Dopo anni di crescita galoppante il Brasile si è fermato di colpo e ha cominciato la sua turbolenta discesa verso la recessione. Il real si svaluta nei confronti di euro e dollaro, le agenzie di rating tagliano il grado di fiducia nei confronti del Paese , gli investimenti si fermano e la produzione industriale perde quasi il 7% nel 2015. Il Governo Rousseff è schiacciato dalla corruzione che coinvolge politici e imprenditori legati alla Petrobras. Ma quanto è profonda la crisi brasiliana? E se dopotutto questa crisi fosse “gestibile”?
QUANTO È PROFONDA LA CRISI BRASILIANA – La famosa canzone del gruppo rock Legião Urbana, che dà il titolo a questo articolo, raccontava di un Paese corrotto e alla deriva di una classe politica indifferente ai problemi del popolo. Questa è la domanda che si pongono in tanti osservatori politici, investitori e cittadini: «che Paese è questo?» Un Paese che negli ultimi anni è asceso come una potenza regionale capace di rilanciare il progetto di integrazione politico-economica sudamericana del Mercosur, di produrre metà della ricchezza del continente sudamericano, di creare un gruppo alternativo al G7 – i cosiddetti BRICS – con i quali condividere anche una Banca di investimenti sganciata dal dollaro, per poi ripiombare in recessione con una previsione del -2,55% del PIL per il 2015. Un Paese abituato alle montagne russe, ma che da circa vent’anni aveva potuto godere di una relativa stabilità macroeconomica. Un sistema però in buona parte dipendente dagli investimenti esteri, e quindi potenzialmente incline a grandi picchi di crescita e a brusche ricadute.
Tutto normale, o perlomeno tutto controllabile, secondo Paul Krugman, che in un’intervista a Exame ha ribadito come la crisi brasiliana sia gestibile. Tutto normale forse, per un Paese abituato agli alti e ai bassi: pensiamo solo ai grandi cambiamenti che il Brasile ha affrontato negli ultimi vent’anni: dal 2.509,5% di inflazione e alla profonda recessione del 1990 ai grandi picchi di crescita degli anni 2000, in particolare nel triennio 2006-2007-2008 (4,0%, 6,0% e 5,0%), che lo hanno visto accostato al modello virtuoso australiano. Nel 2008, quando comincia la crisi, il Presidente della Banca nazionale dello sviluppo economico e sociale Luciano Coutinho parla di “disaccoppiamento” economico, teoria secondo la quale le economie della periferia sarebbero diventate indipendenti dalle crisi del centro. Invece la crisi è arrivata. Nonostante ciò il premio Nobel per l’economia afferma che il Brasile affronterà anni difficili, ma che la situazione è sotto controllo. Solo per fare qualche esempio il Brasile dispone di riserve valutarie che coprono di gran lunga l’indebitamento con l’estero e dispone di una moneta che può essere svalutata o rivalutata, con rapidità, come il real – cosa che, per esempio, non può fare la Grecia.
L’economia brasiliana era ed è, come dicevamo, un sistema molto soggetto alle crisi internazionali e molto dipendente dall’andamento dei mercati (in primis quello delle materie prime). Questo perché il Brasile è sempre stato molto dipendente dagli investimenti esteri, soprattutto di natura industriale e finanziaria. In questa fase di decrescita generale del Paese e di svalutazione del real pare difficile ottenere la fiducia necessaria dai mercati, tanto che il 9 settembre 2015 l’agenzia di rating Standard and Poor’s ha abbassato da BBB- a BB+ il grado di solvibilità e solidità del Brasile, sancendone di fatto l’ingresso nella zona di rischio. Quando Inácio Lula da Silva era Presidente, il Brasile ha vissuto un periodo di forti investimenti diretti esteri: gli IDE in entrata da 10 miliardi di dollari del 2003 sono passati a 45 miliardi nel 2008.
