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Accordo sul nucleare: l’impatto sulla capacità militare iraniana

Miscela Strategica – Uno degli aspetti più significativi, ma sottovalutati degli accordi sul nucleare iraniano è l’impatto che questi potranno avere sulla complessiva capacità militare del Paese. L’attenzione riscossa dagli effetti delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulle dinamiche economiche ed energetiche ha messo in ombra due dimensioni altrettanto rilevanti dell’embargo strettamente connesse tra loro: la questione delle forniture di armi e le prospettive di sviluppo della capacità militare iraniana

ARMAMENTI E SANZIONI – Le sanzioni imposte negli ultimi trent’anni dalla comunità internazionale hanno contribuito a delineare fin dalla nascita della Repubblica Islamica iraniana il peculiare modello di procurement militare e di sviluppo dell’industria nazionale della Difesa. Lo stretto legame con gli Stati Uniti, che aveva portato lo Scià ad equipaggiare le proprie Forze Armate con i più avanzati sistemi d’arma britannici e americani, andò deteriorandosi con la rivoluzione di Khomeini e la presa dell’ambasciata americana a Teheran nel 1979. Ciò fu la causa del paradosso che portò un Iran equipaggiato con armamenti americani ma sostenuto dall’Unione Sovietica a combattere per otto anni contro un Iraq equipaggiato con armamenti sovietici ma sostenuto dagli Stati Uniti (1980-1988).
Le sanzioni approvate nel 1984 dall’amministrazione Reagan per imporre unilateralmente un embargo sulla vendita di armi americane all’Iran spinsero Teheran a passare da un approvvigionamento della difesa attraverso canali ufficiali ad un mercato parallelo, non sempre legale. Traffico di tecnologia dual-use, falsificazione di documenti, contraffazione del destinatario finale e triangolazioni con Paesi ad ogni angolo del pianeta sono solo alcune delle vie utilizzate da Teheran per continuare a rifornirsi di armamenti e parti di ricambio di produzione occidentale. Si stima che l’Iran (durante gli otto anni di guerra) abbia comprato armi da quasi trenta Paesi diversi. Per interrompere questo flusso, costituito per la maggior parte da datazioni americane la cui produzione era stata concessa su licenza ad altri Paesi del blocco atlantico, gli Stati Uniti lanciarono la campagna Operation Staunch. Richard Fairbanks, l’inviato speciale posto alla guida dell’operazione, si recò personalmente dai principali fornitori dell’Iran per cercare di convincerli a interrompere il rifornimento d’armi, più o meno clandestino, al regime di Khomeini.

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Fig. 1 – Soldati iraniani durante la guerra Iran-Iraq

