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Toma ‘il becchino’ e gli spettri serbi

Il 20 maggio si è svolto il ballottaggio tra i due candidati alle presidenziali serbe Boris Tadic e Tomislav Nikolic, conclusosi con l’elezione a sorpresa di quest’ultimo. L’ex-supervisore di cimiteri ha ora dinanzi a sé un sentiero lungo e tortuoso per raggiungere la meta dei dialoghi europei e del miglioramento della situazione economica del paese; ma prima ancora di pensare al traguardo, deve pensare ai colleghi che gli si affiancheranno al governo del paese

VOTO A SORPRESA – L’appuntamento elettorale di domenica era giunto con dinamiche che lasciavano presagire un verdetto differente: Tadic era il favorito nella corsa alla carica di presidente della repubblica e con la sua elezione la formazione del governo sarebbe stata molto più lineare. Già all’indomani del primo turno elettorale i socialisti di Dacic (affermatisi terza forza politica) avevano infatti annunciato l’intenzione di proseguire nell’alleanza con i democratici dell’ex-presidente Tadic; ciò avrebbe comportato la necessità, facilmente soddisfabile, di trovare un terzo partner (probabilmente i liberali) per permettere alla coalizione di ottenere la maggioranza in parlamento ed avviare così uno stabile terzo mandato del leader democratico.

L'ECONOMIA MR. TADIC, L'ECONOMIA… – Ma gli elettori serbi non hanno perdonato all’ultimo governo i risultati che tardano a palesarsi nella performance economica della nazione: l’inflazione all’11%, la corruzione molto estesa e la disoccupazione al 25%, con punte ben più alte nelle zone meno sviluppate, sono macigni inamovibili legati alle caviglie dei corridori delle gare elettorali e questo Boris lo ha pagato sulla sua pelle; a nulla sono valsi successi quali lo status di paese candidato alla membership europea. Nella formazione del nuovo governo i democratici e, vero ago della bilancia, il partito socialista non sono però ancora fuori dai giochi ed i “nazionalisti moderati” di Nikolic dovranno tenerli in considerazione.

CHE FARE? – Il Partito progressista serbo (Sns) è quindi il vincitore delle elezioni, ma non ha i numeri sufficienti per poter formare un governo “monocolore” e nemmeno per uno semplicemente in coppia con un altro partner di coalizione. Dunque lo scenario su cui si sono concentrati molto nelle ultime ore i media serbi è quello di una coabitazione tra Nikolic, presidente della repubblica, e Tadic, nella veste di primo ministro, con i socialisti terza forza a comporre la maggioranza: uno scenario impensabile fino a pochi giorni fa e che determinerebbe un governo i cui componenti dovrebbero forse prodigarsi più nel mantenere la calma tra di loro che non nell’elaborare le politiche economiche e di riforma che esige il paese, ma la Serbia vive una fase delicata e la politica dovrà adeguarsi. Tadic ha inizialmente scartato l’ipotesi di un simile panorama già domenica sera al termine dello spoglio, ma indiscrezioni dal suo entourage suggeriscono che stia riconsiderando la sua presa di posizione.

COSA OFFRE LO SCAFFALE – E se non fosse Tadic a formare il nuovo governo serbo, chi potrebbe ricevere allora questo incarico? Alcuni democratici fanno il nome di Djilas, sindaco di Belgrado e astro nascente del partito. Ma a prescindere dai nomi che si ventilano il partito socialista sarà sicuramente un interlocutore importantissimo nella creazione dell’esecutivo ed il suo leader si giocherebbe la carica di nuovo capo di governo, ma con il sostegno di quali altre forze? Il partito radicale serbo, di cui Nikolic era precedentemente il leader, ha perso tutti i seggi in parlamento e quindi rimangono come possibili interlocutori il partito democratico di Serbia guidato da Kostunica e i liberal-democratici: entrambi i partiti hanno 20 seggi all’assemblea nazionale (unica camera del parlamento) e permetterebbero di raggiungere la maggioranza di 125 seggi se si alleassero con la coalizione Dacic+Nikolic. Questo ragionamento sarebbe validissimo però solo senza considerare che la maggior parte di questi altri partiti in parlamento ha rilasciato dichiarazioni di supporto ad un nuovo esecutivo guidato da Boris Tadic.