Fig. 1 – Tempi duri per Dilma Rousseff, mai così in basso nelle classifiche di gradimento popolare
LA VOLATILITÀ DELL’ECONOMIA E DELLA MONETA – Il real viene scambiato a quasi 4,50 con l’euro nel settembre 2015 ed ha già passato i 4,00 reais con il dollaro, con previsioni in aumento. Questo comporta gravi danni agli importatori (soprattutto alle filiali straniere che importano tecnologia nel Paese), ma porterebbe benefici alle imprese esportatrici – se solo il tessuto economico brasiliano fosse più focalizzato sul settore manifatturiero e non solo sull’export di commodities, che tra il 2012 e il 2015 hanno perso tra il 30% e il 50% del valore. La moneta è lo specchio del Paese, della credibilità sui mercati internazionale, della capacità produttiva nazionale e della stabilità politica di una nazione, tutte cose che il Brasile sta perdendo. Brasilia stessa afferma che presenterà, per la prima volta nella storia del Paese, un bilancio preventivo in deficit con un negativo di 30 miliardi di reais, pari all’8% del PIL. Questo significa che il Governo a guida PT (Partido dos Trabalhadores) dovrà attivare una serie di misure in salsa austerity per riordinare il bilancio preventivo 2016 attraverso un “aggiustamento fiscale”. In altre parole, la strada che il Governo vuole perseguire è quella dei tagli drastici. La Presidente Rousseff ha già annunciato un taglio della spesa pubblica tra i 20-25 miliardi di reais senza però toccare i sussidi per le fasce estremamente povere, come Bolsa Familia. Nonostante gli sforzi del Governo la crisi permane, la disoccupazione è aumentata e il settore industriale è in difficoltà – l’industria dell’acciaio ha perso oltre 10.000 lavoratori solo nell’ultimo anno.
Fig. 2 – La Banca Centrale del Brasile sta cercando di arrestare la caduta del real
I PROBLEMI DI SEMPRE – «Non vogliamo finire come la Grecia, non è vero?» Così ha detto la Presidente Dilma di fronte a una platea di giornalisti poco prima di annunciare la necessaria riforma di previdenza sociale, mentre il direttore di Carta Capital (l’italiano naturalizzato brasiliano Demetrio Carta, conosciuto come Mino) lanciava il suo monito – «possiamo fare persino peggio se non cambia la politica economica». La critica però si affievolisce quando si analizza il Brasile con i suoi problemi di sempre e con i suoi vantaggi – un Paese che conta 8,5 milioni di km² e 200 milioni di persone non può non avere pochi problemi. Immense sono le aree non coltivate, moltissime le ricchezze naturali poco sfruttate che offrono un alibi alla Presidente Dilma Rousseff, come afferma Mino Carta in Carta Capital: non si può infatti pensare che un solo Governo, quello di Dilma in questo caso, porti sulle spalle le colpe di una crisi e di una struttura economica che fonda le radici nell’estrema dipendenza dall’estero e che pare oggi più profonda del previsto. La Presidente, oltre ad affrontare i drammi economici, si scontra anche con le grandi proteste dell’opposizione per lo scandalo di corruzione legato alla Petrobras, ribattezzato dalla Policia Federal Lava Jato, che ha portato milioni di brasiliani nelle strade delle maggiori città del Paese e l’opposizione a preparare il processo di impeachment per la Rousseff, per non parlare di chi invoca l’intervento militare per placare l’ondata di corruzione. Il Brasile ha davanti a sè un’altra crisi che potrebbe precludere il sogno di un nuovo protagonismo internazionale. Complesse sono le manovre per la ristrutturazione del bilancio preventivo, in negativo, che porteranno inevitabilmente all’aumento di tasse. Ma se da una parte l’apertura ai mercati e l’abbattimento delle notevoli barriere burocratiche e doganali di prodotti in entrata e in uscita potrebbero facilitare l’uscita dalla recessione economica, dall’altra il Brasile dovrebbe riconcentrarsi sul suo ruolo come attore politico principale del continente sudamericano, spingere l’economia verso una re-industrializzazione aiutando nuove imprese a esportare manufatti e non solo materie prime, tornare fra i BRICS come economia in ascesa e soprattutto ridurre drasticamente la dipendenza dal capitale straniero che ne determina troppo spesso i buoni o i cattivi risultati economici.
Alessandro Gaini
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Un chicco in più
Il 17 marzo 2014 la Policia Federal avvia l’operazione Lava Jato, con la quale si intende fare luce sul più grande scandalo di corruzione della storia del Paese, originato dal sistema di lavaggio di denaro che coinvolgeva varie imprese che lavoravano con la Petrobras – compagnia petrolifera nazionale e fra le prime 15 nel mondo. L’operazione di pulizia come da espressione portoghese “lava jato” – lava rapido – è arrivata già alla sua 18ª fase. Si calcolano 19 miliardi di reais tra affari e operazioni illegali, e dalle investigazioni risulta che la cifra della propina si aggirasse intorno al 3% dei contratti milionari della Petrobras.
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Foto: Carmem