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Lotta per l’oro nero

Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2012 – Il referendum tenutosi a gennaio dell’anno scorso, che aveva sancito la secessione del Sud Sudan dalla parte settentrionale del Paese, sembrava aver posto la parola fine ad un conflitto lungo decenni. In realtĂ , i problemi sono ben lungi dall’essere risolti: di mezzo, infatti, ci sono le ingenti risorse petrolifere di cui il Sud è dotato. L’unico gasdotto esistente ad oggi, però, deve passare dal Nord ed è stato costruito dalla Cina. A fare da contraltare c’è un progetto per una pipeline alternativa finanziata dagli USA. Ecco perchè il Sudan rischia di diventare una delle aree di frizione geopolitica piĂą calde

 

NORD CONTRO SUD – Il Sud del Sudan e il Nord sono in uno stato di tensione permanente alternata a periodi di guerra vera e propria sin dal 1955, in un altalena continua tra “caos calmo” e momenti particolarmente drammatici. Gli accordi di  Naivasha sottoscritti nel Gennaio del 2005 dal Movimento per la Liberazione del Sudan e dal governo di Khartoum segnarono la fine (almeno teorica) della seconda guerra civile sudanese e furono una pietra miliare nel lungo conflitto tra Sud e Nord. Il patto accordò una forma di autonomia legale (e non solo sostanziale) al Sud che iniziò faticosamente a costruire la sua reale indipendenza, sancita poi formalmente dal Referendum sull’indipendenza del Gennaio 2011, a cui fu data una buona copertura mediatica anche a livello internazionale. Scontato il trionfo con percentuali bulgare dell’opzione separatista. La creazione del nuovo Stato ha però lasciato sul tavolo due questioni cruciali di difficile composizione: la definizione dei confini e la spartizione degli introiti derivanti dall’esportazione del petrolio. Accanto ad essi, sono rimasti sul tavolo altri due nodi di piĂą facile soluzione ma che, in un contesto di tensione, hanno contribuito a complicare ulteriormente il quadro; la suddivisione del debito estero e la questione dei diritti di cittadinanza.

 

ANCORA SCONTRI – L’indipendenza del Sudan del Sud è stata ufficialmente sancita e celebrata il 9 Luglio dello scorso anno. Da Agosto a Dicembre sono ripresi gli scontri localizzati sull’area di confine tra sud e nord sud tra i gruppi  di ribelli vicini all’esercito popolare di Liberazione del Sudan (SPLM) ora al potere nel Sud Sudan e l’esercito del Nord. Gli scontri hanno causato morti soprattutto tra i civili, rimasti vittime dei raid aerei di Khartoum nella regione strategica del Sud Kordofan. Nel Sud Kordofan infatti è situato il distretto di Abyei, conteso tra nord e sud, che è uno dei due punti cruciali nella disputa tra Sud e Nord. Abitato sia dalla tribĂą nomade di origine araba dei Misseriya (alleata del governo di Khartoum) che dalla tribĂą nera cristiano-animista e stanziale dei Ngok Dinka (co-essenziuale all’SPLM), il distretto di Abyei è ricchissimo di petrolio ed è stato assegnato nel luglio 2009 da un arbitrato internazionale al Sudan del Sud. La decisione sul collocamento definitivo del distretto di Aybei era prevista tramite un referendum da tenersi simultaneamente al referendum sull’indipendenza del sud. Tuttavia, a causa di una contesa su chi debba essere effettivamente ritenuto “residente” e gli scontri che si sono di conseguenza succeduti, la consultazione è stato rinviata a data da destinarsi. Il nord vorrebbe fare votare anche i Misseriya, mentre il governo di Juba spinge perchè questa etnia nomade non venga inclusa: il che garantirebbe l’annessione di Abyei al nuovo stato del Sud.

