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Lo “psicodracma” greco

In tre sorsiIl voto al referendum di domenica 5 luglio ha decretato la netta prevalenza dei “no” al piano di aiuti proposto dai creditori della Grecia. Quali sono le reali implicazioni di questo risultato? Che cosa succederà ora? Proviamo a tracciare qualche ipotesi, in queste ore convulse.

1. IL VOTO – Al di là delle aspettative e dei sondaggi effettuati nei giorni precedenti al voto, il risultato del referendum è stato inequivocabile: i “no” hanno vinto con il 61.31% delle preferenze, per un totale di quasi 3,6 milioni di voti (ha votato il 62.5% degli aventi diritto). Il risultato è stato praticamente omogeneo in tutte le province della Grecia. Un’indicazione molto chiara dunque della volontà popolare, seppur con alcuni dubbi rispetto al reale messaggio uscito dalle urne e alla correttezza delle procedure seguite durante l’organizzazione della consultazione. Infatti il quesito referendario, espresso in maniera abbastanza nebulosa, si riferiva all’accettazione o al rigetto della proposta dei creditori antecedente il 30 giugno, la quale era già stata peraltro rifiutata dal Governo di Atene e non più sul tavolo delle trattative dopo che il secondo piano di aiuti era scaduto appunto alla fine del mese di giugno. Inoltre, le due opzioni di voto non sono state posizionate su due fogli separati ma poste l’una sopra l’altra con il “no” in evidenza (peraltro, in lingua greca la parola “sì” – ναι – precede secondo l’ordine alfabetico il “no” – οχι). Alla popolazione è stato lasciato poco tempo per informarsi e farsi un’opinione rispetto all’effettivo contenuto del quesito. Ai seggi erano presenti delegati dei partiti in rappresentanza del “no” e del “sì”, con una netta prevalenza dei primi.

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Fig. 1  – I “no” hanno prevalso nettamente

2. IL VERO SIGNIFICATO DEL RISULTATO – Alla luce di quanto detto sopra, è palese che il referendum non sia stato un voto specifico sul piano di aiuti proposto dalla “troika” (Fondo Monetario Internazionale, Eurogruppo e Banca Centrale Europea), che del resto non era più valido, quanto una consultazione sulla permanenza o meno nell’Eurozona, con un significato dunque molto più politico che economico/finanziario. Il giudizio del popolo greco, chiamato in causa dal Governo di Alexis Tsipras dopo cinque mesi di negoziati infruttuosi con le istituzioni creditrici, sembra dunque essersi espresso chiaramente contro l’unione monetaria, o quantomeno su questo modello di integrazione che ha imposto alla Grecia dal 2010 ad oggi misure di aggiustamento fiscale che hanno contribuito a causare una perdita di PIL di quasi il 30%, a far salire la disoccupazione al 26% e quella giovanile addirittura al 50%.

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fig. 2 – Yanis Vaorufakis si è dimesso da Ministro delle Finanze per “aiutare Tsipras” a condurre in porto le nuove trattative

3. E ADESSO? – Tsipras ha promesso prima del voto “un nuovo accordo con i creditori entro 48 ore”, e domani (martedì 7 luglio) presenterà a Bruxelles la sua nuova proposta. Il rischio che però trovi la porta chiusa è reale: la Germania, soprattutto per la forte contrarietà del Ministro delle Finanze Wolfgang Schauble, non sembra più intenzionata a fornire altre chances al leader di Syriza, reo di aver consumato tutto il patrimonio di fiducia che gli era stata accordata. Matteo Renzi sta invece cercando di favorire una mediazione, anche per conseguire un ruolo più influente per l’Italia nelle trattative. Quel che è certo è che l’Europa si trova dinanzi ad un bivio: da una parte, la scelta di varare un terzo piano di aiuti ad Atene, evitandone il tracollo finanziario ma cedendo alla forzatura di Tsipras (e del dimissionario Varoufakis). Dall’altra, l’intransigenza nel dire basta alle trattative, condannando de facto la Grecia all’uscita dall’euro e al ritorno alla dracma o a forme alternative di pagamento per le transazioni interne. Se la prima ipotesi sembrerebbe la più opportuna per evitare la “Grexit” e soprattutto per non far sprofondare la popolazione greca in una nuova recessione che sarebbe esiziale per la tenuta sociale del Paese, in realtà potrebbe essere la più rischiosa. Salvare la “capricciosa” Grecia costituirebbe infatti un precedente con effetti potenzialmente incendiari in Paesi come Irlanda, Portogallo e Spagna, che hanno subito misure di austerity altrettanto dure e che andranno alle urne nei prossimi mesi. Prevarrà il senso di solidarietà verso la Grecia o la necessità di assicurare la stabilità della zona euro, allontanando il rischio di un trionfo dei partiti anti-sistema? Questa scelta sarà dirimente per il futuro dell’integrazione europea. Intanto, però, bisognerà decidere che fare per l’immediato: già da mercoledì le banche greche rischiano di trovarsi senza più un euro in cassa. Anche la BCE di Mario Draghi, fino ad ora indispensabile nell’assicurare ossigeno ad Atene, rischia di non poter fare più nulla.

Davide Tentori

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Un chicco in piĂą

Quali lezioni ci possiamo “portare a casa” dal referendum greco? Scopritelo in questa analisi di “Politico”.

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Foto: Adolfo Lujan

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’UniversitĂ  “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualitĂ  di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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