front, tra cui il gruppo Abu Sayyaf), del Kashmir (la più importante Lashkar-e Taiba) e del Bangladesh (Harakat al-Jihad) hanno da tempo contatti con al-Qaida e possono essere importanti pedine di espansione per quest’ultimo.
3) Passiamo al Maghreb: che evoluzioni si prospettano per la galassia jihadista nord africana?
Oggi l’interrogativo principale che molti analisti si pongono rispetto al jihadismo del Nord Africa è il ruolo di Ansar al-Sharia (AS). Il network, presente in Libia, Mauritania, Tunisia, Egitto, Mali e Marocco (oltre che Yemen) presenta caratteristiche diverse in ogni zona d’insistenza e non prende posizioni nette di alleanza (con l’eccezione yemenita, di fatto AQAP). Generalmente bipartiti in un’ala di da’wa e una jihadista, i vari gruppi sembrano volersi imporre a livello ideologico nelle città tramite una membership di piccola borghesia ben integrata socialmente, mentre le frange salifite-jihadiste attendono di rinforzarsi per poi passare alla lotta armata in un momento di vuoto istituzionale. Il progressivo frantumarsi di AQIM sembra essere la chiave di volta per scenari futuri: con le importanti defezioni di gruppi quali al-Murabitun (di Belmokhtar) in Mali, Uqba Ibn Nafi’ in Tunisia e Jund al-Khilafa in Algeria, il ramo maghrebino di AQ potrebbe spingersi verso sud (e magari completare il piano di aggregazione con Boko Haram e Ansaru) lasciando di fatto terra libera all’espansione di AS in nord Africa.
4) Yemen: quali prospettive per le insurrezioni interne?
Il conflitto in Yemen è per molti versi un palcoscenico internazionale. Il Paese, avviato verso la democratizzazione, conosce da mesi una guerra senza quartiere fra AQAP, forze governative e Houthi. Proprio questi ultimi, sciiti originariamente zayditi, hanno ricevuto, secondo diversi analisti, ingenti finanziamenti dall’Iran, tanto che la leadership del gruppo sarebbe oggi duodecimana. Le truppe regolari yemenite invece hanno ricevuto aiuti materiali e finanziari da Arabia Saudita, Marocco e Giordania. AQAP, a sua volta, conosce finanziamenti da diversi Paesi, oltre che arrivi continui di combattenti stranieri. Un’interessante evoluzione potrebbe consistere nella creazione di un blocco sunnita, espressione non solo di forze di sicurezza e milizie jihadiste, ma anche di tribù locali, corpi speciali e partiti moderati (come del resto già in parte avviene). Eventuali vittorie di un fronte sunnita porterebbero a importanti concessioni verso il panorama islamista, oltre che probabili ingerenze nel futuro establishment.
5) Domanda di rito: nel 2015 lo Stato Islamico sostituirĂ a tutti gli effetti al-Qaida?
La risposta è no. La territorialità del Califfato è sicuramente destinata a rimanere effettiva ancora a lungo, tuttavia non ci sono gli estremi perché Da’esh diventi un hub simile a quello che è stato al-Qaida. Seppure economicamente imponente, IS propone un modello islamista che porta con sé i semi della sua stessa distruzione. Opposto al fronte mondiale sostenuto da AQ, ma anzi teso a una dialettica stato-centrica e anti-periferica, il Califfato non ha intenzione di aiutare gruppi con quote parziali di affinità o non disposti a una totale soggezione (si pensi che IS non cita mai i gruppi con cui si allea, ma anzi li rinomina come espressione regionale – wilaya). Corollario di questo è la probabilità che IS continui a essere però il più attraente dei fronti di destinazione di quei foreign fighter nelle cui zone di partenza non c’è possibilità alcuna di combattere un jihad. Non dimentichiamo, da ultimo, che la tendenza più strisciante del jihadismo attuale è quella di proporsi in forme istituzionalizzate o para-statali: da qui la diffusione di un modello che per sua natura rifiuta le grandi alleanze a favore di realtà locali e, in qualche modo, ritenute legittime.
Marco Arnaboldi
[box type=”shadow” align=”alignleft” ]
Un chicco in piĂą
Questo pezzo fa parte de “Il Giro del Mondo in 30 Caffè”, il nostro outlook per il 2015. Lo potete trovare per intero qui. Buona lettura!
[/box]