Scomparso nei giorni scorsi a Nassiriya, Tariq Aziz è stato uno dei principali protagonisti della storia recente dell’Iraq, ricoprendo il doppio ruolo di Vice-Premier e Ministro degli Esteri durante il lungo regime di Saddam Hussein. Diplomatico esperto, Aziz ha guidato il suo Paese attraverso momenti difficili come il feroce conflitto con l’Iran degli anni Ottanta e la catastrofica sconfitta militare della Guerra del Golfo. Sino all’invasione anglo-americana del 2003 e al successivo sfaldamento dello Stato iracheno, visto con genuino sconforto da Aziz nelle prigioni del nuovo Governo “democratico” di Baghdad.
MORTE NATURALE – Stroncato da un infarto nel carcere di Nassiriya, Aziz era in attesa dell’esecuzione della propria condanna a morte, decisa da un tribunale iracheno nell’autunno del 2010. Nel 2011 egli aveva già cercato di convincere il Governo di Nouri al-Maliki ad accelerare le procedure della propria esecuzione a causa di seri problemi di salute, ma le sue richieste erano state ripetutamente ignorate dalle Autorità di Baghdad. Inutili anche gli appelli alla clemenza avanzati dal Vaticano, che aveva spesso giocato il ruolo di “avvocato difensore” dell’ex Ministro iracheno durante i lunghi processi dell’era post-Saddam. Consegnatosi spontaneamente agli americani nell’aprile 2003 in cambio di garanzie per la sicurezza della propria famiglia, Aziz aveva spesso rimpianto di non avere seguito la strada della guerriglia di altri ex gerarchi del regime come Izzat Ibrahim al-Douri, ucciso lo scorso aprile dalle milizie sciite filo-governative nella provincia di Salahuddin. Ma non era mai stato un soldato, a dispetto delle numerose apparizioni ufficiali in divisa militare, e il suo carattere schivo e cordiale lo rendeva altamente improbabile come leader degli irriducibili ribelli baathisti del “triangolo sunnita”, confluiti di recente nelle fila di ISIS. Per non parlare della sua fede cristiana, che lo poneva irrimediabilmente ai margini del nuovo Iraq islamico e settario uscito dall’invasione anglo-americana del 2003.
Fig. 1 – Tariq Aziz a colloquio con Papa Giovanni Paolo II nel febbraio 2003
BAATHISTA CONVINTO – Nato nel 1936 a Tel Keppe, nel nord del Paese, Aziz apparteneva infatti all’antica comunità cristiano caldea dell’Iraq ed aveva ricevuto da giovane un’educazione di stampo cattolico. Tuttavia egli si avvicinò nel corso degli anni Cinquanta all’ideologia laica e pan-araba del Partito Baath, fondato in Siria da Zaki al-Arsuzi nel 1940. Influenzato dal pensiero nazionalista del filosofo Michel Aflaq, il Baath si proponeva di iniziare un nuovo “rinascimento arabo” mirato a superare l’umiliante esperienza del colonialismo occidentale in Medio Oriente e a modernizzare in senso socialista le strutture socio-economiche della regione. Pur essendo autoritario, il Partito era anche aperto alla collaborazione attiva delle minoranze religiose presenti nei Paesi mediorientali, dando valore all’Islam solo a livello storico-culturale, e fu probabilmente tale aspetto ad avvicinare Aziz alla sezione irachena dell’organizzazione, perseguitata duramente dal regime conservatore di Faisal II. Diventato membro del Baath nel 1957, Aziz si occupò principalmente della propaganda del Partito, scrivendo articoli e lavorando da editor per il giornale al-Thawra. Dopo il golpe del 1968, che diede finalmente al Baath il controllo del Paese, la carriera politica di Aziz cominciò finalmente a decollare, grazie soprattutto al favore di Saddam Hussein, nuovo e spietato uomo forte dell’organizzazione. È molto probabile che Saddam vedesse di buon occhio le abilità diplomatiche e comunicative di Aziz, supportate anche da un’ottima conoscenza della lingua inglese, appresa all’Università di Baghdad. Inoltre, l’aspetto riservato e burocratico di Aziz lo rendeva certo un rivale poco pericoloso per il Raiss, già intento a stabilire una dittatura di tipo personalistico all’interno della rigida struttura centralistica del Baath.
