Tra conferme e rettifiche, il progetto cinese di una base navale alle Seychelles ha agitato New Delhi e Washington, timorose, rispettivamente, dell’accerchiamento nell’Oceano Indiano e dell’influenza di Pechino sul Corno d’Africa. Tuttavia, dato che l’ammodernamento della flotta cinese richiede ancora ingenti risorse, la Repubblica Popolare potrebbe costruire un hub marittimo per la sicurezza delle proprie rotte nella regione, privilegiando la presenza economica a quella militare
LA CINA ALLE SEYCHELLES – Nel dicembre del 2011, l’annuncio da parte del ministro alla Difesa cinese, Liang Guanglie, in merito alla costruzione di una base militare alle Isole Seychelles destò grande preoccupazione in India e negli Stati Uniti. La Repubblica Popolare illustrò il progetto alla luce della «prassi internazionale di rifornire le flotte impegnate in missioni a lunga distanza presso il porto più vicino di uno Stato attiguo (alle rotte)». Nonostante le rettifiche di Pechino, i timori indiani sono cresciuti al diffondersi di alcune indiscrezioni riguardo alla possibilità che il porto nell’isola di Mahé potesse consentire l’approdo di una portaerei della nuova flotta blue-water cinese. La Cina ha infatti individuato nelle Seychelles un punto strategico fondamentale sia per il controllo e l’approvvigionamento delle linee attorno al Corno d’Africa, sia per l’esplorazione dei fondali, non dimenticando il disturbo causato alla proiezione indiana. Tuttavia, occorre compiere un passo ulteriore per la lettura delle dinamiche, poiché la base navale, in realtà, non avrà specifica vocazione offensiva, né tantomeno sarà in grado di mutare sensibilmente gli equilibri nella regione. LA PRESENZA MILITARE IN AFRICA ORIENTALE – La presenza cinese alle Isole Seychelles non è una novità: i rapporti di cooperazione tra le Forze Armate di Pechino e di Victoria sono cominciati formalmente nel 2004, ma le relazioni diplomatiche tra i due Paesi furono instaurate nel 1976. Altre basi cinesi sono già in Gibuti, Yemen e Oman, e nessuna di esse ha la forma dell’avamposto puramente militare. Alle Seychelles è presente anche un aeroporto statunitense inquadrato nello US Africa Command (AFRICOM) e dotato di droni per il controllo delle coste orientali del Corno d’Africa; altre installazioni di Washington (anche logistiche) si trovano a ridosso della regione, tra Gibuti, Somalia e Kenya. L’India, da parte sua, ha radar e postazioni d’ascolto in Madagascar.
LA LOTTA ALLA PIRATERIA – La problematica di maggior rilevanza internazionale nella regione è la pirateria, la quale, insieme con l’instabilità somala, è uno dei motivi dell’elevata presenza militare. In questo senso, la Cina considera la lotta ai pirati un passaggio essenziale della propria politica estera e militare, operando attivamente sia per mostrare alla comunità internazionale un atteggiamento affidabile, sia per proteggere direttamente i propri traffici navali. Pechino ha l’assoluta priorità di garantire la sicurezza delle imbarcazioni che transitano dalle acque dell’Oceano Indiano occidentale provenendo da due mercati fondamentali per l’economia della Cina, ossia l’Africa e l’America meridionale. Le Isole Seychelles sono il primo punto d’approdo per le navi cinesi in navigazione al largo del Corno: non a caso, il ministro Guanglie, annunciando il progetto del porto vicino a Victoria, si è specificamente riferito alla prassi internazionale circa il rifornimento delle flotte, come citato all’inizio dell’articolo. LA BASE CINESE: UN PERICOLO IMMEDIATO? – È indubbio che la Cina abbia interesse a servirsi delle Seychelles quale punto d’appoggio per il rafforzamento della propria proiezione in Africa e nell’Oceano Indiano, così come è innegabile che l’India, osservando i porti favorevoli a Pechino a ovest (Golfo di Aden) e a est (Golfo del Bengala), percepisca il rischio dell’accerchiamento. Tuttavia, la base navale cinese nell’arcipelago non è, di per sé, in grado di mutare sensibilmente l’equilibrio nella regione principalmente per due ragioni. In primo luogo, la presenza della Repubblica Popolare in Africa non risentirà particolarmente di un avamposto a solo sostegno delle rotte marittime: è probabile, infatti, che i pirati desistano in una certa misura dall’assaltare navi cinesi, ma è difficile che da tale eventualità Pechino tragga un vantaggio in grado di alterare in modo incisivo il flusso commerciale. In secondo luogo, la base cinese sarà un’installazione logistica, uno strumento di soft power economico e infrastrutturale. Il progetto di ammodernamento della flotta e la politica di “Far Sea Defense”, ossia la capacità di proiettare la potenza marittima a grande distanza, sullo stile dei gruppi navali statunitensi, sono ancora lungi dalla realizzazione. La Cina non è in grado al momento di sostenere grandi basi all’estero, considerato che, al di là del naviglio ancora in fase di costruzione, la spinta aggressiva di Pechino si sta rivolgendo verso l’Oceano Pacifico: ne è prova l’atteggiamento nel Mar Cinese, da leggersi quale tentativo di porre in sicurezza le acque entro il primo arco insulare. L’Oceano Indiano è una via marittima su cui le navi della Repubblica Popolare possano transitare in sicurezza, non (ancora) una regione per la quale sia prevista l’apertura di un nuovo fronte di scontro. Beniamino Franceschini [email protected]