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Relazioni Cina-Australia: miniere al centro

L’espansione del commercio sino-australiano conferma e cristallizza le ottime relazioni instaurate fra i due Paesi molti decenni addietro. Un vincolo che trova la propria origine nelle cospicue miniere australiane, dalle quali viene estratta la preziosità di un legame ferreo e duraturo nel tempo.

L’INTRECCIO CON LE RELAZIONI DIPLOMATICHE – Il 22 ottobre scorso Julie Bishop, ministro degli Esteri australiano, ha annunciato la nomina di Jan Adams alla carica di rappresentante estero presso l’Ambasciata australiana in Cina, ruolo che sarà ricoperto da febbraio 2016. Figura ben nota quella della signora Adams: l’ex Sottosegretario del Dipartimento degli Affari Esteri e del Commercio (DFAT) è infatti l’artefice del successo delle negoziazioni sul libero scambio avvenute con Cina, Giappone e Corea del Sud. Traguardo fondamentale è stato la stipulazione del China-Australia Free Trade Agreement (ChAFTA), siglato a giugno di quest’anno, che permetterà di intensificare ed espandere il commercio fra i due partner in diversi settori. Le relazioni economiche dei due Paesi hanno radici assai profonde nel passato. Dopo la nascita della Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel 1949, l’Australia intrattenne rapporti esclusivamente con il precedente Governo nazionalista rifugiatosi a Taiwan. Solo nel tardo 1972, la firma di un comunicato congiunto aprì la strada alle relazioni diplomatiche con la RPC, riconoscendone il Governo come unico e legittimo. La regolarizzazione dei rapporti con la Cina è stata una mossa politica che, già nel breve periodo, ha consentito a Canberra di beneficiare dell’intensificazione degli scambi commerciali con Pechino, avvenuta soprattutto a partire dall’inizio degli anni Novanta.

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Fig. 1 – Il Presidente cinese Xi Jinping stringe la mano al Primo ministro australiano Tony Abbott dopo la firma dell’accordo sul libero scambio sino-australiano, avvenuta a Canberra il 17 novembre 2014.

LA CENTRALITÀ DEL SETTORE MINERARIO – Dall’ultimo decennio del XX secolo, la Cina ricopre un indiscusso ruolo di gigante economico, posizione confermata da dati, che rivelano una bilancia commerciale in attivo. Tuttavia il surplus è compensato da una grave carenza di materie prime e fonti energetiche, indispensabili per sostenere l’imponente sviluppo economico. La crucialità degli investimenti cinesi nell’industria pesante e nelle infrastrutture ha così proiettato la forte richiesta di energia oltre i confini nazionali, incrociando l’offerta di minerali di ferro e carbone – impiegati rispettivamente nella produzione di acciaio e per l’energia elettrica -, di cui l’Australia detiene importanti giacimenti. Sebbene anche la Cina sia uno dei principali estrattori, le risorse presenti sul suo territorio non sono sufficienti a soddisfare la domanda interna, dovendo automaticamente ripiegare sulle importazioni. Nel 2014, in base allo UN COMTRADE database, la Cina presenta un deficit negli scambi con l’Australia: i dati registrano un import complessivo pari a 97.7 miliardi di dollari, in netto contrasto con l’export, che ammonta a soli 39.1 miliardi, ma l’elemento rilevante emerge dall’evidenza che più di due terzi delle importazioni – valore che supera i 60 miliardi di dollari – siano dominati proprio da minerali e combustibili. Storicamente le principali destinazioni dell’export australiano sono state, oltre al mercato cinese, il Giappone e la Corea del Sud. Mettendo a confronto i primi due Paesi asiatici, dai dati statistici appartenenti alla medesima fonte, si evince per entrambi un import nel settore minerario costante fino al 2003, periodo in cui inizia a verificarsi un lieve aumento, che si manifesta con maggiore decisione a partire dal 2004. È in quest’ultimo anno che la Cina supera i minerali richiesti dal Giappone con più di 1 miliardo di dollari, classificandosi primo nei mercati prediletti dagli esportatori australiani. Infine, affidandoci a una diversa indagine, possiamo notare che nel 2009 la percentuale di minerali di ferro esportati in Cina è cresciuta fino al 73.5% dal 59.2% nel 2008, il Giappone presenta un import dall’Australia ridottosi al 13.5% dal 24.8% dell’anno precedente, la Corea del Sud è passata dal 10.8% al 7.7% (Fonte dati: Geological Survey U.S., Minerals Yearbook: Area Reports: International 2009: Asia and Pacific, Government Printing Office, 2011, vol. 3).

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Fig. 2 – Tipica miniera a cielo aperto nell’area di Kalgoorlie, nel nord-ovest australiano. Nella zona sono in corso le operazioni della Norton Gold Fields, compagnia australiana controllata dalla cinese Zijin Mining Group.

