Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2013 – Sfide colossali di carattere economico, sociale e geopolitico interesseranno la Russia del neoeletto Presidente Vladimir Putin in questo 2013. Sfide che lo Zar del nostro tempo sembra voler affrontare attuando una svolta autoritaria e conservatrice, sia a livello interno che sul piano internazionale. Sarà sacrificata, nel nome dei secolari valori della Madre Patria, quella borghesia urbana minoritaria e riformista che tanto ha sfilato in questi mesi per le vie di Mosca e San Pietroburgo, chiedendo più giustizia e libertà. Questa è la strada ormai intrapresa, che però necessita di ingenti risorse economiche per tenere i russi al caldo e con la pancia piena, risorse che potrebbero presto venire a mancare con il previsto calo dei prezzi di gas e petrolio, dei quali la Russia è tra i maggiori esportatori mondiali
CRISI PROFONDA – In un mondo tormentato dagli scandali finanziari, dalla recessione economica e da grandi cambiamenti geopolitici, la Russia è investita in pieno, a sua volta, dalla profonda crisi dei suoi elementi fondanti: il sistema politico corrotto, clientelare e personalistico consolidato da Vladimir Putin, il modello socio-economico basato su protezionismo e rendita energetica e l’ambizione di costruire un moderno e dinamico stato di diritto tanto cara a Dimitri Medvedev. Quella russa è una società insicura, ostaggio di una storia ingombrante e poco fiduciosa nel futuro, in preda ad un totalizzante declino, alimentato dalla comparsa di nuove sfide economiche e tecnologiche a cui la Russia non è pronta, che riflette la necessità di trovare nuovi equilibri sociali e, conseguentemente, nuovi assetti di potere politico. Da quando si è manifestata sul finire del 2011, la crisi, non sempre evidente ma comunque strisciante, si è aggravata fino a divenire patologia, ed è stata “curata” con metodi sempre più brutali, fatti di arresti sommari, informazione manipolata e norme sempre più repressive. L’accattivante ed autoritario regime politico sviluppatosi nel decennio passato si trova oggi di fronte a sfide mai viste prima. Con le discusse elezioni dell’inverno 2011-12 ha perso legittimità agli occhi dei segmenti più dinamici e riformisti della classe media urbana e, conseguentemente, la sua pretesa di rappresentare pienamente tutti i russi eccetto pochi dissidenti da stigmatizzare ed emarginare.
Lottando per autoconservarsi, ed avendo adottato una strategia difensiva per proteggere lo status quo, l’autoritarismo russo 2.0 sta perdendo la sua spinta modernizzatrice per ripiegarsi su sè stesso, così finendo per lacerare gravemente un già sfilacciato tessuto sociale. Per contenere le spinte più innovatrici sono stati mobilitati gli strati più conservatori della società, in particolare nazionalisti, nostalgici dello zarismo e fondamentalisti ortodossi, gruppi che, in cambio di connivenze e privilegi, avallano ed appoggiano una concezione di potere statale forte, autoreferenziale e autoritario. Così, dissociandosi dalla classe media ribelle da esso stesso creata, il putinismo tenta ora di legittimarsi come promotore di una “russianità” che andrebbe difesa dagli attacchi della decadente e filo-occidentale borghesia cittadina.
DILEMMA ECONOMICO – Crepe molto vistose vanno allargandosi nei pilastri economici del paese più vasto del mondo. Sebbene il PIL aumenti ancora del 4% l’anno, recessione globale ed inconsistenza/inefficienza dell’economia interna stanno determinando un costante rallentamento della crescita e, se il trend sarà confermato, a breve i BRICS diventeranno BICS. I capitali (330 miliardi di dollari negli ultimi quattro anni) stanno letteralmente fuggendo dalla Russia e, sebbene questa abbia un debito pubblico molto controllabile (10% del PIL) e sia, per ora, in avanzo primario, fa paura il fatto che le politiche economiche di Mosca abbiano un solo protagonista incontrastato, l’export di materie prime, i cui prezzi possono, particolarmente in fasi di instabilità economica, variare repentinamente nel giro di poco tempo. Se, nel 2000, la Russia poteva raggiungere il pareggio di bilancio esportando petrolio al prezzo di 20 dollari al barile, oggi, dati l’impressionante aumento della spesa pubblica e la bassissima pressione fiscale (13% flat), è necessario un prezzo almeno sei volte superiore per tenere i conti in ordine. Lo zoccolo duro del putinismo è rappresentato, da un lato, da burocrati statali e pensionati e, dall’altro, da militari e lavoratori dell’industria bellica. Per non scontentare nessuno, recentemente, il Presidente, infischiandosene della fragilità delle finanze pubbliche, ha promesso più posti di lavoro, pensioni più sostanziose (a partire dai 55 anni per le donne e dai 60 per gli uomini) ed un consistente aumento della spesa militare. Alexei Kudrin, ministro delle finanze ai tempi della presidenza Medvedev, conscio dei dati che prefigurano una lunga stagnazione economica in Europa con conseguente calo costante dei prezzi di gas e petrolio, ha parlato apertamente di pura follia e concreto rischio di dissesto economico.
