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Le vie della seta sono infinite

Torniamo ad occuparci di Asia centrale, sulla quale lo scorso giugno, in occasione del dodicesimo vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), sono tornate a riflettere le luci della ribalta internazionale. Facciamo il punto della situazione, per capire cosa corre lungo le nuove vie della seta in questo periodo, e cosa aspettarci nel futuro

 

LA MADRE PATRIA CHIAMA – L’Asia Centrale, considerata di importanza geostrategica fondamentale giĂ  agli inizi del XX secolo da uno dei sacri fondatori della geopolitica, Halford Mackinder, dopo il crollo dell’URSS, grazie alla propria posizione privilegiata e alle ricche riserve energetiche, è entrata velocemente nelle mire delle principali potenze mondiali.  Nonostante le cinque repubbliche ex sovietiche abbiano sulla carta ottenuto da tempo l’indipendenza politica dalla madre Russia, nella maggior parte di esse il governo di Mosca esercita ancora un ruolo fondamentale. La Federazione Russa, attraverso massicci investimenti nel settore energetico e la dipendenza di questi paesi dalla vendita delle proprie armi, manterrĂ  ancora a lungo una forte influenza politica nella regione, ma la sua centralitĂ , almeno dal punto di vista economico, sta lasciando spazio a nuovi attori internazionali.

 

FINO A SAMARCANDA LI GUIDERA’ – Primo tra questi è l’Unione Europea, che sino al 2010 ha rappresentato il primo attore commerciale dell’Asia Centrale. L’UE spinta dall’esigenza di diversificare i propri canali di approvvigionamento energetico, dopo la dissoluzione dell’URSS ha tentato di allacciare legami sempre piĂą stretti con le cinque repubbliche, riportando in auge la storica ”Via della Seta” che per secoli rappresentò l’unico collegamento tra Oriente ed Occidente.  Anche gli Stati Uniti, nel tentativo di stabilire la loro presenza strategica nella regione, si sono riallacciati all’immaginario collettivo dell’etĂ  dell’oro di Samarcanda e con il lancio della “Nuova Via della Seta”, hanno cercato di sviluppare il potenziale centroasiatico attraverso l’istituzione, non ancora riuscita, di un’area di libero scambio e la costruzione di reti di comunicazione e infrastrutture energetiche. Una cooperazione incentrata anche sul tema della sicurezza, che dovrebbe coinvolgere le cinque repubbliche centroasiatiche nel ritiro delle truppe dall’Afghanistan, in cambio di un risarcimento economico e la promessa americana di lasciare parte dell’equipaggiamento militare utilizzato su suolo afgano ai loro eserciti.

 

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TRA I DUE LITIGANTI… – Dal 2010 la Cina, non solo ha soppiantato l’Unione Europea diventando il primo partner commerciale dell’Asia Centrale, ma ha anche scalzato il primato statunitense di maggior consumatore al mondo di energia, anticipando di gran lunga anche le piĂą ottimistiche previsioni. Il crescente bisogno di energia ha così spinto anche l’Impero di Mezzo ad incamminarsi lungo l’antica Via della Seta. Le riserve energetiche centroasiatiche hanno infatti fornito alla Cina un’opportunitĂ  unica di diversificare i propri canali di approvvigionamento energetico nazionale, strategia necessaria per contrastare l’attuale precarietĂ  della sicurezza energetica cinese, determinata dal transito obbligato di tre quarti delle proprie importazioni petrolifere attraverso lo stretto di Malacca e l’infestato Golfo dell’Aden.  Sono queste le ragioni alla base della progressiva penetrazione nell’affollato scacchiere centroasiatico del governo di Pechino, che come le altre grandi potenze mondiali si sta cimentando nell’impresa di ricostruire, in questo caso a suon di gasdotti e oleodotti, l’antica Via della Seta. I massicci investimenti nelle infrastrutture energetiche, in particolare nei piĂą ricchi Kazakistan e Turkmenistan, stanno garantendo al paese un ruolo di preminenza nello scenario centroasiatico, infastidendo non poco le mire di riconquista russe.

 

SEI PERSONAGGI IN CERCA DI STABILITA’ – Nonostante siano in competizione dal punto di vista economico per le ricche riserve di idrocarburi, Russia e Cina si trovano a cooperare nella regione centroasiatica sul piano della sicurezza nel quadro della SCO, un’organizzazione internazionale composta oltre che da queste ultime, da quattro delle cinque repubbliche dell’Asia centrale ad eccezione del Turkmenistan. Tale organizzazione, promossa dalla Federazione Russa come una possibile risposta alla NATO, è considerata dalla Cina un valido strumento per sconfiggere i “tre mali” (separatismo, terrorismo ed estremismo) e tenere così sotto controllo le spinte indipendentiste degli Uiguri, abitanti della regione autonoma cinese dello Xinjiang, attraverso cui le pipeline cinesi sono destinate a transitare. Ancora, la scelta di conferire all’Afghanistan lo status di paese osservatore durante l’ultimo summit della SCO va letta come un chiaro tentativo di promuovere un approccio cooperativo alla sicurezza tra questi paesi, anche attraverso il rafforzamento dei legami economici e commerciali. E’ nel quadro di questa organizzazione che probabilmente Cina, Russia e le quattro repubbliche dell’Asia Centrale stanno ponderando di affrontare insieme l’instabilitĂ  che, con il ritiro delle truppe dall’Afghanistan dal 2014, si irradierĂ  quasi inevitabilmente dal territorio afghano verso i loro confini. Mentre le maggiori potenze mondiali si proiettano in Asia Centrale, accalcate come i personaggi sul palcoscenico di una commedia pirandelliana, a ricostruire, ciascuna a suo modo, la propria personalissima Via della Seta, diventa sempre piĂą arduo delineare il futuro di questa regione, tanto importante quanto instabile, senza quell’ordine fondamentale in cui ogni tassello possa trovare la sua piena e significativa collocazione.

 

Martina Dominici

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Martina Dominici
Martina Dominici
Instancabilmente idealista e curiosa per natura, il suo desiderio di scoprire il mondo l’ha spinta a studiare lingue straniere presso l’Università Cattolica di Milano e relazioni internazionali tra l’Università di Torino e la Zhejiang University di Hangzhou. Le esperienze lavorative presso l’Ambasciata d’Italia a Washington DC e Confindustria Romania a Bucarest hanno contribuito a forgiare il suo spirito girovago e ad affinare la sua arte nel preparare la valigia perfetta. Dopo quasi due anni di analisi strategica, si è occupata di ricerca per l’Asia Program dell’ISPI, prima di partire per la Thailandia come Casco Bianco per Caritas italiana in un programma di supporto ai migranti birmani. Continua ad essere impegnata nell’umanitario in campo di migrazioni.

 

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