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Un nuovo corso per il Canada?

In 3 sorsiDopo la vittoria dei liberal di Trudeau il Canada volta pagina. Il Liberal Party of Canada, infatti, ha vinto le elezioni grazie a un programma interventista in economia (nonostante la promessa di ridurre le tasse sulla classe media) e progressista dal punto di vista sociale, che prospetta un cambio di rotta marcato rispetto alle politiche del precedente Governo. È possibile, però, ipotizzare anche un cambio di rotta nelle scelte internazionali?

1. LE ELEZIONI – Dopo nove anni di Governo conservatore il Canada volta pagina con la vittoria del Liberal Party of Canada guidato da Justin Trudeau, figlio d’arte di Pierre Trudeau (due volte Primo ministro), che si impone nelle lezioni del 19 ottobre conquistando la maggioranza di 184 seggi sui 338 disponibili. Il partito – di ispirazione liberal, posizionato al centro dello schieramento, ma tendente a sinistra – ottiene così il suo migliore risultato elettorale dalle elezioni del 2000 quando, sotto la guida di Paul Martin, fu in grado di convogliare su di esso più del 40% dei consensi. Nonostante i sondaggi ventilassero la possibilità di un pareggio fino a settembre, il carisma del giovane Trudeau, unito alla sua migliore comprensione delle richieste del popolo canadese, ha trascinato il LPC verso una vittoria storica, portandolo dal 18,9% delle elezioni del 2011 al 39,5% attuale. I grandi sconfitti sono i conservatori del Conservative Party of Canada guidati da Stephen Harper: l’ormai ex Primo ministro, dopo nove anni al Governo e tre mandati svolti, deve cedere il passo all’arrembante Trudeau. Le elezioni costano al partito conservatore quasi otto punti percentuali, facendolo scivolare dal 39,6% dei consensi ottenuti alle elezioni del 2011 al 31,9%. Delusi sono anche i rappresentanti del New Democratic Party, partito di centro-sinistra guidato da Tom Mulcair, in grado di ottenere solo il 19,7% delle preferenze (con una perdita di quasi undici punti percentuali rispetto alla tornata precedente).

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Fig. 1 – Justin Trudeau saluta i supporters prima di un dibattito

2. LE PROMESSE – «We need to remember that economic growth is not only about prosperity. It’s about building a country that gives everyone a real and fair chance to succeed». La citazione è di Trudeau, campeggia sul sito ufficiale del suo partito e rende bene la misura dell’orientamento politico-economico del nuovo Governo del Canada. Proprio l’economia è uno dei principali temi sul quale si è giocata la partita elettorale. La situazione in cui verte il Paese, infatti, non è delle migliori. Il Prodotto Interno Lordo in diminuzione dal 2013 (anche a seguito del crollo del prezzo del petrolio, materia prima della quale il Canada è uno dei maggiori esportatori mondiali) ha provocato un calo della fiducia verso le politiche messe in atto dal Governo Harper. Cavalcando l’onda del malcontento e facendo leva sul portafoglio degli elettori, i liberal si sono proposti come difensori della middle class, e una delle principali promesse elettorali è stato proprio l’impegno volto a ridurre la tassazione sulle famiglie appartenenti alla suddetta classe. La politica tipicamente liberista di riduzione delle tasse viene però affiancata da scelte di stampo keynesiano: il Governo appena eletto, infatti, ha promesso investimenti per oltre quarantasei miliardi di dollari statunitensi in infrastrutture da portare a compimento nell’arco di tre anni (Il Sole 24 Ore). Con tale scelta – intrapresa nonostante la possibilità di vedere espanso ulteriormente il deficit statale – i liberal sperano di riuscire a spingere nuovamente l’economia del Canada verso la crescita. Assecondando poi l’80% dei canadesi – che, in un sondaggio condotto dalla Canadian Broadcasting Corporation, ha espresso il desiderio di un maggior impegno da parte del Governo nel combattere il cambiamento climatico -, Trudeau ha promesso maggiori investimenti nella green economy e una maggiore attenzione verso iniziative internazionali in questo ambito, dato che ai primi di dicembre si terrà la conferenza ONU di Parigi sul cambiamento climatico. Il LPC ha proposto, inoltre, di accogliere un maggior numero di rifugiati siriani (in opposizione alle dure politiche del partito conservatore). Infine, dal punto di vista della spesa militare, la piattaforma liberal conferma l’intenzione di uscire dal programma F-35 e il ritiro dalla coalizione anti-Isis in Iraq, ma enuncia altresì la volontà di mantenere invariato il budget per la difesa, rafforzare la Marina e dotare il Paese di una nuova National Defence Strategy (per sostituire l’attuale, datata 2008).