Fig. 2 – Tariq Aziz e Saddam Hussein in una vecchia foto degli anni Settanta
IRAN E STATI UNITI – Diventato membro del Consiglio Supremo della Rivoluzione nel 1977, Aziz si vide affidare due anni più tardi l’importante carica di Ministro degli Esteri, divenendo di fatto la voce internazionale del nuovo Presidente Saddam Hussein. Inoltre, Saddam gli affidò anche la carica simbolica di Vice Primo Ministro, assicurandosi un alleato fedele all’interno dei principali organi dello Stato iracheno. Accettando tale posizione prestigiosa, però, Aziz finì per esporsi alla furia degli oppositori del regime, soprattutto della comunità sciita, politicamente emarginata dal Governo filo-sunnita di Saddam. Nell’aprile del 1980, il neo-Ministro scampò infatti a un terribile attentato organizzato dal Partito Islamico Dawa, guidato dal religioso sciita Muhammad Bair al-Sadr e sostenuto esternamente dall’Iran. Tale evento fu una delle principali cause della successiva guerra tra Iran e Iraq, durata sino all’estate del 1988, e provocò anche una delle più feroci ondate repressive del regime baathista, con centinaia di arresti ed esecuzioni sommarie. Durante il lungo conflitto con l’Iran, Aziz usò con notevole abilità il proprio talento diplomatico per ottenere aiuti economici e militari dai Paesi occidentali, spaventati dalla rivoluzione khomeinista a Teheran. Il suo maggiore successo di quegli anni fu soprattutto il riavvicinamento con gli Stati Uniti, che avevano mantenuto rapporti piuttosto tiepidi e sospettosi con Baghdad dopo il golpe baathista del 1968. Preceduta dalla visita di Donald Rumsfeld in Iraq del dicembre 1983, la nuova entente cordiale americano-irachena fu definitivamente siglata alcuni mesi più tardi dallo storico viaggio di Aziz a Washington, accompagnato anche da un cordiale incontro privato con il Presidente Ronald Reagan. In virtù del ritrovato accordo tra i due Paesi, l’Iraq ricevette per buona parte degli anni Ottanta considerevoli aiuti militari e il prezioso supporto logistico-informativo della CIA, ottenuto persino per operazioni di guerra chimica contro le Forze armate iraniane nella regione di Basra.
GUERRA DEL GOLFO – Al termine della guerra con l’Iran, pagata a caro prezzo da milioni di soldati e civili iracheni, Saddam decise di rivendicare il controllo del vicino Kuwait confidando sulla benevola indifferenza dell’Occidente. È difficile stabilire con precisione il ruolo di Aziz in tale catastrofica decisione, anche se l’allora Ministro degli Esteri aveva certo pochi mezzi per opporsi alla volontà assoluta di Saddam. Ad ogni modo, dopo l’invasione irachena del Kuwait nell’agosto del 1990 Aziz tentò ripetutamente di arrivare a un accordo pacifico con i Paesi occidentali sulla vicenda, incontrandosi spesso a Ginevra con il Segretario di Stato americano James Baker. Il Governo di Washington non era però disposto ad accettare altra soluzione se non il totale ripristino dell’indipendenza kuwaitiana, e l’impossibilità di arrivare a un compromesso ragionevole finì per condurre all’Operazione Desert Storm del gennaio 1991, con la totale disfatta dell’Esercito iracheno di fronte allo strapotere tecnologico della coalizione militare internazionale guidata dagli Stati Uniti per liberare il Kuwait. Devastato dalla guerra e strangolato da un duro regime di sanzioni internazionali, l’Iraq rimase in una sorta di limbo diplomatico ed economico per tutti gli anni Novanta, con il graduale degrado delle moderne infrastrutture produttive ed energetiche messe in piedi dal regime Baath negli anni Settanta e Ottanta. In tale difficile periodo Aziz finì anche per perdere il dicastero degli Esteri, segno forse della crescente ostilità di Saddam nei suoi confronti.
