Il premier ungherese Orbán ha perso la maggioranza dei due terzi del Parlamento. Una sconfitta forse inattesa, ma che non ha limitato la forza del suo Governo. L’intesa con Mosca per l’ammodernamento della centrale nucleare di Pask ne è una prova.
IL CLIMA – A Budapest serpeggia un cauto ottimismo. L’Ungheria crede di poter trovare a breve un accordo con l’Euratom, l’agenzia per il nucleare dell’Unione Europea, dopo che quest’ultima ha chiesto delle modifiche al programma per la fornitura di combustibile nucleare con la Russia. Il progetto non è stato bloccato e le richieste dell’Euratom non hanno alcun effetto sulla validità dei contratti sottoscritti solo qualche giorno fa tra i due Paesi, come ha precisato il portavoce dell’esecutivo ungherese Zoltan Kovacs. Quanto basta per rassicurare il premier Viktor Orbán, che il 22 febbraio ha perso la maggioranza dei due terzi del Parlamento. In occasione delle elezioni nella città di Veszprém, indette per sostituire il ministro della Giustizia Tibor Navracsics, nominato commissario europeo per la Cultura, il candidato di Fidesz è stato battuto dall’indipendente Zoltàn Kész.
LE ELEZIONI DEL 22 FEBBRAIO – Una sconfitta forse inattesa visti i precedenti: alle elezioni del 2014 Navracsics aveva battuto il suo diretto avversario con venti punti di scarto. Per quanto soddisfatta, l’opposizione di centrosinistra (i socialisti, Insieme 2014, la Coalizione democratica di Ferenc Gyurcsany e Dialogo per l’Ungheria) non si illude: Orbán continua ad avere una grande influenza sul Parlamento, controllandone 132 seggi sui 199 disponibili (uno sotto alla maggioranza di due terzi). Evidentemente abbastanza per proseguire su un cammino iniziato qualche anno fa: eletto per la prima volta premier nel 1998, all’età di 35 anni, Orbán ha aspettato a lungo prima di avviare alcune (contestate) riforme. Ha atteso le elezioni del 2010, quando ha conquistato i due terzi dei seggi in Parlamento, persi solo di recente. Il tempo che ha avuto a disposizione gli è stato comunque sufficiente. Per fare cosa? Limitare il raggio d’azione dell’opposizione. Nel 2013, ad esempio, il suo Governo ha approvato delle norme che hanno ridotto la possibilità per i partiti politici di fare campagna elettorale attraverso i media nazionali. In teoria la Corte suprema potrebbe annullare le riforme, ma undici dei suoi quindici giudici sono stati nominati dall’esecutivo.
«UNO STATO ILLIBERALE» – Noncurante delle polemiche, il premier ha dimostrato di avere le idee abbastanza chiare sul futuro che attende l’Ungheria. «Dobbiamo abbandonare i metodi e i princìpi liberali nell’organizzazione di una società», ha dichiarato il 26 luglio scorso in occasione di un suo viaggio in Romania. «Stiamo costruendo uno Stato volutamente illiberale», perché «i valori liberali dell’Occidente oggi includono la corruzione, il sesso e la violenza». I modelli di riferimento non mancano: Russia, Cina e Turchia.
L’ASSE MOSCA-BUDAPEST – A est di Budapest il premier ungherese ha trovato qualcosa di più che una fonte d’ispirazione. Oltre a garantire circa l’8o% del petrolio e il 60% del gas importato dall’Ungheria, la Russia è sempre stata un partner diverso dagli altri. Tuttavia ultimamente, nel bel mezzo della crisi ucraina, i rapporti tra i due Paesi si sono fatti ancor più stretti. Soltanto qualche settimana fa, ad esempio, Mosca si è impegnata ad investire 10 miliardi di euro per la costruzione di due nuovi reattori da 1.200 megawatt nella centrale nucleare di Pask, l’unica presente sul suolo ungherese, che a oggi produce il 40% dell’energia elettrica di cui necessita il Paese. Il premier ha fatto approvare una legge che proteggerà con il segreto di Stato per tre decenni qualsiasi informazione sulla tecnologia impiegata e gli investimenti fatti dalla Russia. Le Autorità competenti e quelle giudiziarie potranno ottenere informazioni sul progetto di modernizzazione della centrale, ma soltanto in riferimento ad atti specifici. La legge prevede obblighi anche per la commissione parlamentare sulla Sicurezza. Quest’ultima, infatti, potrà consultare i contratti senza poterne divulgare i particolari. Scelte che hanno aumentato i dubbi dell’UE, secondo cui l’accordo raggiunto tra i due Paesi non è stato sufficientemente trasparente, e dell’Euratom, che ne ha chiesto delle modifiche.
