C’è stato un periodo in cui dittature e regimi autoritari di vario genere (dal modello di stampo militare argentino fino a quello delle “repubbliche delle banane” centroamericane) erano la norma in America Latina. Fortunatamente, quell’epoca è finita: i progressi compiuti dalla regione nell’ultimo ventennio sulla strada della democrazia sono innegabili ed oggi tutti i Paesi latinoamericani sono ufficialmente delle democrazie parlamentari, con l’eccezione di Cuba che ha ancora un regime socialista a partito unico. Siamo però sicuri che a questo processo corrisponda una parallela diffusione delle pratiche democratiche anche a livello sostanziale?
COMPIACERE IL POPOLO – Il populismo, patologia della quale l’America Latina ha sofferto e continua a soffrire, è uno degli elementi fondamentali che hanno impedito alle istituzioni democratiche di raggiungere una completa efficacia. La strategia di “blandire” le masse popolari, caratterizzate generalmente nella regione ancora da un livello di reddito medio-basso, con politiche sociali redistributive che “strizzano l’occhio” agli interessi di breve periodo, ha consentito in diversi casi ai Presidenti di turno di perpetuare la propria permanenza al potere, senza che questo causasse però delle violazioni costituzionali.
VENT’ANNI AL POTERE? – Il caso più eclatante è senza dubbio quello del Venezuela, dove Hugo Chávez ha da poco vinto per la terza volta consecutiva le elezioni presidenziali, guadagnandosi il diritto di governare il Paese fino al 2018. Ciò significa che, alla fine del terzo mandato (condizioni di salute permettendo, che al momento appaiono molto critiche), sarà rimasto ininterrottamente per vent’anni alla guida del Venezuela. Le critiche all’operato di Chávez, specialmente per quanto riguarda la politica economica e la scarsa tolleranza degli oppositori, si sono tuttavia sempre scontrate con il rispetto assoluto delle prassi democratiche formali: è infatti universalmente riconosciuto come le elezioni venezuelane siano tra le più trasparenti al mondo, in virtù di un sistema informatizzato che non consente la realizzazione di brogli.
LA DINASTIA “K” – Il paradosso tra democrazia formale e sostanziale è ancor più evidente per certi versi in Argentina. L’alternanza al potere negli ultimi anni c’è stata, anche se puramente di facciata: Néstor Kirchner governò dal 2003 al 2007 e passò lo “scettro” alla moglie Cristina Fernández. Nel 2011 il piano sarebbe stato quello di candidare nuovamente Néstor, ma l’improvvisa morte di quest’ultimo ha cambiato i piani, portando alla seconda elezione della “Presidenta”, che non potrà però ripresentarsi per un terzo mandato consecutivo, considerati i limiti imposti dalla costituzione argentina. Cristina ha però la soluzione a portata di mano: sembra infatti probabile la candidatura del figlio Máximo, già influente personaggio della politica nazionale in quanto coordinatore del movimento “La Cámpora”, sezione giovanile del Partido Justicialista. Una “dinastia Kirchner”, dunque, però nel pieno rispetto dei dettami della carta costituzionale.
GLI ALTRI – E si potrebbe continuare con la Bolivia, dove Evo Morales è al suo secondo mandato e non sembra intenzionato a rinunciare al proprio incarico, o con l’Ecuador, dove il favorito per la vittoria alle elezioni presidenziali di febbraio sembra essere il leader uscente Rafael Correa. Anche il Messico è un caso decisamente interessante. Nello Stato latinoamericano più settentrionale la costituzione prevede che il Presidente (e tutte le cariche di governo, giù fino ai più bassi livelli amministrativi) possano rimanere in carica per un solo mandato. L’obiettivo è proprio quello di evitare derive autoritarie, ma il risultato raggiunto è forse ugualmente negativo di ciò che si vuole evitare: il breve orizzonte temporale, svincolato dalla necessità di ripresentarsi al vaglio delle elezioni, ha spesso indotto sindaci e amministratori a massimizzare, in modi più o meno leciti, le “rendite” ottenute dalla politica. Ecco dunque un’altra delle ragioni per cui in Messico corruzione e criminalità organizzata sono ancora così diffuse.

INDIETRO… E AVANTI – Un aspetto interessante di questa situazione paradossale risiede anche nel contrasto tra la scarsa alternanza tra maggioranza e opposizione e i progressi in campo dei diritti civili e sociali. L’Argentina, ad esempio, è diventata il primo Stato in America Latina a legalizzare i matrimoni tra coppie omosessuali, mentre la Bolivia e l’Ecuador hanno varato due costituzioni particolarmente innovative, inserendo la tutela rispettivamente dei diritti delle minoranze indigene e dell’ambiente. Il cammino verso una democrazia piena in America Latina è insomma irto ma affascinante: caratterizzato da frenate in ambito istituzionale, ma anche da brusche accelerate in campo sociale. Gli ostacoli del populismo sono sempre in agguato e pongono degli ostacoli su questo percorso. Un percorso che sembra invece più lineare e semplice in un Paese come il Cile, dove l’alternanza al potere è ormai un dato di fatto: la costituzione impedisce allo stesso Presidente di presentarsi per più di un mandato consecutivo, e l’uscente Sebastián Piñera (primo leader di centrodestra dopo la fine della dittatura Pinochet) potrebbe essere sostituito dalla rappresentante del centrosinistra, Michelle Bachelet, di ritorno al potere dopo un “turno” di riposo. Prima o poi qualcuno comincerà a parlare di “rottamazione” dei politici anche in America Latina?
Davide Tentori