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Il polmone cattolico del mondo

Religione, geopolitica e diplomazia sono temi che, sebbene a volte possano apparire distanti, sono in realtà intrecciati tra loro. Ne è una dimostrazione il recente viaggio di Papa Benedetto XVI in Messico e a Cuba. L'America Latina è un continente di importanza strategica per la Chiesa cattolica, con un bacino di 400 milioni di fedeli. Il cattolicesimo però è messo in difficoltà dalle politiche laiciste di alcuni stati e dalla crescente diffusione delle sette protestanti

GRANDE PARTECIPAZIONE POPOLARE – A margine del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Messico e a Cuba, appena concluso, sono molti gli spunti sui quali vale la pena riflettere. Un primo dato che colpisce è la straordinaria partecipazione popolare che ha costantemente accompagnato il pontefice durante il suo soggiorno nei due Paesi centroamericani. Un successo che sul piano mediatico ha offuscato – quando non proprio “spazzato via” – le numerose polemiche che avevano tenuto banco nelle settimane precedenti alla partenza, secondo un copione andato in scena più volte nel corso di questo pontificato: lo scandalo che ha travolto il fondatore messicano dei Legionari di Cristo Marcial Maciel Degollado (e di conseguenza i suoi sponsor Oltretevere), l'accusa di voler incidere attivamente sulle imminenti elezioni generali messicane, le immancabili critiche dei sostenitori della Teologia della Liberazione, che in Benedetto XVI vedono sempre l'ex prefetto del Sant'Uffizio Joseph Ratzinger, loro “nemico storico”. Tutto questo, anche nei corsivi dei commentatori normalmente meno teneri verso la Chiesa e il papa, sembra non avere retto di fronte alle centinaia di migliaia di persone accorse alla celebrazione della Messa sul Cerro del Cubilete a Silao (Guanajuato), nel centro geografico del Messico. NEMESI STORICA – Una fotografia, questa, che ha un po' il sapore di una “rivincita della storia”: poco meno di novant'anni fa, nel gennaio del 1923, quando nel medesimo luogo era stata posta la prima pietra del monumento a Cristo Re (successivamente distrutto nel 1926 e ricostruito nel 1940), il governo rivoluzionario laicista aveva reagito ordinando l'espulsione del delegato apostolico mons. Ernesto Filippi, reo di aver partecipato insieme a qualche migliaio di fedeli a quella cerimonia, che per essersi svolta all'aperto venne considerata anticostituzionale. Si era, allora, alla vigilia di un conflitto civile di matrice religiosa – la guerra cristera (1926-1929) – che sarebbe costato decine di migliaia di morti. Da allora in Messico molte cose sono cambiate, anche se le disposizioni più anticlericali della Costituzione del 1917 – sostanzialmente non applicate fin dalla fine degli anni Trenta – sono state modificate solo nel 1992. Le polemiche che hanno accompagnato il progetto di riforma dell'articolo 24 sulla libertà di culto, approvato dal senato messicano il giorno stesso in cui Benedetto XVI ha fatto ritorno in Vaticano, testimoniano peraltro quanto certe barriere risultino ancora oggi difficili da superare, in un Paese che della “laicità”, o piuttosto del “laicismo”, ha fatto una propria bandiera a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Il progetto originario di riforma presentato nel marzo del 2010 da un deputato del Partido Revolucionario Institucional (PRI) prevedeva ad esempio l'abolizione dell'obbligo di avere un permesso speciale per celebrare atti di fede in pubblico, e stabiliva il rispetto da parte dello Stato del diritto dei genitori a garantire ai figli un'educazione religiosa e morale secondo le proprie convinzioni. Non sembrano richieste scandalose, in una società che voglia definirsi compiutamente democratica. Ed è significativo che di esse si sia fatto portatore un esponente del partito fondato nel 1928 dal generale Plutarco Elías Calles, il presidente della Repubblica più ferocemente anticlericale che abbia mai avuto il Messico. FUOCO DI SBARRAMENTO – Eppure tali proposte non hanno superato il fuoco di sbarramento delle componenti liberali del parlamento, trasversali ai vari partiti: l'articolo ora approvato si limita ad affermare che «ogni individuo ha diritto alla libertà di convinzioni etiche, di coscienza e di religione e ad avere o adottare, in tal caso, quella di sua scelta». Anni luce, senza dubbio, dalla precedente formulazione, che riconosceva la libertà di professare un culto e di osservarne le pratiche nella misura in cui queste non costituissero «un reato o una colpa puniti per legge». Proprio per questo, d'altra parte, non manca chi ancora adesso continua a parlare di “attentato allo Stato laico”. Polemiche che risultano paradossali, oltre che anacronistiche, in uno Stato la cui popolazione per oltre l'80% si dichiara cattolica, e che dopo il Brasile è il secondo Paese cattolico del pianeta.