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Fig. 2 – Justin Trudeau parla al Canadian Club di Toronto

3. LE PROSPETTIVE – Nonostante la volontà di ridimensionare il proprio impegno estero, però, non sono ipotizzabili cambiamenti drastici a livello di posizionamento internazionale del Paese. Se dal punto di vista interno, infatti, i liberal proveranno a implementare le varie proposte presenti nel loro programma, dal punto di vista della politica estera lo spazio di manovra è più limitato. Internamente, come già sottolineato in precedenza, le politiche interventiste potrebbero provocare un innalzamento del deficit. Resta da vedere se questo sarà compensato da un ritorno alla crescita economica, che premierebbe le scelte del LPC. Esternamente, in campo economico, la partecipazione alla Trans-Pacific Partnership non sembra in discussione: malgrado le parole di cautela e la promessa di un dibattito aperto espressi da Trudeau, infatti, l’area di libero scambio risponde perfettamente alle idee liberiste nel campo del commercio internazionale propugnate dal suo partito. Difficile, quindi, ipotizzare una mancata ratifica del trattato commerciale da parte del Canada. Passando alla politica estera, nonostante l’uscita di scena sia invece già confermata per quanto riguarda la missione aerea internazionale volta a contrastare lo Stato Islamico (il Canada continuerà a operare solo per addestrare i ribelli e come supporto logistico) e ci sia anche la volontà di abbandonare il programma F-35 (il LPC ritiene, infatti, il caccia di quinta generazione non adatto alle necessità del Paese), tali decisioni non sembrano capaci di influenzare gli altri Paesi che collaborano attivamente con gli Stati Uniti. Inoltre, il ritiro del Canada, dato il suo peso militare quasi irrilevante, non modificherà sostanzialmente la natura delle iniziative internazionali sopra citate e non sembra, di conseguenza, avere infastidito in misura marcata Washington (nonostante la volontà attuale di cercare un forte sostegno multilaterale). Obama, difatti, ormai alla fine del mandato, è molto più concentrato sul raggiungimento di obiettivi tangibili, quali la ratifica del TPP e l’accordo sul TTIP. Il Presidente americano ha mostrato quindi comprensione verso le decisioni canadesi in ambito militare. Il contrappasso, naturalmente, è che il Canada – con un’importanza economica inversamente proporzionale a quella militare – rispetti gli impegni commerciali presi.

Simone Zuccarelli

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Un chicco in più

  • Il Canada è il secondo Paese al mondo per estensione dopo la Russia.
  • È errato tradurre liberal con liberale. I liberal statunitensi e canadesi, infatti, sono progressisti di sinistra che sostengono l’interventismo statale in economia (Iannello). Nell’accezione italiana di liberale, invece, viene indicata la dottrina che prevede, tra le altre cose, la necessità di evitare l’interventismo statale in ambito economico. Sarebbe più corretto, dunque, tradurre il termine liberal con socioliberismo o liberalismo sociale piuttosto che con liberale.
  • Justin Trudeau è nato il 25 dicembre del 1971 ed è il secondo più giovane Primo ministro canadese (il più giovane in assoluto è stato Joe Clark).
  • In Canada vige il sistema elettorale first-past-the-post: il territorio nazionale viene suddiviso in vari collegi uninominali nei quali viene eletto il candidato che ottiene la maggioranza semplice dei voti. Lo stesso sistema è adottato anche, ad esempio, nel Regno Unito.

Per approfondire:

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Foto: Joseph.Morris

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Simone Zuccarelli
Simone Zuccarelli

Classe 1992, sono dottore magistrale in Relazioni Internazionali. Da sempre innamorato di storia e strategia militare, ho coltivato nel tempo un profondo interesse per le scienze politiche. 

A ciò si è aggiunta la mia passione per le tematiche transatlantiche e la NATO che sfociata nella fondazione di YATA Italy, sezione giovanile italiana dell’Atlantic Treaty Association, della quale sono Presidente. Sono, inoltre, Executive Vice President di YATA International e Coordinatore Nazionale del Comitato Atlantico Italiano.

Collaboro o ho collaborato anche con altre riviste tra cui OPI, AffarInternazionali, EastWest e Atlantico Quotidiano. Qui al Caffè scrivo su area MENA, relazioni transatlantiche e politica estera americana. Oltre a questo, amo dibattere, viaggiare e leggere. Il tutto accompagnato da un calice di buon vino… o da un buon caffè, ovviamente!

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