Analisi – Le relazioni tra l’Unione Europea e la Cina hanno attraversato fasi alterne negli ultimi anni, caratterizzate da grandi volumi di scambi commerciali, tensioni e preoccupazioni relative alla sicurezza, nonché da un progressivo, crescente orientamento verso una strategia di “de-risking” da Pechino. Il secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca sta, però, spingendo Bruxelles a riconsiderare il proprio posizionamento globale. La domanda è se, tra le sfide legate alla sicurezza, alla politica estera e alle dinamiche commerciali, l’UE possa davvero tornare a considerare la Cina come un partner strategico.
IL DIFFICILE EQULIBRIO TRA COMPETIZIONE E COOPERAZIONE
Nonostante la Cina sia stata etichettata come “rivale sistemico” dall’UE nel 2019, entrambe le parti hanno un comune interesse nel mantenere aperti i canali del dialogo ed evitare una guerra commerciale su larga scala.
Un “sano e stabile” rapporto tra la Cina e l’Unione Europea farà crescere “entrambe le parti” e contribuirà a un “futuro più luminoso” per il mondo. L’affermazione del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi nella conferenza stampa sulla politica estera nell’ambito delle annuali Due Sessioni appare assai significativa: “In mezzo secolo di relazioni UE-Cina, l’asset più prezioso è il rispetto reciproco, la spinta più potente è il reciproco beneficio, il più grande consenso unificante è il multilateralismo e la definizione più accurata è partnership”. Si manifesta, dunque, una chiara strategia: con Washington sempre più ostile, Pechino ha interesse a preservare il mercato europeo per mitigare l’impatto delle restrizioni americane. Allo stesso modo, l’UE potrebbe guardare alla Cina come possibile alternativa per contrastare la crescente pressione economica degli Stati Uniti. D’altronde, diversi Stati membri dell’UE stanno già indicando una maggiore apertura nei confronti della Cina. Berlino, in particolare, ha optato per una posizione meno rigida verso Pechino, opponendosi agli stessi dazi sulle auto elettriche cinesi che l’UE ha imposto lo scorso anno.
Nonostante le pungenti tensioni (geo)politiche, il volume degli scambi tra UE e Cina ha raggiunto i 780 miliardi di dollari nel 2024, mentre gli investimenti bilaterali si avvicinano ai 260 miliardi. La China-Europe Railway Express ha consolidato la propria funzione di snodo logistico tra Asia ed Europa, registrando oltre 100mila viaggi dall’avvio delle operazioni. Questi dati testimoniano l’intensità della relazione economica al di là delle frizioni, come la questione dei sussidi cinesi all’industria automobilistica elettrica e l’intensificarsi delle preoccupazioni sulla sicurezza informatica legate a Huawei.
Inoltre, entrambi i blocchi si ritrovano nel mirino dell’aggressiva politica commerciale statunitense, giacché sia l’Unione Europea che la Cina sono destinatarie delle nuove tariffe imposte da Trump, che vanno dal 10% su tutti i prodotti cinesi al 25% su acciaio e alluminio, colpendo anche le esportazioni europee. Consapevole del deterioramento dei rapporti transatlantici, Pechino sta, quindi, cercando di riavvicinarsi all’UE. Alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco dello scorso febbraio, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha ribadito la volontà di “approfondire la comunicazione strategica” con i partner europei. Analogamente, nel suo incontro con la responsabile della politica estera dell’UE, Kaja Kallas, il Ministro ha sottolineato il sostegno della Cina al ruolo europeo nei negoziati di pace per l’Ucraina. Sebbene Pechino abbia successivamente avallato i colloqui bilaterali tra Russia e Stati Uniti, alcuni leader europei, come il Ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, hanno espresso interesse per un maggiore coinvolgimento cinese nella diplomazia internazionale.
Fig. 1 – Incontro tra Macron, von der Leyen e Xi
BRUXELLES TRA WASHINGTON E PECHINO: LA STRATEGIA DELLA DIVERSIFICAZIONE
Le misure protezionistiche targate “The Donald” fanno sì che l’UE adotti una strategia di diversificazione dei propri rapporti commerciali. La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha avviato una serie di significativi incontri diplomatici: il 12 febbraio con il Primo Ministro canadese uscente Justin Trudeau, mentre nei giorni successivi l’intera Commissione si è recata in India per rafforzare i legami economici con Nuova Delhi. L’idea è quella di costruire una rete di alleanze strategiche con partner che vada anche oltre i tradizionali cosiddetti “like-minded countries” e che potrebbero offrire un contrappeso alla pressione economica degli Stati Uniti.
“L’Europa ha bisogno di alleati, cioè di Paesi con cui condivide alcuni interessi senza essere d’accordo su tutto”. Questo il monito lanciato dall’ex ambasciatore francese negli Stati Uniti, Gérard Araud, dal suo account X.
Il segnale più evidente di un possibile riavvicinamento con Pechino è arrivato il 21 gennaio, durante il World Economic Forum di Davos, il giorno dopo il ritorno ufficiale di Trump alla Casa Bianca. In quell’occasione, Ursula von der Leyen ha adottato un tono più conciliante, affermando che Bruxelles dovrebbe lavorare “in modo costruttivo” con Pechino per espandere i legami economici “dove possibile”. Il 2025 segnerà il 50º anniversario delle relazioni diplomatiche UE-Cina, una ricorrenza che, secondo von der Leyen, dovrebbe essere sfruttata per approfondire il dialogo e rafforzare la cooperazione economica. Anche la retorica cinese sembra più incline a tendere una mano verso l’Europa. Il Primo Ministro cinese, Li Qiang, ha infatti riconosciuto un clima internazionale in cui crescono l’unilateralismo e il protezionismo, nonché un sistema commerciale multilaterale che sta subendo interruzioni, con barriere tariffarie in aumento.
