Analisi – Le relazioni tra Cina e media occidentali sono sempre più tese, dopo che la BBC ha pubblicato un reportage sui lavori forzati nelle piantagioni di cotone dello Xinjiang e sui campi di rieducazione. I media cinesi hanno risposto con una nuova modalità, ovvero mediante l’utilizzo della lingua inglese, rivolgendosi a un pubblico internazionale. Tra le risposte cinesi spicca un’opera satirica, un documentario e la collaborazione di blogger occidentali.
BLOOD COTTON INITIATIVE
Le relazioni tra la Cina e i media occidentali sono sempre più tese. John Sudworth, il principale corrispondente della BBC dalla Cina, ha dovuto trasferirsi a Taiwan a causa delle continue pressioni e intimidazioni da parte delle Autorità cinesi. Trai i suoi reportage spicca Tainted Cotton, sul lavoro forzato nelle piantagioni di cotone dello Xinjiang, e il servizio sui campi di rieducazione della medesima regione autonoma cinese, per i quali le Autorità cinesi lo hanno accusato di calunnie. Il primo dei due reportage ha portato al boicottaggio del cotone dello Xinjiang da marchi di rilevanza internazionale quali H&M e Nike. Non sono tardate le reazioni da parte dei media cinesi. Tra esse spicca l’opera Blood Cotton Initiative dell’artista filo-governativo Wuheqilin. Il titolo richiama Better Cotton Initiative, organizzazione non governativa che promuove standard di coltivazione del cotone sostenibili e che ha denunciato le condizioni di lavoro nelle aziende produttrici di cotone dello Xinjiang. L’opera mostra un campo di cotone con degli schiavi afroamericani intenti a raccoglierlo, richiamando il passato schiavista degli Stati Uniti. I supervisori sono bianchi e indossano il cappuccio che caratterizza il Ku Klux Klan. Sono presenti anche un cameraman e un reporter, che indossano i medesimi cappucci da suprematisti bianchi. Ignorano quello che accade nel campo e sono intenti a intervistare uno spaventapasseri appeso a una croce, che indossa abiti tradizionali uiguri di genere femminile. Il reporter impugna un microfono sul quale appare un logo analogo a quello della BBC. Un ufficiale di polizia con la divisa di Minneapolis e con indosso il medesimo cappuccio tiene la struttura alla quale è fissato lo spaventapasseri. Nella parte inferiore dell’opera è visibile la scritta “Can you tell us what unfair treatment have you suffered, Miss Scarecrow?” Lo spaventapasseri non può parlare e c’è quindi un cartello che risponde in sua vece “I’ve been sexually assaulted and abused”. Sul tronco di un albero è presente una scritta insanguinata molto simile al logo di H&M e nel campo si può vedere che uno schiavo impugna una bilancia che ha la forma del logo della Nike.
Fig. 1 – L’opera satirica Blood Cotton Initiative dell’artista cinese Wuheqilin. Il lavoro è stato rilanciato da molti account filo-cinesi su Twitter
IL DOCUMENTARIO
La principale risposta ai media occidentali riguardo al trattamento degli uiguri da parte cinese è rappresentata da un documentario del 2 aprile scorso dell’emittente cinese CGTN. Rappresenta una novità, perché essendo sottotitolato in inglese si rivolge a un pubblico internazionale. Il documentario, indirettamente, lascia intendere che lo stato di sorveglianza al quale sono sottoposti gli uiguri sia motivato dalla minaccia del terrorismo.