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AMERICA LATINA DECISIVA PER LA CHIESA – Anche questi dati contribuiscono a spiegare perché il viaggio di Benedetto XVI rappresenti un tornante decisivo per l'intero pontificato. Con i suoi oltre 400 milioni di fedeli alla Chiesa di Roma l'America Latina è ormai da tempo il principale “polmone cattolico” del mondo. Notevolissimo, a questo proposito, è anche il numero di vocazioni al sacerdozio, che in Messico appare in continua crescita. Dietro alle cifre, tuttavia, si nasconde una realtà problematica per diversi aspetti. Il cattolicesimo latinoamericano sta subendo infatti l'attacco sempre più deciso delle numerose e agguerrite sette protestanti, pentecostali in particolare, ben finanziate e basate per lo più negli Stati Uniti. Il fenomeno non è certo nuovo; è appena il caso di ricordare che quando il governo Calles negli anni Venti calpestava il diritto di libertà religiosa di milioni di cattolici, i missionari evangelici e i propagandisti statunitensi della Young Men Christian Association erano liberi di fare proseliti, godendo della stima e dell'appoggio incondizionati – e ricambiati – delle autorità civili. Oggi le sette forse non godono più degli “aiuti di Stato” di un tempo (in Messico, in alcuni casi esse si mostrano piuttosto collaterali ai cartelli del narcotraffico, come in Michoacán). Il proselitismo protestante ha tuttavia raggiunto dimensioni notevoli, complice anche una superficialità nel vivere la fede che colpisce diversi cattolici in America Latina, attenti talvolta più agli aspetti emotivi e materiali della religione che alle ragioni profonde del credere. Di questo si è mostrato ben cosciente Benedetto XVI, che non a caso ha esplicitamente invitato i cattolici messicani a non separare il “cuore” dalla “ragione” e a non isolare il culto mariano, radicatissimo a livello popolare, dal nucleo fondamentale della Rivelazione cristiana. LA LIBERTA' RELIGIOSA – Insieme all'approfondimento della fede e alla necessità di una nuova evangelizzazione dell'America Latina, Benedetto XVI nel suo viaggio ha evidenziato con forza il tema della libertà religiosa. Su questo terreno potenzialmente accidentato, a Cuba soprattutto, il papa ha saputo muoversi con grande abilità e allo stesso tempo con la necessaria discrezione. Posto di fronte alle pressioni dei dissidenti cattolici cubani da una parte, e del regime castrista dall'altra, Benedetto XVI ha perseguito con successo una terza via. Dal punto di vista “ideologico” ha giocato d'anticipo, definendo il marxismo – prima ancora di scendere dall'aereo che lo stava portando oltreoceano – un «sistema ormai superato», e offrendo il contributo della Chiesa locale al rinnovamento morale e sociale dell'intero Paese. Questo gli ha permesso di sottrarsi a molti dei prevedibili tentativi di strumentalizzazione della sua visita a Cuba, durante la quale non sono mancati accenni alla situazione dei detenuti politici ed è stata richiamata a più riprese la necessità di un maggiore rispetto del diritto di libertà religiosa. RISULTATI OTTENUTI – Di più, probabilmente, il papa non poteva fare. È utile a questo riguardo sottolineare che l'azione della diplomazia pontificia, nel dialogo con i governi, ha come obiettivo principale quello di garantire uno spazio (anche minimo) di libertà per la Chiesa, che ne salvaguardi innanzitutto la dimensione pastorale ed educativa. Per questo, se da una parte è lecito supporre che il papa condivida le ragioni di chi, in nome della propria fede, si è sempre opposto e tuttora si oppone al regime cubano, dall'altra Benedetto XVI non può che appoggiare i vescovi che cercano di mantenere con quel regime un rapporto costruttivo, mostrandosi disposti a collaborare con le autorità in vista del bene comune e nella prospettiva di una graduale transizione verso un regime più democratico. Sempre che questo non significhi per la Chiesa venire meno ad alcuni principi “non negoziabili”. La storia del Messico ci offre ancora una volta un esempio istruttivo al riguardo. Il 18 marzo 1938, approfittando anche della confusione internazionale creata dall'annessione dell'Austria alla Germania nazionalsocialista, il presidente messicano Lázaro Cárdenas annunciò l'espropriazione petrolifera a danno delle compagnie straniere. Sia in Austria che in Messico i vescovi si espressero pubblicamente in modo assai favorevole al nuovo corso politico intrapreso dai rispettivi governi. Ma mentre nel primo caso la Santa Sede – per evidenti ragioni – intervenne duramente contro l'episcopato austriaco che aveva accolto trionfalmente Hitler, in Messico si guardò bene dal farlo. Il sostegno dei vescovi messicani alla causa nazionale rappresentava infatti l'inizio di una nuova fase nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, dopo i conflitti dei decenni precedenti. Un fatto che non poteva sfuggire al Vaticano. Oggi il successo della visita di Benedetto XVI in Messico e a Cuba sembra dimostrare la lungimiranza di quella strategia, che nel tempo ha portato i suoi frutti, dagli storici viaggi di Giovanni Paolo II alla riforma dell'articolo 24 della costituzione messicana. Purché si sia disposti ad accettare i proverbiali “tempi lunghi” della Chiesa… Paolo Valvo [email protected]

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