Il giorno dopo il ritiro americano dai centri urbani, l’Iraq ha aperto l’asta per lo sfruttamento delle risorse petrolifere, fondamentale per ricostruire il Paese. È accaduto di tutto, anche due attentati, legati a doppio filo con l’affare petrolio
APERTE LE DANZE – Dopo il ritiro delle Forze statunitensi da tutti i centri urbani, come previsto dagli accordi del SOFA (che peraltro dovranno essere confermati tramite referendum popolare ad inizio 2010), l’Iraq ha oggi ufficialmente aperto l’asta per lo sfruttamento e l’implementazione delle immense risorse petrolifere presenti nel Paese. Ad accaparrarsi i primi contratti in assoluto, riguardanti il giacimento di Rumaila (circa 18 miliardi di barili di petrolio di riserve) sono state la britannica British Petroleum (BP) e la cinese CNPC International Ltd che hanno raggiunto l’accordo per un contratto ventennale secondo il quale dovranno arrivare a produrre fino a 2,8 milioni di barili di petrolio giornalieri e, secondo quanto dichiarato dal Ministro per il Petrolio iracheno al-Shahristani, riceveranno dallo Stato un prezzo di 2 dollari per ogni barile prodotto.
TESORETTO – In ogni caso, gli introiti derivanti dalle immense risorse di idrocarburi irachene (stimate in circa 45 miliardi di barili di petrolio), saranno ingenti e saranno l’imprescindibile base per la ricostruzione del Paese, martoriato da 6 lunghi anni di guerra, oltre che dal retaggio dei trent’anni di regime di Saddam Hussein. Shahristani ha dichiarato che l’obiettivo principale è quello di raggiungere, entro il 2014, una produzione di almeno 4 milioni di barili di petrolio al giorno. Secondo i calcoli del governo iracheno, in questo modo nelle casse dello Stato entreranno circa 1,7 milioni di miliardi di dollari nei prossimi 20 anni di cui, secondo quanto detto dal Primo Ministro al-Maliki, solo 30 miliardi finiranno nelle casse delle compagnie straniere.