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Grecia: voce al popolo

In 3 sorsi – La decisione del governo greco di indire un referendum in merito alle proposte avanzate dalle istituzioni lascia sgomenti i principali interlocutori, i quali non possono che constatare il fallimento dei negoziati. Analizziamo in 3 sorsi le ripercussioni di un voto negativo.

1. COME SIAMO ARRIVATI A QUESTO PUNTO? – La “vicenda greca” stupisce per la sua complessità. Cinque mesi di vorticose trattative non hanno prodotto risultati sostanziali, confermando l’incompatibilità delle posizioni manifestate dalle parti. L’euforia che aveva accompagnato l’avvento del nuovo corso greco è presto scomparsa dinanzi all’evidente riluttanza dei creditori verso concessioni non condizionate, come ristrutturazione o annullamento del debito. Il dibattito sulle sorti della Grecia è quindi evoluto in scontro e le prospettive di un accordo definitivamente superate. Due fattori spiegano, in parte, la deriva alla quale stiamo assistendo: primo, la totale incomprensione della crisi da parte di Atene. Secondo, la volontà di condurre le trattative sul terreno più congeniale ai creditori. Le autorità greche basano la propria retorica politica sulla denuncia diretta dell’austerità, come se questa dipendesse dalle volontà di un Leviatano misterioso. È singolare che Atene lamenti le conseguenze nefaste degli “aggiustamenti interni” (austerità/riforme) quando questi sono ampiamente previsti dalla teoria economica. In un regime di cambi fissi non aggiustabili il ripristino dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti (quando questa è in deficit) passa inevitabilmente per un “aggiustamento interno”. Il secondo fattore è inestricabilmente legato al primo. Il terreno “più congeniale” ai creditori è quello in cui l’euro assume una “sacralità” tale da non poter essere messo in discussione in quanto pilastro su cui poggia l’intero processo d’integrazione europea. È sufficiente notare che le intenzioni del governo greco propendono per una permanenza nell’eurozona. Il timore dei creditori del Brussels Group (il nome più “soft” con il quale è stata ribattezzata la Troika) è che il popolo ellenico manifesti un’idea d’Europa diametralmente opposta a quella del proprio Governo.

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Fig. 1 – Il referendum indetto per domenica 5 luglio sarà l’ultimo azzardo di Tsipras?

2. LA SCELTA DEL REFERENDUM – La decisione di indire un referendum in merito alle proposte avanzate dai principali creditori sancisce, per il momento, la fine dei negoziati. Per quale ragione evocare la consultazione popolare a questo punto delle trattative? Secondo il ministro delle finanze Yanis Varoufakis, il Governo greco non è nella posizione per accettare o rigettare unilateralmente la proposta dei creditori. Spetta al popolo esprimersi in merito. Dichiara altresì che le proposte avanzate durante l’Eurogruppo di venerdì 26 giugno sono apparse “inadeguate” rispetto alle reali esigenze del Paese. La verità è che il margine negoziale è del tutto esaurito. La Grecia ha dovuto prendere atto dell’impossibilità – politica, ma prima di tutto tecnica – di riformare l’eurozona. Sono i Paesi che ne fanno parte a plasmare la propria fisionomia economica e sociale in modo da convergere con i principi insiti nella moneta unica. Data questa condizione di fondo, la voce del popolo rischia di mettere all’angolo il Governo. Se il programma dovesse essere accettato, il Governo greco sarà obbligato a rispettarne i principi. In caso di voto negativo le alternative sono l’uscita dall’euro o l’accettazione supina del programma (ammesso che tali condizioni non maturino già martedì 30 giugno, data di scadenza dell’attuale programma di aiuti).

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Fig. 2 – Yanis Varoufakis, il discusso ministro delle Finanze ellenico

3. VOTO NEGATIVO: QUALI PROSPETTIVE? – In giornate convulse come quelle che si prospettano per la Grecia e l’intera eurozona, nulla andrà come previsto. Passi falsi e capricci del mercato sono molto più che semplici spettri. Tuttavia è verosimile che si arrivi alla giornata di domenica 5 luglio in relativa quiete, tenuto conto della disponibilità espressa dalla BCE in merito all’estensione del programma di emergenza ELA (Emergency Liquidity Assistance), finalizzato a garantire liquidità alle banche nazionali. Come si è detto, l’accettazione del programma da parte del popolo greco confermerebbe il fedele attaccamento del Paese al sistema euro. Un esito tale permetterebbe al Governo ellenico di sedere nuovamente al tavolo delle trattative, accettare il programma di aiuti e confermare gli impegni per il saldo dei debiti con i creditori internazionali. Le prospettive non sarebbero rosee: misure quali il ridimensionamento del welfare, il taglio dei salari, le riforme pensionistiche e le privatizzazioni massive caratterizzeranno l’avvenire del Paese. Diversamente, il rigetto del programma sancirebbe l’uscita di Atene dall’eurozona, il ripristino della flessibilità del cambio e l’abbandono di politiche pro-cicliche a favore di ben più popolari politiche espansive. Entrambi gli scenari non costituirebbero un percorso facile per la popolazione. Ai greci l’ultima parola, o la prima.

Daniele Morritti

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Un chicco in più

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Daniele Morritti
Daniele Morritti

Sono laureato in scienze internazionali e diplomatiche. Attualmente frequento un master in Relazioni internazionali presso l’Université Libre de Bruxelles.

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