Da Mare Nostrum a Triton, fino all’operazione Sophia: gli arrivi dei migranti in Europa attraverso il Mediterraneo richiedono operazioni sempre più strutturate e che si avvalgono del coordinamento multilaterale. Facciamo il punto della situazione
ANCHE L’ONU SI RENDE CONTO – I mari del mondo, e il Mediterraneo in particolare, continuano a tingersi di sangue. Così tanto che nemmeno le Nazioni Unite hanno potuto restare indifferenti: il 9 ottobre scorso il Consiglio di Sicurezza ha votato la Risoluzione 2240, che autorizza per un anno gli Stati membri a «ispezionare imbarcazioni in alto mare prossime alle coste libiche qualora essi abbiano ragionevoli motivi di sospettare che esse vengano usate per la tratta dei migranti o il traffico di esseri umani». Una decisione arrivata con poco clamore – eppure molto ponderata e sofferta – su un tema di stretta attualità, in risposta al quale l’Unione europea e i suoi Stati membri stavano lavorando da tempo, giungendo all’approvazione di un’operazione innovativa, l‘Operazione Sophia. Pensare che proprio l’Italia, storicamente sbocco naturale di vari flussi di migrazione e Paese spesso politicamente bistrattato in Europa, nel 2013 aveva forse trovato l’uovo di Colombo, ben prima degli altri. Un “uovo” costoso e discusso, ma che per il poco che è durato ha funzionato.
Fig. 1 – L’operazione Mare Nostrum ha visto l’Italia in prima linea
LA RISPOSTA ITALIANA: MARE NOSTRUM – Dopo l’impennata dei flussi migratori via mare nel 2011 dovuta all’instabilità che la Primavera Araba portò in Libia e nei Paesi limitrofi, l’Italia ha dovuto affrontarne una ancora più vasta circa due anni dopo, con l’intensificarsi della guerra civile in Siria e la crescente instabilità politica di altri Stati africani e mediorientali. È in questo contesto che, nell’ottobre 2013, il Governo Letta ha approvato Mare Nostrum, vasta operazione militare-umanitaria che potenziava il controllo aereo e navale del Mediterraneo. Mare Nostrum era un’intervento che nel gergo politico si chiama “search and rescue”, ovvero “cerca e salva”: l’intento era di monitorare costantemente le acque per intervenire prontamente in caso di pericolo con mezzi ad hoc, salvare vite ed eventualmente assicurare alla giustizia i trafficanti di esseri umani. L’operazione Mare Nostrum è durata un anno, ma si può dire che è stata un successo: circa centocinquantamila migranti irregolari portati in salvo, riporta l’Organizzazione Mondiale per la Migrazione, e 500 scafisti arrestati. Una ricerca svolta dal Migration Policy Centre mostra che, a fronte di un incremento del flusso migratorio di circa il triplo, i morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo sono cresciuti di meno della metà. Mare Nostrum, però, non ha incontrato un consenso comune in Europa. In particolare, ha attirato su di sé le critiche del Regno Unito, riassunte nelle dichiarazioni dell’allora ministro degli Esteri, la Baronessa Anelay: «Non supportiamo operazioni del genere nel Mediterraneo, crediamo che provochino un effetto d’incentivo nei confronti dei migranti, che in questi casi sono involontariamente spronati ad attraversare il mare portando così ulteriori morti». Le critiche non sono mancate anche da parte della destra italiana, e le spinte politiche avverse – unite al costo non indifferente dell’operazione (9,5 milioni al mese) – hanno portato l’Italia a “passare la palla” all’Unione europea, cioé all’Operazione Triton.
LA RISPOSTA EUROPEA: DA TRITON A SOPHIA – Triton è un’operazione diversa, per certi versi opposta, alle finalità e alle modalità di Mare Nostrum. Innanzitutto è gestita da Frontex, l’agenzia dell’Unione europea che si occupa di sicurezza delle frontiere. Poi il budget, notevolmente più basso: 2,9 milioni al mese, meno di un terzo di quanto spendesse la sola Italia per Mare Nostrum. Diverso anche il modus operandi: Triton non è “search and rescue”, ma di semplice pattugliamento e sorveglianza delle acque di frontiera. Infine il livello di intervento, cioè il supporto ai mezzi del Paese. «Triton non sostituisce Mare Nostrum – disse Cecilia Malmström, all’epoca Commissario europeo nella DG affari interni -, la cui applicazione resta a discrezione del Governo italiano». Ma proprio mentre a sorvegliare le acque del basso Mediterraneo c’era il “Tritone” di Bruxelles, il 19 aprile di quest’anno si è verificata la più grave tragedia mai accaduta in queste acque: oltre 800 morti al largo della Libia. Mare Nostrum avrebbe potuto evitarla? Non c’è e non ci sarà mai riprova, anche se è lecito pensare che le maglie di sorveglianza sarebbero state più strette. Triton, in sostanza, è troppo blanda per far fronte ai flussi sempre crescenti. Così un mese dopo, nasce l’operazione Sophia.
Fig. 2 – I bambini sono i più vulnerabili tra i migranti che cercano di raggiungere l’Europa
LO STATO ATTUALE – La vera Sophia in realtà è nata tre mesi dopo l’operazione che ora ne porta il nome: la bimba somala venuta alla luce su un barcone ad agosto è diventata la “mascotte” dell’ultimo intervento dell’Unione europea di sorveglianza delle frontiere (precedentemente denominato Eunavfor MED). La seconda fase dell’Operazione Sophia, quella operativa, è iniziata il 7 ottobre scorso. Sophia deve a Mare Nostrum la natura “search and rescue” (anche se l’obiettivo principale è smantellare la rete di traffico degli esseri umani), ma parte da presupposti innovativi. Non si limita per esempio soltanto ai dipartimenti degli affari esteri, alla diplomazia e alle forze militari, ma coordina e fa collaborare con loro anche le intelligence interne e le agenzie Europee, permettendo di affrontare il problema su più livelli. E sotto questo profilo non pare casuale l’approvazione della Risoluzione 2240, che permette a Sophia di operare anche oltre le acque territoriali degli Stati membri. L’approvazione della Risoluzione 2240, infatti, è avvenuta sotto la giurisdizione del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite – che permette agli Stati membri di perpetuare qualsiasi azione (sanzioni e interventi militari inclusi) per far rispettare il mandato del Consiglio di Sicurezza. Senza questo provvedimento, l’Unione Europea incontrerebbe non poche difficoltà a mettere in pratica l’Operazione Sophia, non avendo quest’ultima il consenso della Libia che, d’altra parte, si trova nel caos politico più estremo. Segno, insomma, che finalmente il mare rosso sangue non è più un problema solo delle coste che bagna.
Marta Migliorati
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Un chicco in più
È stato proprio il Regno Unito che, dopo essersi opposto con molta veemenza ad operazioni “search and rescue“, ha fatto circolare per primo la Risoluzione 2240 al Consiglio di Sicurezza. Segno forse che approvare operazioni militari anti-traffico che non includano il salvataggio di vite umane non abbia, dopotutto, molto senso? O che si siano resi conto che il tanto temuto “pull factor” – cioè, forte incentivo per migranti a intraprendere la traversata del Mediterraneo– non è provocato dalle operazioni di salvataggio intraprese: come ha notato un trafficante di migranti intervistato da “The Guardian”, «molte persone si imbarcherebbero lo stesso, anche se non ci fosse alcuna missione di ricerca e salvataggio» [/box]
Foto: triofabrizio