IL PROCUREMENT OGGI – Le sanzioni americane, congiuntamente al blocco dei rifornimenti da parte dei partner dell’Alleanza Atlantica, condizionarono pesantemente le attività di procurement militare dell’Iran, che fu così costretto a perseguire due vie parallele: da una parte riequipaggiare le proprie forze con i più avanzati sistemi d’arma da Unione Sovietica, Cina e, fino ad un certo momento, Corea del Nord, e dall’altra investire massicciamente nella propria industria nazionale. Dal 1992 è stata la Russia a fornire all’Iran i più avanzati sistemi d’arma, tra cui carri armati T-72, sistemi missilistici da difesa aerea TOR-M1, caccia Mig-29 e cacciabombardieri Sukhoi. Nel 2010, per coerenza con la decisione presa in seno alle Nazioni Unite, Mosca cancellò l’accordo dal valore di un miliardo di dollari per la vendita di 5 batterie S-300, sistemi missilistici terra-aria a lungo raggio necessari a Teheran per migliorare la difesa delle proprie installazioni nucleari. La Russia, infatti, aveva appena votato a favore dell’ultimo round di sanzioni ONU per impedire lo sviluppo militare del programma nucleare iraniano. Secondo la risoluzione 1929, oltre al trasferimento di tecnologia nucleare, veniva vietata anche la vendita all’Iran di «ogni carro armato da combattimento, mezzi da combattimento corazzati, sistemi d’artiglieria di grande calibro, aerei da combattimento, elicotteri d’assalto, navi da guerra, missili e sistemi missilistici e materiale relativo, inclusi i pezzi di ricambio».Infografica Iran
Negli ultimi cinque anni l’embargo imposto al Paese dalle Nazioni Unite ha quindi bloccato il flusso di sistemi d’arma di Russia e Cina, da cui Teheran è ancora dipendente per la produzione e il mantenimento (inclusi pezzi di ricambio e addestramento) della più sofisticata anima dell’arsenale iraniano. Dal 2010, il blocco dei tradizionali canali di approvvigionamento delle armi rappresenta un costo sia politico che economico molto elevato per Teheran. L’impossibilità di trovare un valido sostituto dei principali fornitori ha costretto il Paese ad adottare misure alternative attraverso maggior investimenti in termini finanziari e di tempo, con risultati inferiori. Oltre a un ricorso sempre più creativo e fantasioso al mercato grigio e nero, Teheran ha infatti cercato di rafforzare ulteriormente l’industria della difesa nazionale. Dopo il fallimento della trattativa per le batterie di S-300 con la Russia e il cortese rifiuto della Cina, che su pressione internazionale fu costretta a sua volta a declinare l’invito, l’Iran decise di sviluppare i propri S-300 potenziando gli S-200 che aveva a disposizione.
Come strategia di sviluppo dei nuovi sistemi d’arma, il solo miglioramento delle vecchie tecnologie comporta una forte dipendenza dall’importazione e dal sostegno di Paesi stranieri, almeno per l’equipaggiamento a elevato contenuto tecnologico, come nel caso iraniano di missili antinave e piattaforme da difesa aerea. Anche se nel lungo termine è possibile che l’Iran possa essere in grado di raggiungere il livello dei veri pionieri nella ricerca e sviluppo di armi tecnologicamente avanzate, nel breve periodo le sue capacità restano limitate e il proprio arsenale generalmente arretrato. Qualora lo storico accordo sul nucleare dovesse essere raggiunto, e di conseguenza le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite cancellate con immediatezza, il Paese potrebbe rivolgersi nuovamente ai propri fornitori storici, se non addirittura a nuovi, per porre rimedio ai problemi di modernizzazione delle proprie forze armate che le sanzioni ONU aggravato.

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Fig. 2 – Il missile superficie-aria S-200 durante parata militare per la Giornata dell’Esercito a Teheran

LA POSSIBILE MILITARIZZAZIONE REGIONALE – Uno dei principali effetti del pronosticato boom di importazioni di armi iraniane potrebbe essere rappresentato dall’aumento generale della militarizzazione della regione. Le sanzioni unilaterali e multilaterali imposte dagli Stati Uniti all’Iran non sono le uniche misure adottate per ridurre il peso del Paese e controllare l’equilibrio del potere militare nella regione. L’offerta statunitense di trasferimento di moderni sistemi d’arma e tecnologie ai propri alleati del Golfo è stata percepita come un ulteriore tentativo di bilanciamento americano all’influenza dell’Iran a livello regionale. Gli Stati Uniti si sono impegnati attivamente, di recente anche attraverso il Gulf Security Dialogue, a rassicurare i Paesi della regione rendendo sempre più possibile l’esercizio della “deterrenza estesa”, una deterrenza esercitata a favore degli alleati per contenere la minaccia che l’Iran potrebbe rappresentare. In questa ottica è possibile comprendere gli oltre 37 miliardi di dollari di armamenti venduti tra il 2005 e il 2009 dagli Stati Uniti ai Paesi del Golfo e il pacchetto di altri 20 miliardi di dollari negoziati nel 2010 all’interno del Gulf Security Dialogue. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno aiutato i Paesi del Golfo a sviluppare le proprie capacità militari aeree, navali, le strategie di guerra asimmetrica e antiterrorismo e in particolare a migliorare le proprie capacità di difesa missilistica. In modo particolare hanno aiutato l’Arabia Saudita – nemico storico dell’Iran, con cui è da anni impegnata in uno scontro egemonico nella regione -, a cui tra il 2010 ed il 2014 hanno venduto armi per 90 miliardi di dollari. Recentemente i due Paesi si sono poi accordati per la vendita di 10 elicotteri MH-60R Seahawk e 38 missili Hellfire, gli stessi che verranno trasferiti in quantità superiore (3.000 unità) ad Israele, altro Paese che teme fortemente l’ascesa dell’Iran come potenza regionale.