Marcia di protesta a Budapest contro l’imposizione di una tassa su internet
I DUBBI DELLE ONG – C’è chi (si veda Amnesty International e Human Right Watch-HRW) si dice preoccupato per quanto sta accadendo in Ungheria. Dal 2010 in poi il Governo ha adottato diverse leggi che mettono in discussione i diritti umani e la sopravvivenza della società civile. L’UE non ha fatto molto, accusa HRW: si è limitata a una condanna formale. Troppo poco per impensierire il premier ungherese, che, approfittando anche dell’accondiscendenza di Bruxelles, sembra intenzionato a plasmare ulteriormente il sistema politico a proprio vantaggio. Secondo un report di Transparency International, il Governo vorrebbe ridurre il numero di parlamentari, ridisegnare i confini dei collegi elettorali in modo da favorire i candidati del proprio partito (gerrymandering) e violare la legge sul finanziamento ai partiti durante la campagna elettorale.
DIRITTI UMANI A RISCHIO? – C’è un però: la deriva illiberale non è l’unica preoccupazione per chi assiste all’evolversi della situazione politica ungherese. Il Governo di Orbán è stato più volte accusato di non rispettare i diritti delle minoranze: nel settembre scorso, ad esempio, le Nazioni Unite hanno denunciato che, ancora oggi, ai rom vengono negati i servizi sanitari da parte del personale medico, inclusa l’assistenza di primo soccorso. Budapest starebbe contravvenendo così ai trattati sottoscritti nel recente passato. Tra tutti i Paesi ex comunisti, infatti, l’Ungheria è stato il primo ad aderire alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e a ratificare, in qualità di Stato membro dell’UE, il trattato di Lisbona il 17 dicembre 2007.
Il REPORT DEL CONSIGLIO D’EUROPA – Un rapporto del Consiglio d’Europa, l’organizzazione indipendente dall’UE per la tutela di democrazia e diritti umani di cui fanno parte 47 Paesi, denuncia le limitazioni alla libertà di stampa. Lo scorso giugno, ricorda nel dossier il commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks, il Governo ha introdotto una tassa sugli spazi pubblicitari in base al volume dei guadagni, attraverso l’impiego di aliquote progressive fino a un massimo del 40% sulle inserzioni pubblicitarie, da applicare ai gruppi editoriali con ricavi pubblicitari superiori ai 65 milioni di euro. In vigore da agosto, la norma è stata accolta con scetticismo dall’OSCE e dal gruppo editoriale Rtl. Quest’ultimo, infatti, sostiene che l’introduzione della norma è stata voluta esclusivamente per danneggiarlo. Dubbi legittimi, forse. Del resto, oltre a essere uno dei principali canali televisivi ungheresi, Rtl è il principale rivale del canale TV2, acquistato di recente da imprenditori vicini al partito Fidesz, ed è l’unico ad avere ricavi pubblicitari superiori ai 65 milioni di euro.
Mirko Spadoni
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
A metà dicembre il Consiglio d’Europa ha pubblicato un report lungo 44 pagine. Nel rapporto, che è possibile consultare nella versione inglese, il Consiglio esprime forti preoccupazioni per alcune scelte del Governo, che limiterebbero la libertà di stampa e metterebbero a rischio la tutela dei diritti umani delle minoranze.
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