Il documentario si intitola The War in the Shadows (暗流涌动anliu yongdong, letteralmente L’onda che sorge in segreto) e tratta del terrorismo uiguro di matrice islamica nello Xinjiang. Nella parte intitolata The Networks si descrivono dettagli dell’attentato terroristico del 22 maggio 2014 a Urumqi durante il mercato nella zona di North Park Street che provocò 39 morti tra i civili e 94 feriti a causa di due suv esplosi. L’ufficiale di polizia Adil racconta che dopo aver interrogato il principale sospettato è venuto a sapere che la zona era stata visitata più volte dai terroristi, i quali hanno compiuto tale gesto per entrare in paradiso. L’ex capo della pubblica sicurezza di Urumqi Kadir Memet descrive i dettagli dell’attentato. Afferma che non si trattava dell’attacco di un lupo solitario, bensì di un gruppo organizzato. I terroristi hanno acquistato del permanganato di potassio e altre sostanze chimiche da internet e sempre da internet hanno reperito le informazioni su come assemblare gli esplosivi. Tramite chat erano poi entrati in contatto con gruppi terroristici al di fuori della Cina e avevano scaricato materiale estremista. Secondo Kadir Memet le menti degli attentatori erano avvelenate dalle tre forze maligne, ovvero terrorismo, estremismo e separatismo. L’attentato non era un caso isolato, faceva parte di una più ampia serie di azioni terroristiche. Nel documentario compare l’intervista ad Almira Muther, che nel 2012 è stata incarcerata con una condanna di dieci anni per incitamento al jihad. Almira si dimostra pentita dei reati che ha commesso e descrive di essere stata indottrinata gradualmente, fino ad arrivare a pensare al martirio da jihadista per poter entrare in paradiso. Nel documentario viene intervistato anche Abdul Tursuntohti, che nonostante la carcerazione per incitamento al jihad, continua a credervi fermamente. Sostiene che se Allah glielo ordinasse, ucciderebbe anche il proprio figlio, per non parlare degli infedeli. Viene intervistata anche l’ufficiale di polizia e consulente psicologica delle carceri Dilnur Guanfengbao, che si occupa di casi di giovani estremisti e di come riportarli alla normalità. Sostiene che alcuni di loro corrispondono al profilo di personalità antisociale e che le loro menti sono paragonabili a un suolo alcalino indurito. Inoltre afferma che il loro fervore religioso sia una distorsione psicologica. Aggiunge che nel percorso di recupero e reinserimento sociale è essenziale intraprendere attività volte all’istruzione professionale, che in termini tecnici indica i campi di rieducazione. In questo caso la rieducazione viene motivata dalla minaccia dell’estremismo religioso di matrice islamica. Nel documentario non vengono però citati i casi di internamento preventivo, ovvero quando gli individui non hanno compiuto alcun crimine, ma vengono trattenuti nei campi di rieducazione perché le Autorità ritengono che potrebbero ipoteticamente essere stati contaminati dai tre mali del terrorismo, separatismo e fondamentalismo.
Fig. 2 – Le squadre speciali cinesi fanno un giuramento anti-terrorismo a Hetian, nella Regione Autonoma dello Xinjiang
I TESTI SCOLASTICI E I BLOGGER OCCIDENTALI
È rilevante analizzare la parte del documentario intitolata The Textbook. Nel 2016 sono stati individuati degli “errori” nei testi scolastici delle edizioni del 2003 e del 2009 per quanto riguarda la scuola primaria e le scuole medie e ne è seguita un’indagine. Tra gli “errori” si può citare la presenza della bandiera e l’emblema del Turkestan orientale o una leggenda riguardante sette ragazze uigure eroiche. Gli esperti cinesi che hanno analizzato gli “errori” sostengono che questi elementi erronei incitano all’odio etnico. Secondo le Autorità cinesi anche la presenza di elementi riguardanti l’indipendenza uigura o l’individuazione delle origini etniche uigure al di fuori dello Xinjiang rappresentano incitamento al terrorismo. I responsabili, tra cui figurano dirigenti nell’ambito dell’istruzione nello Xinjiang e gli editori che hanno inserito tali “errori”, sono stati incarcerati. I media cinesi, per rispondere alle accuse riguardo ai lavori forzati nelle piantagioni di cotone dello Xinjiang, ricorrono anche a blogger occidentali che vivono in Cina. Tra questi figura il britannico Jason Lightfoot, che con molto sarcasmo, allineandosi alla posizione ufficiale cinese, risponde ai reportage di John Sudwort. Sostiene che quelli filmati dal giornalista della BBC non sarebbero campi di rieducazione, ma semplici “alloggi temporanei” utilizzati per collocare lavoratori provenienti da zone remote dello Xinjiang.
Nicol Betrò
“Areya Road” by D-Stanley is licensed under CC BY