Occorre però ricordare che qualsiasi apertura nei confronti della Cina dovrà fare i conti con l’imprevedibilità della politica statunitense. Uno scenario temuto a Bruxelles è che Trump possa stringere un accordo con Xi Jinping, lasciando l’UE isolata tra le due superpotenze. Ma c’è un rischio ancora più immediato: l’impatto dei dazi statunitensi sulla Cina. Secondo Mario Draghi, l’inasprimento delle tariffe da parte di Washington potrebbe dirottare il surplus cinese verso il mercato europeo, minacciando la competitività dell’industria continentale. “Le grandi aziende europee sono più preoccupate per questa conseguenza che per la perdita di accesso al mercato americano”, ha avvertito l’ex Presidente della BCE. Bruxelles potrebbe quindi trovarsi costretta a imporre nuove tariffe sui prodotti cinesi per proteggere il proprio settore industriale, mossa che rischia di inasprire ulteriormente i rapporti con Pechino.
Un decisivo banco di prova per il futuro delle relazioni tra l’UE e la Cina sarà il vertice bilaterale previsto per maggio 2025. Nel corso di un colloquio telefonico, sia Xi Jinping che il Presidente del Consiglio Europeo, António Costa, hanno manifestato l’intenzione di rafforzare il dialogo, la fiducia reciproca e il partenariato per un migliore futuro delle relazioni sino-europee. L’ultimo vertice UE-Cina, svoltosi a Pechino a fine 2023, era stato segnato dalle tensioni legate ai sussidi cinesi per i veicoli elettrici, con Bruxelles che aveva imposto dazi fino al 35% sulle auto prodotte in Cina. Il vertice di maggio, pertanto, potrebbe rappresentare l’occasione per riaprire il dossier del Comprehensive Agreement on Investment (CAI), il trattato di investimenti UE-Cina congelato dal 2021, e per negoziare un nuovo equilibrio economico tra le due parti.
Fig. 2 – Il Commissario al Commercio, Maros Sefcovic
RISCHI E OPPORTUNITĂ€ DI UN NUOVO RIORENTAMENTO STRATEGICO
Sebbene una relazione piĂą pragmatica con Pechino sia foriera di opportunitĂ , bisogna trattare con la dovuta cautela questo avvicinamento.
Nel suo discorso al Parlamento europeo, Ursula von der Leyen ha delineato le priorità del nuovo Collegio dei Commissari attraverso il “Competitiveness Compass”, una strategia volta a colmare il divario di innovazione con Stati Uniti e Cina, accelerare la transizione ecologica e ridurre le dipendenze economiche dell’UE. Se nel suo intervento Pechino è stata citata esplicitamente solo nel primo punto, la sua influenza è evidente anche negli altri due. La Cina, infatti, detiene una posizione dominante nelle filiere delle tecnologie pulite: oltre l’80% dei pannelli solari e delle batterie globali è prodotto nel Paese, mentre il suo controllo sui minerali critici indispensabili per la transizione verde la rende un attore difficile da aggirare. Questa realtà obbliga l’UE a una difficile scelta: consolidare i rapporti con Pechino per garantire l’accesso alle materie prime strategiche o rafforzare le misure protezionistiche per difendere la propria industria dalla concorrenza cinese, spesso avvantaggiata da massicci sussidi statali.
Il contesto geopolitico, poi, inasprisce ulteriormente i rapporti. Mentre gli Stati Uniti intensificano la propria politica di contenimento nei confronti di Pechino con nuovi dazi e restrizioni tecnologiche, Bruxelles si trova in una posizione scomoda. Seguire la linea dura di Washington significherebbe, infatti, rinunciare a una relazione commerciale fondamentale, con il rischio di danneggiare interi settori produttivi europei. D’altro canto, un’apertura eccessiva verso Pechino potrebbe alimentare una dipendenza economica difficile da gestire. La questione assume contorni ancora più delicati alla luce della guerra in Ucraina: mentre l’UE sostiene Kiev, la Cina mantiene stretti legami con Mosca, offrendo un supporto indiretto che preoccupa molte capitali europee. Più in generale, sono le complesse relazioni che integrano la sicurezza economica europea a rappresentare il fronte critico. Pechino controlla settori strategici, come le infrastrutture portuali e le telecomunicazioni, e il suo crescente attivismo nel cyberspazio solleva interrogativi sulla vulnerabilità dell’UE a possibili attacchi ibridi. Sicché l’impegno di Bruxelles è scongiurare l’errore commesso con la dipendenza energetica dalla Russia, costruendo efficienti alternative per le proprie catene di approvvigionamento.
CONCLUSIONE
Per l’UE, il banco di prova sarà trovare un equilibrio tra l’opportunità di preservare l’accesso al mercato cinese e la volontà di ridurre le proprie vulnerabilità strategiche e, al tempo stesso, fronteggiare i dazi statunitensi e affrontare la nuova, traballante e non scontata, relazione transatlantica. Per farlo, dovrà sfruttare al meglio i propri punti di forza, approfondendo la propria autonomia nei settori industria, difesa e tecnologia, ma, ancora una volta, esaltando le forze del libero mercato senza chiudersi in uno sterile protezionismo. Aprire il mercato, favorire la competizione e liberare le energie imprenditoriali sembra proprio la ricetta più corretta anche nei tempi che viviamo, favorendo al contempo un rapporto equilibrato e regolato con la Cina.
Filomena Ratto
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