 

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PROVENTI DEL GREGGIO – Gli accordi del 2005 prevedevano una spartizione equanime dei proventi del petrolio tra il Sud, dal suolo ricco di risorse, e il Nord, unico accesso al mare del vecchio stato unitario. Ora che il Sud è indipendente quegli accordi non sono piĂą validi e vanno rinegoziati. L’escalation di violenza e la strategia della tensione che ha caratterizzato la seconda parte del 2011 è stato il modo da parte del governo di Khartoum di mostrare i muscoli per costringere il neonato stato al tavolo delle trattative. Il problema del governo sud-sudanese è la mancanza momentanea di alternative all‘utilizzo delle infrastrutture del Nord per raggiungere il mare. L’hub petrolifero di Port Sudan e l’oleodotto che lo alimenta (tutto di costruzione cinese) rimangono al momento la strada obbligata per il greggio Sud-sudanese. Il governo di Khartoum invece, con la nascita dello stato indipendente del Sud, si è visto di fatto sfilare da sotto il suolo l’80% delle riserve petrolifere nazionali. La notizia della firma dell’accordo tra il Sud Sudan e il Kenia per la costruzione di un oleodotto che colleghi i suoi campi petroliferi con il porto keniano di Lamu ha segnato un duro colpo, in realtĂ  prevedibile e previsto, per Khartoum. Secondo il New York Times, Stati Uniti e Francia, grandi sostenitori dell’indipendenza del Sud Sudan, sarebbero i finanziatori dell’operazione che permetterebbe al governo di Juba di estrarre e raffinare il greggio tagliando fuori Khartoum. L’obiettivo di Washington è di isolare il presidente sudanese al-Bashir, amico e protettore negli anni ’90 di Osama Bin Laden e grande partner dei cinesi, che sono da tempo gli azionisti di maggioranza dei consorzi che controllano oleodotti e concessioni petrolifere in Sudan. Il governo di Pechino infatti è il piĂą grande acquirente di petrolio del Sudan (nella sua interezza) con circa 13 milioni di barili l’anno. E, guarda caso, proprio i francesi di Total sono coinvolti nelle esplorazioni offshore di Lamu, che dovrebbe diventare un Hub petrolifero a gestione Franco-Statunitense.

 

IL RISCHIO DI UNA GUERRA – Nonostante gli incessanti negoziati e la mancanza di un accordo condiviso, il Sudan del Sud ha continuato ad esportare greggio anche dopo l’indipendenza senza tuttavia pagare i suoi conti, in mancanza di accordi validi, nei confronti di Khartoum. A novembre, secondo statistiche governative, Juba produceva circa 350.000 barili al giorno, Il conflitto sulle tariffe è la ragione dell’escalation: Khartoum chiede al Sudan del Sud un balzello di circa 35 dollari per ogni barile esportato (un terzo del valore del barile sui mercati internazionali), mentre Juba ha offerto ad al-Bashir una compensazione da 2,6 miliardi di dollari e una tassa fissa di 74 centesimi di dollaro al barile. Come contromossa, oltre agli attacchi militari sul confine, il governo di Khartoum ha ordinato a inizio gennaio ad una societĂ  cinese di esportare 650.000 barili di greggio sud sudanese senza il permesso del governo del Sud. Un carico, con un valore commerciale di oltre 650 milioni di dollari, sequestrato come indennizzo per l’uso illegittimo da parte del governo di Juba delle infrastrutture petrolifere di Khartoum. Il 17 gennaio sono stati tenuti dei colloqui ad Addis Abeba tra il governo di Juba e il governo di Khartoum, ma non è stato fatto alcun passo avanti. Khartoum ha annunciato un prelievo forzoso di un quarto del petrolio in transito sui propri oleodotti come forma di pagamento per i mancati introiti e il Sud Sudan ha rilanciato la posta con una mossa in veritĂ  abbastanza estrema, ovvero bloccando ufficialmente il 28 gennaio la produzione petrolifera (che costituisce la quasi totalitĂ  del PIL del paese) e annunciando che il blocco sarĂ  tolto solo quando sarĂ  firmato un accordo globale con Khartoum sui vari temi in agenda. Ad aggiungere confusione una trentina di operai cinesi sono stati “rapiti” dal SPLM-N nel Sud del Kordofan, liberati dopo pochi giorni, in una vicenda ancora da chiarire. Al-Bashir ha risposto al blocco della produzione da parte del Sudan del Sudan alzando ancora di piĂą il tiro ventilando apertamente l’ipotesi di una guerra tra i due stati. Se non si troverĂ  una soluzione rapida al problema e nessuna delle due parti farĂ  marcia indietro, la possibilitĂ  di una guerra si fa sempre piĂą reale.

 

Stefano Gardelli

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