IL “COSTOSO” SURPLUS – La crescita economica cinese ha subito nel terzo quadrimestre del 2015 un brusco calo, registrando un tasso di crescita del 6.9%. Uno dei più bassi se si considera il 6.2% raggiunto durante la profonda recessione economica mondiale, e per niente confortante rispetto ai primi due quadrimestri d’inizio anno, quando la Cina poteva ancora vantare un “insolito” 7%. Il rallentamento del potente gigante asiatico ha riversato i propri effetti negativi in vari settori, arrivando a infettare inevitabilmente gli scambi con i partner economici. Fra questi l’Australia e il suo prezioso settore minerario, che ha fortemente risentito delle amare conseguenze dell’eccesso di offerta e della precipitazione dei prezzi delle sue risorse. Ciononostante, è bene ricordare che la Cina assorbe il 60% del consumo mondiale di minerali e che, quando una merce è così dipendente da uno specifico compratore, come ricordano gli esperti, è normale che i prezzi siano volatili. In passato la Cina, consumando enormi quantità di risorse, ha determinato un decisivo aumento dei prezzi di carbone, ferro e petrolio. Oggigiorno però, il settore siderurgico – che aspira la stragrande maggioranza delle materie prime importate dall’Australia – sta sperimentando un’indiscussa sovraccapacità. La causa è da ricondurre evidentemente a un consumo di acciaio ridimensionato e all’industria cinese che ricopre il 50% della produzione mondiale, fabbricazione che non si arresta e tuttora procede con i medesimi ritmi. La situazione non migliora se si volge lo sguardo alle accuse di dumping rivolte dai Paesi europei a Pechino, che per disfarsi dei prodotti siderurgici eccedenti il consumo interno, irrompe nei mercati internazionali con prezzi addirittura inferiori a quelli adottati in precedenza dalle stesse acciaierie cinesi.

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Fig. 3 – Marzo 2012: attivisti australiani dipingono sulla nave Chou San, dedita al trasporto di carbone, il messaggio “Reef in Danger”. L’espansione delle miniere di carbone e la conseguente intensificazione dei trasporti con la Cina ha infatti sollevato delle proteste relative alle possibili minacce alla Grande barriera corallina.

L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA…D’ORO – Con il rallentamento dello sviluppo cinese, in Australia crollano a picco i prezzi di carbone e minerali di ferro, toccando livelli mai visti in precedenza e senza escludere nuove precipitazioni. La caduta è stata evidenziata in gran parte dei prodotti esportati verso la Cina e, secondo il parere espresso da molti analisti, sarà necessario attendere il 2016 per vedere un lieve rialzo. La problematicità della questione ha condotto molte compagnie minerarie a tagliare i costi e migliorare la propria efficienza, includendo nella black list una riduzione dei salari, dei posti di lavoro e l’imposizione di un freno agli investimenti. Poche società sono ottimiste, mentre quelle più deboli e a basso profitto hanno già dichiarato il fallimento e altre pressano affinché ci possa essere un intervento da parte del Governo. Tuttavia, la conseguente svalutazione del dollaro australiano non ha prodotto solo effetti negativi. Se domanda e offerta influiscono sui prezzi di alcuni metalli, questo non è sempre vero per l’oro, ad esempio, il cui prezzo risente sì della richiesta, ma anche dei tassi di cambio. Ne consegue che le miniere d’oro – e fra queste una di proprietà della statunitense Newmont, dislocata nell’Australia occidentale – sono in fase di espansione, approfittando delle condizioni del mercato. Numerose società hanno inoltre tratto benefici dal ribasso dei prezzi di petrolio e gas, senza dimenticare come il Paese sia diventato una meta estremamente attraente per turisti o giovani, desiderosi di portare a termine un’esperienza di svago e/o studio all’estero.

Federica Daphne Ierace

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Un chicco in più

L’Australia si distingue nel mondo per i suoi importanti giacimenti, fra questi quelli di carbone. Nel settore metallurgico tale minerale è impiegato soprattutto nella produzione di acciaio, mentre il carbone termico è fondamentale per generare elettricità. Le importazioni di quest’ultimo da parte del Giappone sono ancora estremamente significative.  [/box]

Foto: Gloria Salgado Gispert

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Federica Daphne Ierace
Federica Daphne Ierace

Classe 1992, ho conseguito recentemente la laurea magistrale (cum laude) in Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica di Milano. Ad oggi la mia attenzione è interamente dedicata ad alcune tematiche di difesa – approfondite con degli studi al King’s College di Londra – e in particolar modo alla dimensione cyber. Ambito affascinante e sempre ricco di novità, è proprio in quest’ultimo che si concentrano le mie analisi, osservandone l’impiego strategico e le nuove dinamiche geopolitiche.

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