Le truppe somale e keniote proseguono l’offensiva contro al-Shabaab: la liberazione di Chisimaio non è ancora definitiva, poiché gli islamisti sono riusciti a compiere una serie di attentati a obiettivi militari e civili. L’ONU approva una risoluzione per il Mali: UA ed ECOWAS hanno 45 giorni per elaborare un piano, ma, con ampia probabilità, non si agirà prima del 2013. In Sudan del Sud, i rappresentanti degli Stati comprendenti Abyei e Heglig temono che la demilitarizzazione imposta dal trattato di fine settembre si volga a favore di Khartoum. Un rapporto dell’ONU accusa l’Uganda di complicità con i ribelli di M23. Il presidente del Mozambico sollecita un intervento diplomatico in Guinea-Bissau. In chiusura, un racconto africano sull’origine della guerra
IL COLPO DI CODA DI AL-SHABAAB – In Somalia continua l’operazione su ampia scala che mira alla definitiva sconfitta militare di al-Shabaab. Dopo la riconquista di Chisimaio, l’esercito somalo, insieme con le truppe dell’Unione Africana, in prevalenza keniote, hanno cominciato l’assalto alle roccaforti ribelli nel Medio Giuba, assumendo il controllo dei villaggi attorno a Gelib, città strategica posta sulle principali direttrici di comunicazione tra la regione e Mogadiscio. A Chisimaio, però, la situazione non è ancora sotto controllo, poiché i miliziani di al-Shabaab, che resistono in alcune zone della periferia, hanno organizzato vari attentati con ordigni esplosivi, oltre ad agguati contro i militari dell’AMISOM. Oltretutto, nonostante il comandante del contingente nel Medio Giuba, il generale Ismail Sahardid, abbia prontamente respinto le accuse, alcune fonti giornalistiche hanno riportato casi di saccheggio da parte delle forze regolari ai danni della popolazione e, addirittura, l’uccisione fortuita di una donna. Nel resto della Somalia, allo stesso modo, non cessano le violenze: domenica, nei pressi di Baidoa, i guerriglieri di al-Shabaab hanno preso di mira un convoglio militare, causando due morti, mentre, lunedì, cinque decessi sono stati registrati durante duri scontri tra islamisti ed esercito in diversi quartieri di Mogadiscio. La giornata più tragica è stata martedì 16, da un lato con i combattimenti sulla strada tra Baidoa e la capitale – addirittura sono state usate artiglieria pesante e mitragliatrici – riguardo al cui bilancio ancora non si hanno notizie, dall’altro con i 12 morti in un’imboscata a Belet Uen, a 300 km da Mogadiscio, condotta anche mediante l’impiego di mezzi blindati da parte di al-Shabaab.
L’INTERVENTO IN MALI FORSE NEL 2013 – Sebbene le Nazioni Unite abbiano approvato venerdì 12 ottobre una risoluzione proposta dalla Francia per un intervento in Mali, difficilmente gli attori incaricati dell’elaborazione del piano esecutivo, ossia ECOWAS e Unione Africana, agiranno entro la fine dell’anno. Il motivo principale è che i Paesi della Comunità dell’Africa Occidentale hanno posizioni differenti sull’operazione, ma, soprattutto, sono restii a investire le risorse economiche e umane necessarie, tanto che, secondo alcune stime, qualora la missione fosse avviata in questa settimana, i militari mobilitati sarebbero solo tremila, quanti quelli previsti dal progetto regionale di giugno. Secondo la risoluzione, UA ed ECOWAS dovrebbero inviare all’ONU entro 45 giorni «raccomandazioni dettagliate e attuabili», sulle quali basare un secondo atto del Consiglio di Sicurezza. Proprio i tempi indicati contribuiscono a diffondere l’opinione circa un’ulteriore proroga dell’azione in Mali. La Francia ha promesso un sostegno logistico quanto più ampio possibile, mentre l’Unione Europea dovrebbe fornire almeno 150 addestratori militari. Più distaccata, invece, è stata la reazione degli Stati Uniti, poco propensi ad assumere impegni internazionali vincolanti nella regione: da Washington è giunta certo soddisfazione per l’approvazione della risoluzione, ma, sul piano materiale, non si è andati oltre un vago appoggio logistico. Il 19 ottobre, comunque, a Bamako si incontreranno i delegati di ONU, Unione Africana, Unione Europea ed ECOWAS, al fine di individuare una «strategia coerente», una linea guida comune per la certezza dei tempi imposti dalla risoluzione.