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Fig. 3 – Missili superficie-aria S-300

PROSPETTIVE – La situazione attuale è ancora in via di evoluzione ed il trend che ne deriva potrebbe subire delle modifiche a seconda dell’andamento di alcuni fattori chiave:

[one_half]Ritiro delle sanzioni ONU – In caso di raggiungimento dell’accordo, il ritiro delle sanzioni ONU restituirebbe all’Iran la possibilità di importare avanzati sistemi d’arma e tecnologie dual-use, utilizzate anche per la costruzione di armi. Ciò rimetterebbe nelle mani di Teheran la chiave per la modernizzazione delle proprie forze armate e la possibilità di contare su una rinnovata capacità militare nel rispetto della legalità internazionale.[/one_half][one_half_last] Corsa al riarmo – La corsa al riarmo della regione, giustificata dalla proliferazione del nucleare iraniano, potrebbe provocare una reazione a catena con effetti su tutta l’area. Lo spillover si riverserebbe anche sui movimenti filo-sunniti sostenuti da Riyadh a livello regionale, aggravando le guerre per procura e il confronto serrato con l’Arabia Saudita.[/one_half_last]

[one_half]Fallimento degli accordi – Il mantenimento delle sanzioni potrebbe inasprire la tensione tra l’asse Golfo-Occidente e Teheran, accrescendo ulteriormente le rivalità a livello regionale. Ciò spingerebbe l’Iran, seppur con costi e tempi maggiori, a cercare fonti alternative di approvvigionamento. La capacità militare del Paese, benché ridimensionata, comporterebbe una percezione elevata della minaccia.
[/one_half][one_half_last] Crescente minaccia del settarismo – L’inasprimento delle tensioni settarie a livello regionale manterrebbe serrato il confronto col nemico saudita, ma a bassa intensità e proiettato su altri scenari della regione.[/one_half_last]

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Fig. 4 – Il cacciatorpediniere iraniano Jamaran

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RISCHI

  • Ricorso ad un mercato parallelo, non sempre legale, per l’approvvigionamento militare.
  • Arsenale genericamente arretrato.
  • Dipendenza dalle importazioni per le tecnologie più sofisticate.

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[box type=”note” align=”aligncenter” class=”” width=””]

VARIABILI

  • Ritiro delle sanzioni ONU.
  • Corsa al riarmo regionale.
  • Inasprimento delle tensioni nella regione.

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Martina Dominici

Foto: dizzyfugu


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Martina Dominici
Martina Dominici
Instancabilmente idealista e curiosa per natura, il suo desiderio di scoprire il mondo l’ha spinta a studiare lingue straniere presso l’Università Cattolica di Milano e relazioni internazionali tra l’Università di Torino e la Zhejiang University di Hangzhou. Le esperienze lavorative presso l’Ambasciata d’Italia a Washington DC e Confindustria Romania a Bucarest hanno contribuito a forgiare il suo spirito girovago e ad affinare la sua arte nel preparare la valigia perfetta. Dopo quasi due anni di analisi strategica, si è occupata di ricerca per l’Asia Program dell’ISPI, prima di partire per la Thailandia come Casco Bianco per Caritas italiana in un programma di supporto ai migranti birmani. Continua ad essere impegnata nell’umanitario in campo di migrazioni.

 

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