Fig. 3 – Aziz durante una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 1994
COUNTDOWN ALL’INVASIONE – Nel 1998, la decisione del Congresso americano di varare l’Iraq Liberation Act, con l’obiettivo di provocare un cambio di regime a Baghdad, segnò l’inizio della fine per il regime di Saddam. Rilanciata con forza dall’Amministrazione Bush dopo gli attacchi terroristici del settembre 2001, l’idea di rovesciare Saddam e sostituirlo con una nuovo Governo filo-occidentale cominciò rapidamente a prendere piede negli ambienti politico-militari di Washington e Londra, che sfruttarono la questione apparentemente irrisolta delle armi di distruzione di massa di Baghdad per giustificare un’invasione in grande stile del territorio iracheno. Tutti i tentativi di scongiurare tale evento, dalle missioni ONU guidate da Hans Blix e Mohamed ElBaradei per ispezionare i siti militari iracheni alle iniziative diplomatiche della Francia, si rivelarono sostanzialmente inutili, travolti dal desiderio ossessivo di Bush e Tony Blair di distruggere il regime di Saddam. Pur privo di reale potere diplomatico, anche Aziz cercò di fare il possibile per salvare il suo Paese, sostenendo la missione ONU di Hans Blix e lanciando segnali distensivi al Governo britannico attraverso diversi canali informali. Nel febbraio 2003, in un ultimo disperato tentativo di scongiurare l’invasione, il Vice-Premier iracheno venne anche in Italia per incontrarsi con Papa Giovanni Paolo II, da cui ottenne pieno supporto per una risoluzione pacifica della controversie sul disarmo chimico e batteriologico nel suo Paese. Qualche settimana dopo, però, l’Iraq veniva invaso da una coalizione militare a guida anglo-americana, e il regime di Saddam veniva rapidamente rovesciato mettendo fine alla trentennale esperienza baathista in Iraq. Datosi inizialmente alla macchia dopo la caduta di Baghdad, Aziz si consegnava volontariamente alle forze d’occupazione americane nell’aprile 2003, neanche tre mesi dopo la sua visita ufficiale in Vaticano.
Fig. 4 – Uno stanco Tariq Aziz durante le prime udienze del processo che lo ha condannato a morte per “persecuzione dei Partiti islamici” nel 2010
UN TRISTE EPILOGO – Dopo tre anni di prigionia in mani americane, Aziz fu infine consegnato al nuovo Governo di Baghdad per essere processato per i suoi supposti crimini contro il popolo iracheno. Inizialmente condannato a quindici anni di carcere per l’esecuzione di alcuni commercianti dopo la Guerra del Golfo, l’ex Vice-Premier venne condannato a morte nel 2010 per “persecuzione dei Partiti islamici”, sentenza vista da molti come una vendetta dei suoi vecchi nemici del Partito Dawa, ora al Governo con Nouri al-Maliki. Il Presidente Jalal Talabani si rifiutò di firmare l’ordine di esecuzione, ma Aziz non si fece alcuna illusione su una possibile grazia, passando i suoi ultimi anni all’ombra del patibolo e afflitto da gravi problemi cardiaci. Nel frattempo l’Iraq si sfaldava sotto i suoi occhi, dilaniato da feroci conflitti settari e dal riemergere prepotente dell’Islam come forza politica dopo il regime laico del Baath. Una visione che certamente accrebbe la sua angoscia personale, tanto da spingerlo a chiedere in un’intervista il proseguimento dell’occupazione americana per evitare l’ulteriore disintegrazione del Paese. Inoltre, la feroce persecuzione della minoranza cristiano caldea, praticamente sradicata dai suoi luoghi d’origine nel nord del Paese, lo addolorò profondamente, svelando il fallimento dei suoi vecchi ideali politici di un Iraq moderno e secolare, aperto a tutte le sue differenti comunità religiose. «Vorrei essere morto da martire», disse in un’intervista al Guardian nel 2010, rimpiangendo di aver preferito la cattura alla morte in combattimento. Ora la sua agonia è finita, ma quella dell’Iraq continua e appare senza fine.
Simone Pelizza
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]
Un chicco in più
Tel Keppe, la città natale di Tariq Aziz, si trova nel Governatorato di Ninawa, circa 20 Km. a nord di Mosul. Un tempo culla della comunità cristiano caldea irachena, essa ha perso buona parte della sua popolazione dopo l’invasione anglo-americana del 2003 ed è caduta nelle mani di ISIS nell’estate 2014. Molti dei suoi abitanti cristiani vivono ora in Europa e negli Stati Uniti. [/box]
Foto: baghdadinvest
Foto: ritikapatel5489