CRITICHE ALL’ACCORDO TRA KHARTOUM E JUBA – Il 27 settembre scorso, Sudan e Sud Sudan hanno trovato un accordo per la ripresa della cooperazione in campo petrolifero. Lungo la frontiera tra i due Paesi, inoltre, sarà costituita, su entrambi i lati, una zona cuscinetto estesa per 10 km e lunga 1800 km. Tuttavia, ancora non è stata trovata una soluzione alla contesa di Abyei, poiché, sebbene l’ONU abbia già stabilito l’inevitabilità di un referendum per il futuro status della città, tra Khartoum e Juba non v’è concordia circa il metodo di registrazione degli aventi diritto al voto, per la maggior parte nomadi. La conclusione del trattato ha sollevato molte polemiche in Sudan del Sud, al punto che, il presidente dell’African Union High Level Implementation Panel (AUHIP), nonché già capo di Stato sudafricano, Thabo Mbeki, ha duramente contestato i mezzi d’informazione per l’errata presentazione dell’accordo all’opinione pubblica. Da qualche giorno, infatti, diverse manifestazioni in Sud Sudan hanno criticato il patto. A Juba, sono sfilati manifestando rappresentanti di Bahr el-Ghazal e dell’Unità, gli Stati che comprendono Abyei e Heglig, chiedendo che le loro regioni siano sottratte dalla zona demilitarizzata: secondo gli scettici, escludere la presenza delle Forze Armate sudsudanesi, equivarrebbe a riconoscere in qualche modo le pretese di Khartoum.
L’ONU: «ANCHE L’UGANDA DIETRO M23» – Secondo il Gruppo di Esperti del Consiglio di Sicurezza ONU, oltre al Ruanda, anche l’Uganda starebbe sostenendo i ribelli di M23 contro il governo di Kinshasa. In un rapporto confidenziale reso pubblico martedì 16 ottobre, gli inviati delle Nazioni Unite avrebbero riportato che «[truppe ugandesi e ruandesi] abbiano congiuntamente operato con gli insorti nel luglio 2012 per prendere il controllo dei maggiori centri nel Rutshuru Territory e della base congolese di Rumangabo». Dopo che il presidente del Ruanda, Paul Kagame, ha respinto formalmente le accuse durante l’incontro di settembre a New York con l’omologo del Congo, Joseph Kabila, adesso anche l’Uganda ha negato il proprio coinvolgimento nella vicenda. Recentemente, Yoweri Museveni, in qualità di Presidente della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (ICGLR) aveva organizzato un vertice per riprendere la discussione circa le tre proposte di intervento militare nel Congo orientale, ossia una forza regionale col sostegno dell’Unione Africana, un contingente interno alla Missione ONU per la stabilizzazione del Congo (MONUSCO), con l’ampliamento del mandato internazionale, oppure un’operazione dei caschi blu in attesa di ulteriori sviluppi. Gli scontri tra i soldati di Kinshasa e gli insorti di M23 guidati dal generale Bosco Ntaganda durano ormai da aprile, e hanno costretto oltre 300mila persone alla fuga.
GUINEA-BISSAU: NUOVO INVITO AL DIALOGO – Il presidente del Mozambico, Armando Guebuza (foto), parlando in veste di presidente della Comunità dei Paesi di Lingua Portoghese (CPLP), ha riportato l’attenzione sulla situazione della Guinea-Bissau, il cui governo è stato abbattuto da un golpe militare in aprile. «Sosteniamo il popolo della Guinea – ha detto Guebuza – e faremo quanto in nostro potere per donargli nuovamente la pace». Il Presidente ha sollecitato la comunità internazionale a non dimenticare la Guinea, ricordando che le Nazioni Unite hanno già disposto l’invio di una missione diplomatica congiunta con UA, ECOWAS e CPLP per elaborare raccomandazioni e suggerimenti. Guebuza, tuttavia, ha respinto l’ipotesi della presenza militare internazionale, definendo invece prioritari «il dialogo e il potente meccanismo della costruzione del consenso».
Beniamino Franceschini [email protected]