L’assetto politico internazionale successivo alla dissoluzione dell’Urss ha cambiato radicalmente la strategia americana della deterrenza nucleare. Lo scudo stellare prefigurato dal presidente Reagan negli anni ’80 e ripreso dalle amministrazioni successive potrà diventare realtà, consentendo una ipotetica guerra nucleare?
DETERRENZA ED EQUILIBRIO DEL TERRORE – Il 19 agosto 1949 l’Unione Sovietica effettuò con successo il primo test di sgancio di una bomba atomica, colmando il ritardo che per quattro anni aveva garantito il primato statunitense nello sviluppo di queste armi, come dimostrato dai bombardamenti delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Ha avuto così inizio la corsa agli armamenti tra le due superpotenze nel tentativo di superare “l’equilibrio del terrore” determinato dallo sviluppo di arsenali di questo tipo, che hanno portato all’elaborazione di strategie di deterrenza. Quest’ultima è la particolare forma di dissuasione che, secondo la teoria matematica dei giochi, può essere definita come il tentativo di influenzare il comportamento di un giocatore convincendolo del fatto che una mossa apparentemente vantaggiosa – come un primo attacco nucleare (First strike) – si ritorcerebbe contro per la risposta immediata e simmetrica del difensore. In base a questa strategia, gli Stati Uniti e l’Urss hanno costruito i loro rapporti durante la guerra fredda (1947-1989), passando dalla dottrina estrema della "rappresaglia massiccia" (massive retaliation) in caso di attacco, alla possibilità di uno scontro convenzionale nelle aree periferiche dei due “imperi”, come nel caso della guerra americana in Vietnam (1965-1975) e russa in Afganistan (1979-1989).
LE PROVOCAZIONI – La deterrenza, quindi, è stata fondamentale per evitare lo scontro diretto tra le due superpotenze ma paradossalmente ha causato gravi crisi per il ricorso di entrambe le parti alla provocazione, realizzata con l'intento di screditare l’avversario e testare la sua volontà ad attuare minacce. Emblematico il caso della crisi sul dispiegamento sovietico di missili nucleari a Cuba (1962) risolta, dopo un pericoloso braccio di ferro durato 13 giorni, con la rinuncia dell’Urss a installare i vettori in cambio della promessa americana di non invadere l'isola caraibica e del ritiro dei missili nucleari Jupiter installati nelle basi Nato turche e italiane. La deterrenza, inoltre, è stata fondamentale per risolvere le tensioni generate dall’esercitazione Nato “Able Archer 83” (1983), che prevedeva una simulazione di attacco nucleare, e per far desistere gli Usa dall’intenzione di dislocare missili atomici Cruise e Pershing II in Gran Bretagna, Italia e Germania occidentale contro le forze del Patto di Varsavia (1983-1987).
FIRST STRIKE? SI PUÒ FARE… – Un tentativo per superare “l’equilibrio del terrore” è stato fatto dal presidente americano Ronald Reagan che nel 1983 ha promosso la Strategic defense initiative (Sdi), finalizzata alla realizzazione di uno “scudo spaziale” in grado di difendere gli Stati Uniti da un attacco nucleare e consentirgli il First strike. Questo progetto avveniristico, per il quale il Congresso stanziò in dieci anni 44 miliardi di dollari, si basava su tecnologie missilistiche, laser e satellitari in realtà all’epoca irrealizzabili, ma contribuì ad aumentare la spesa militare dell’Urss e a farne collassare l’economia. Il programma, ripreso dal presidente Bill Clinton e successivamente da George W. Bush, rientra in un quadro internazionale nuovo, che dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica (1991) vede come principali antagonisti degli Usa il terrorismo islamico, la Corea del Nord e l’Iran. Per contrastare gli “Stati canaglia”, l’amministrazione Bush ha ridefinito la propria strategia, integrando l’uso tattico di armi nucleari – cioè circoscritto al campo di battaglia – con il rilancio della Sdi. Il nuovo scudo, mai realizzato, prevedeva il dispiegamento di un radar di allerta nella Repubblica Ceca e un sistema missilistico da intercettazione in Polonia. La Federazione Russa, però, ha duramente contrastato questo progetto – malgrado l’accordo sottoscritto dai governi interessati – considerandolo come una minaccia concreta.
LO SCUDO DI OBAMA – Il presidente Barack Obama ha rimodulato la Sdi in base alla dottrina strategica che prevede, in considerazione del sovrastimato progresso iraniano in campo nucleare, l’utilizzo di forze speciali e droni in battaglia, ridimensionando la possibilità di ricorrere ad armi nucleari. Il nuovo scudo, “più soft” per ottenere il via libera di Mosca, prevede intercettori mobili in Romania e Polonia, privi però di capacità offensiva. Anche questo progetto è osteggiato dalla Russia e le dichiarazioni elettorali contrarie del neoeletto presidente Vladimir Putin, al suo terzo mandato, non lascino presagire un esito diverso dal passato. L’amministrazione americana, quindi, deve ancora convincere la Russia che l’ombrello protettivo offerto dallo scudo non costituisca una minaccia, compito davvero difficile.
Francesco Tucci [email protected]