La prospettiva di entrare nel novero delle economie emergenti potrebbe accarezzare le suggestioni dei tecnocrati della Casa Rosada, pur facendo i conti con una realtà difficile e a un passo dalle elezioni più incerte degli ultimi 13 anni.
BUENOS AIRES NEL CONTESTO REGIONALE – La percezione internazionale dell’Argentina non è mai stata quella di un comprimario, bensì di un Paese potenzialmente forte e capace di giungere a una posizione di primissimo piano a livello globale. Se osserviamo Buenos Aires da un punto di vista regionale percepiamo la sua importanza semplicemente soppesandone posizione e dimensione: 2.780.403 km² (in Sudamerica seconda solo al Brasile) e con una proiezione invidiabile verso il Polo Sud (condivisa con il Cile), cui si aggiungono la disponibilità di risorse petrolifere e lo sbocco diretto su ben cinque mercati della regione (Cile, Uruguay, Paraguay, Bolivia e il più importante, ovvero il Brasile). In tale ottica, ovviamente, non passa inosservato il protagonismo del Paese all’interno dei principali organismi della regione: CELAC, Mercosur, Unasur e altre organizzazioni minori vedono Buenos Aires attore primario se non determinante. Basti pensare che proprio su impulso di Néstor Kirchner (ex Presidente argentino) in cooperazione con Lula (Brasile) e Chávez (Venezuela) ha preso vita l’Unasur (2007), il cui Consiglio di Difesa ha sede proprio a Buenos Aires. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Proprio in occasione della kermesse internazionale EXPO2015, l’Argentina si presenta quale “granaio del mondo“, Paese eclettico e capace di fornire la gran parte delle esigenze internazionali di grano e similari. Un’etichetta che si è tuttavia sbiadita negli anni e non si presenta come del tutto idonea a descrivere la realtà argentina degli ultimi anni. Nello specifico, tra il 2013 ed il 2014 il settore agricolo ha registrato una riduzione del 30,2% dell’export (da dati Cepal è il settore che ha sofferto di più la recessione), ma ancor più grave è la variazione della composizione dell’export, che vede ridursi la diversità produttiva a fronte di una crescita della produzione di soia e derivati (utile sia negli sviluppi del comparto alimentare regionale e mondiale sia nella trasformazione in biocombustibile in altri mercati, tra cui il vicino Brasile).
Fig. 1 – L’Argentina è ancora il “granaio del mondo” ?
IL PUNTO DI EQUILIBRIO NELL’UTOPIA REGIONALE – Proviamo a immaginare una maggiore convergenza strategica ed economica tra Brasile e Argentina. Tale ipotesi genererebbe le solide fondamenta per un polo regionale da collocare nello scacchiere mondiale andando a coinvolgere – già senza considerare tutti gli altri Paesi satellite di tale alleanza – una superficie di 11.295.280 km² (oltre la metà dell’America Latina e più grande degli Stati Uniti), con una popolazione di oltre 243 milioni di persone (poco meno della metà della popolazione totale della regione latinoamericana). In una strategia di potenza l’unione regionale dei due Paesi garantirebbe un punto di non ritorno, e quindi di consolidamento della tanto conclamata “indipendenza del XXI secolo”. Ma questo punto di equilibrio è da sempre lontano da una visione strategica reale. Purtroppo, nonostante la condivisione di intenti a livello macro, i due Stati si muovono su due velocità quasi opposte. L’Argentina, da un po’ di anni, si trova isolata dal sistema finanziario internazionale con gravi colpe: Buenos Aires, con la sua politica quasi cristallizzata, ha infatti offerto il fianco a ogni critica possibile andando nel concreto ad assottigliare il vantaggio accumulato dalla straordinaria crescita dei primi anni del kirchnerismo. Dall’altro lato il Brasile, pur vivendo oggi una pesante recessione e uno scandalo di corruzione all’interno della principale azienda a partecipazione pubblica (la Petrobras), appare comunque più solido all’esterno. Si tratta di una differenza che a livello regionale rende l’unità e la condivisione reale difficile: da un lato il Brasile cerca nell’unità un vantaggio individuale per la propria leadership, dall’altro Buenos Aires sembra inseguire l’unità regionale per sfruttarla come riparo dai suoi stessi problemi interni. Se solo l’azione politica ed economica dell’Argentina prendesse chiaro spunto dal Brasile – e se quest’ultimo avesse una visione regionale meno “brasilocentrica”-, il sistema-regione latinoamericano potrebbe competere con le più importanti regioni economiche del pianeta (con conseguente aumento di peso politico). Risultato che, ovviamente, si rivelerebbe utile per ogni singolo Paese del sistema-regione.