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LA SCELTA TECNICA – In alcuni circoli si fa invece il nome di Kori Udovicki, funzionaria di alto livello presso il Segretariato dell’ONU e competente economista: un tecnico dunque al posto di primo ministro per uscire da una fase economica difficile. Miroslav Zdravkovic, economista, afferma che supporterebbe un governo guidato da Udovicki, ma sottolinea come sarebbe alquanto fragile data la necessaria convergenza tra i DS e SNS per sostenerlo; Vladimir Goati, direttore di Transparency Serbia, apprezza una soluzione di esperti all’esecutivo, ma puntualizza anche lui su come, in un paese in cui i politici detengono tanto potere, le sorti e le decisioni dei governanti siano alquanto condizionate. Dunque la scelta tecnica sembra apprezzata da molti osservatori, ma tutti riconoscono che porterebbe ad una situazione di estrema fragilità istituzionale.

UNA TETRA ACCOGLIENZA – Mentre si disquisisce su chi sarà il nuovo primo ministro, il neo-presidente Nikolic ha già gettato scompiglio: gli spettri del suo passato aleggiano pesanti, soprattutto per i vicini. Il prof. Zarko Puhovski ricorda come Nikolic fosse un individuo abituato a “rilasciare dichiarazioni riguardanti la Croazia, la Bosnia Herzegovina e la Macedonia che non possono essere considerate amichevoli”; non c’è da stupirsi dati i suoi trascorsi: combatté brevemente in Croazia e fu un discepolo leale di Vojislav Seselj, ultra-nazionalista serbo sotto processo a L’Aia per crimini di guerra. Certo le posizioni di “Toma il becchino” (si è guadagnato questo soprannome dato i suoi trascorsi lavorativi in un cimitero) si sono temperate parecchio da quando ha lasciato il partito radicale serbo nel 2008, ma lui stesso ha promesso una mano più ferma nel trattare le rivendicazioni di Belgrado, specie per quanto riguarda la questione kosovara, ed un rafforzamento dei rapporti con Mosca, storica partner.

BECCHINO O SPAVENTAPASSERI? – Ma se la Serbia non vuole abbandonare il cammino europeo, come ha lui stesso dichiarato, allora le restanti capitali balcaniche possono pensare a tirare il fiato, perché Zagabria, 28° membro UE dal 2013, avrà un forte strumento di pressione per tenere a bada i sentimenti nazionalistici del vicino serbo, ovvero il suo veto all’ingresso definitivo della Serbia nell’Unione; altro motivo per non allarmarsi troppo? L’unione non accetterà mai un deterioramento dei rapporti Serbia-Kosovo senza attuare “rappresaglie” politiche ed economiche. Il percorso fin qui rispettato dalla Serbia è costato sacrifici da parte del governo e della popolazione, rispettare i parametri di Bruxelles non è una passeggiata, buttare un progetto ormai in dirittura d'arrivo sarebbe come ammettere di aver sprecato più di 5 anni di sudori e fatiche. Nikolic, in fondo, non potrà certo comportarsi come una tigre indomabile in un contesto come quello attuale, in cui l'unica certezza è proprio l'assenza di certezze.

Matteo Zerini [email protected]

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Matteo Zerini
Matteo Zerini

Laureato magistrale in Relazioni Internazionali presso la Statale di Milano, frequento ora il master Science & Security presso il King’s College di Londra. Mi interesso soprattutto di quanto avviene in Europa orientale, Russia in particolare, e di disarmo e proliferazione, specie delle armi di distruzione di massa.

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