RISCHIO DI ISOLAMENTO – Dopo un quindicennio di capitalismo selvaggio e nefasto, intorno al 2008, con l’inizio del mandato presidenziale del moderato Dimitri Medvedev, la Russia sembrava aver raggiunto un certo grado di equilibrio economico e politico. Erano tempi in cui gli stranieri sgomitavano per investire all’ombra del Cremlino, in cui si fantasticava sul possibile ingresso di Mosca nell’Unione Europea e persino nella NATO, in cui, per buona parte dei giuristi, andava completandosi il passaggio dalla rule by law (Stato che usa il diritto in quanto strumento di potere) alla rule of law (Stato che, come tutti i cittadini, è sottoposto alle regole). L’avventura si è già conclusa, almeno per quanto riguarda i valori. Oggi, per la prima volta dal crollo dell’Unione Sovietica, nell’immaginario russo, i modelli provenienti dall’Occidente in crisi stanno venendo rimpiazzati, anche a livello governativo, dalla seducente “soluzione russa”, incentrata sul ritorno ai sani valori del passato: orgoglio etnico, ortodossia religiosa, convivialità contadina, autoritarismo politico. Così, tra le altre cose, vanno moltiplicandosi le scaramucce militari ed energetiche con Bruxelles e Washington e, dal caso Magnitsky, si è rapidamente passati al divieto di dare in adozione orfani russi negli Stati Uniti. Meglio non va nel mondo arabo, dove rischia di perdere il potere l’ultimo alleato del Cremlino, Bashar al-Assad, né ad oriente, dove la decennale questione delle isole Curili ostacola l’istituzione di cordiali rapporti col Giappone e dove la Cina, gigante affamato di risorse a basso prezzo e spazi da colonizzare economicamente, suscita ormai diffidenza e timore. Infine, degli ex-alleati, solo Armenia, Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan e Kirghizstan, peraltro spesso per via di ricatti energetici, restano nella sfera di influenza di Mosca, che invece deve prendere atto dello scivolamento di Uzbekistan e Tajikistan verso la Cina e di quello di Turkmenistan e Azerbaijan verso la Turchia. Il rischio di isolamento è concreto, ed alla luce di ciò va interpretata l’accelerazione che ha portato un anno fa all’ingresso della Russia nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. La globalizzazione, però, è un gioco pericoloso, dove vince solo chi è abbastanza forte da poter competere con tutti gli altri senza barare (ad esempio, ricevendo sussidi o beneficiando di dazi doganali o restrizioni all’import). Questo non è il caso della Russia, il cui debole, vetusto ed iperprotetto apparato produttivo rischia di essere spazzato via dalla libera concorrenza internazionale. In molti, pertanto, si chiedono se una maggiore integrazione commerciale e produttiva sia una soluzione valida per trovare nuovi alleati. Al momento, secondo gli esperti, la risposta più corretta è no.
COME FINIRÀ? – La Russia che descriviamo agli inizi di questo 2013 è un paese fragile economicamente e socialmente, fortemente tentato di ripiegare su autoritarismo e conservatorismo e ad abdicare alle sfide della legalità e della modernità. Si sta scivolando a piccoli passi, e senza che la parte maggioritaria della popolazione prenda posizione, verso un’autocrazia pronta ad emarginare le frange sociali maggiormente progressiste le quali, in questi mesi di proteste d’élite a corrente alternata, hanno avuto la colpa di mischiare il dissenso al glamour, al gossip, senza riuscire a coinvolgere la stragrande maggioranza dei russi, quelli che non vanno a fare shopping col SUV e non hanno un iPhone in tasca. Vladimir Putin, abilissimo ad interpretare gli umori e soddisfare gli istinti della pancia della nazione, è il principale artefice di questo disegno e, verosimilmente, sarà presidente fino al 2024. Una vera e propria decade di decadenza.