I BRICS OGGI – Ma se da un lato l’unione regionale appare naturale – ma non scontata per via delle reali competizioni economiche e commerciali in essere – è un’altra idea a suggestionare maggiormente l’oligarchia argentina, ovvero la possibilità di accedere al ristretto gruppo dei BRICS. Il gruppo dei Paesi emergenti, che ha iniziato i suoi incontri in modo informale nel 2006, nel 2010 ha accolto il Sudafrica e tra il 2014 e il 2015 ha progettato e sviluppato i propri organi finanziari: la Nuova Banca di Sviluppo del BRICS (NDB-BRICS) e il Fondo di Riserva Finanziaria Internazionale. In poche parole, rispettivamente una nuova Banca Mondiale e un Fondo Monetario Internazionale controllato dai Paesi emergenti, e quindi fuori dall’influenza delle potenze occidentali, USA in primis. Brasile (come detto prima), Russia, India, Cina e Sudafrica non sono certamente immuni alle tempeste finanziare internazionali: la Russia (così come il Venezuela) ha sofferto le fluttuazioni al ribasso del prezzo del petrolio e le continue sanzioni commerciali dovute alla questione ucraina; la Cina vede oggi un crollo importante dell’export manifatturiero; l’India deve dimostrare di saper gestire il cambiamento sociale dovuto alla crescita, così come il Sudafrica, dove le differenze sociali restano profonde. Detto ciò, nel complesso, questi Paesi emergenti hanno intuito che il modo migliore di tutelare la propria crescita è proprio fare sistema – il BRICS, per l’appunto.
Fig. 2 – Dilma Rousseff e Cristina Kirchner insieme: c’è spazio per una maggiore integrazione tra Brasile e Argentina?
COSA PUO’ SIGNIFICARE IL BRICS PER L’ARGENTINA? – Ma tutto ciò in che termine ha a che fare con Buenos Aires? Pechino e Mosca non hanno mai negato il proprio interesse per un ampliamento del club dei Paesi emergenti, e il Paese del Cono Sud è tra i principali candidati. Inoltre, gli istituti finanziari, seppur creati all’interno del BRICS, non hanno alcuna intenzione di porsi confini, rendendo la compartecipazione aperta – così come l’accesso al credito – aperta a chiunque. Pertanto si potrebbe ipotizzare uno scenario nel quale l’Argentina torna ad avere accesso al credito internazionale senza però tornare sotto l’egemonia del FMI, e allo stesso tempo una sua ricollocazione in ambito internazionale proprio grazie alle risorse finanziarie così ottenute e utili a dare impulso alla stagnante economia. Tutto ciò ovviamente permetterebbe allo stesso BRICS di accogliere il Paese sudamericano tra i propri membri, sottraendolo a qualsiasi pressione politica e finanziaria internazionale. Per assistere a degli sviluppi, però, bisognerà attendere quantomeno l‘esito delle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 25 ottobre.
William Bavone
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Un chicco in più
Intanto a Buenos Aires ci si avvicina sempre di più a quelle che sembrano essere le elezioni più incerte degli ultimi anni e il Frente Para la Victoria (FPV) – ovvero i kirchneriani – ha deciso, lo scorso 8 agosto, chi concorrerà alla presidenza: Daniel Scioli. I gruppi di opposizione non stanno a guardare, e in attesa di ottobre testano le possibili convergenze d’intesa come per un’eventuale riforma della legge elettorale[/box]
Foto: Fedemdp