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A2/AD: l’equivoco strategico fra Stati Uniti e Cina

Miscela Strategica – Le capacitĂ  di anti-access e area-denial vengono spesso associate alla crescita militare della Cina, nell’ambito di una strategia di counter-intervention in funzione anti-americana. Un recente paper statunitense sottolinea le contraddizioni di tale visione: la questione riassunta in 5 punti

1)A2/AD: cosa vuol dire?

Ideato da alcuni analisti del Pentagono all’inizio degli anni Duemila, il concetto di anti-access e area-denial (A2/AD) fa riferimento all’idea di utilizzare una serie di strati difensivi di vario genere per proteggere la dimensione terrestre, quella aerea e quella marittima, così da precludere l’avanzamento delle truppe nemiche. In uno studio pubblicato nel 2003, il defence policy analyst del Pentagono Andrew Krepinevich definì come anti-access le strategie che “puntano a prevenire l’accesso delle forze statunitensi nel teatro delle operazioni”, mentre le attività di area-denial devono “limitare la libertà d’azione americana nei confini più circoscritti dell’area sotto diretto controllo del nemico”.

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Foto – Un sommergibile cinese nel porto di Qingdao

2) Come si spiega il successo di questo termine?

La formulazione ideata da Krepinevich ha avuto un grande successo presso il Department of Defense di Washington, tanto da venire ripreso in pubblicazioni successive, e il termine A2/AD è divenuto di uso comune presso la comunità di analisti e studiosi di studi strategici. Una delle principali ragioni di questo successo va ricercata essenzialmente nell’estrema duttilità del concetto di anti-access e area-denial, impiegabile per configurare numerosi tipi di minacce proprie del mondo post-bipolare. Le capacità di A2 ad ampio raggio includerebbero infatti moderni sistemi di sorveglianza e attacco come satelliti e missili cruise/ballistici, oltre all’utilizzo di “proxies” come gruppi terroristici e paramilitari. In merito alle capacità di AD, sarebbero da considerare come tali le forze di difesa aerea, missili guidati, razzi e artiglieria, mine, armi di distruzione di massa e forze da guerra asimmetrica.

3) A2/AD: una strategia costruita ad hoc per la Cina?

Se nessun Paese al mondo può ragionevolmente pensare di prevalere sulle forze USA in una guerra convenzionale, adottare una strategia di A2/AD sembrerebbe la scelta più ovvia per qualsiasi eventuale nemico di Washington, seguendo un classico approccio asimmetrico: questo, in definitiva, è il motive principale per cui il Pentagono e gli esperti di sicurezza occidental guardano al teatro dell’Asia-Pacifico al fine di contestualizzare al meglio la minaccia dell’anti-access e area-denial. Nell’ambito del processo di militarizzazione cinese, in atto ormai da diversi anni, stanno  del resto trovando sempre più spazio proprio le tecnologie e le strumentazioni adatte per sviluppare capacità di anti-access e area-denial. Quello che però resta da capire è se la strategia navale cinese, e più in generale la strategia militare della People Liberation Army Navy (PLAN), prevedano esplicitamente l’impiego di “A2/AD capabilities”, come da gergo statunitense.

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Foto – La fregata cinese Zhoushan nel porto sudafricano di Durban

4) Gli sviluppi navali cinesi e la strategia di Pechino: un “equivoco” statunitense?

La letteratura degli ultimi anni ha spesso associato l’evoluzione della postura difensiva cinese alle capacità di A2/AD, per via dei vascelli e dei sistemi d’armamento della PLAN di più recente acquisizione; in particolare, il missile anti-nave DF 21, i moderni sottomarini diesel della classe Yuan e l’ottantina di esemplari della missile boat Type-022. Due analisti navali statunitensi, M. Taylor Fravel e Christopher P. Twomey, hanno di recente affrontato il tema relativo al come le capacità cinesi di A2/AD vengono “raccontate” dagli studiosi occidentali e come siano effettivamente considerate dai policy-makers di Pechino. Secondo il Pentagono, la Cina farebbe riferimento alla propria postura difensiva come a una strategia di counter-intervention, che impiegherebbe strumenti di A2/AD per impedire a forze militari nemiche di intervenire a largo delle coste cinesi. Fravel e Twomey segnalano invece l’assenza di rimandi al concetto di counter-intervention come strategia nelle pubblicazioni ufficiali cinesi. La counter-intervention sarebbe vista da Pechino come un semplice concetto operativo, e non una strategia militare ben definita o addirittura una grand strategy per limitare la presenza e influenza americana in Asia Orientale. Non a caso, i pochi riferimenti alla counter-intervention nella letteratura specifica cinese si possono trovare quando si discutono le manovre tattiche relative ad un conflitto nello stretto di Taiwan.

Una missile boat Type-022 della Marina cinese
Una missile boat Type-022 della Marina cinese

5) Quali effetti potrebbe avere questo “equivoco” nei rapporti fra i due Paesi?

Per Fravel e Twomey, l’assunto infondato da parte americana che la Cina pianifichi le proprie difese secondo una strategia di A2/AD potrebbe avere dei risvolti negativi per tre ragioni.  In primis, analizzare le politiche di Pechino utilizzando il prisma statunitense porta ad una cattiva comprensione degli effettivi sviluppi militari posti in atto dalla Cina; il secondo aspetto da non sottovalutare è il focalizzare l’attenzione degli analisti su un aspetto minore della postura navale e difensiva cinese, sottovalutando le altre scelte operate dalla leadership politica e militare della Repubblica Popolare Cinese; terzo e ultimo rischio, quello di aumentare gli effetti del security dilemma fra i due Paesi, esacerbando le relazioni fra le due maggiori potenze globali.

Francesco Marino

[box type=”shadow” ]Un chicco in piĂą

In generale, gli sforzi di sea-denial cinesi non andrebbero letti all’interno di un contesto strategico focalizzato sulla presunta minaccia americana, bensì come diretta evoluzione della postura navale del paese, spostatasi da un focus sulla near-coast defense, mutuata dal pensiero di Mao, ad una near-seas active defense nella metà degli anni ’80, fino ad una strategia di operazioni in mare aperto, ideata a metà anni 2000. In tale ambito rientra anche la divisione fra first e second island chain nella geografia strategica cinese, ad indicare le aree di intervento e operabilità delle forze navali di Pechino. [/box]

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Francesco Marino
Francesco Marino

Romano, un percorso di studi in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali negli atenei della sua città natale, poi il trasferimento in UK per frequentare il master in War Studies al King’s College di Londra. Si interessa principalmente di questioni navali,  Asia Orientale e Medio Oriente, con un occhio anche agli aspetti di sicurezza e politica estera comune dell’UE. La passione per arte, musica, letteratura e sport gli ruba fin troppo tempo.

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