La vittoria di Mauricio Macri alle elezioni argentine ha decretato il ritorno della destra alla guida del Paese. Siamo alle porte di un’alternanza al potere che potrebbe riguardare l’intero continente?
MACRI VINCE LE ELEZIONI – Il 22 novembre l’Argentina ha chiuso 12 anni di kirchnerismo decretando la vittoria del leader della coalizione di centro-destra Mauricio Macri. Un cambio non del tutto inatteso e che va ben oltre lo scarso carisma del candidato del Frente Para la Victoria, Daniel Scioli. Per il partito peronista, che deteneva la leadership del Paese dal 2002, si profilava una situazione critica sin dalla prima tornata elettorale, quando Scioli accedeva al ballottaggio con un vantaggio minimo sul suo avversario. A nulla è valso il sostegno di Massa (uscito sconfitto dal primo turno elettorale) alla causa di Scioli: la sconfitta è giunta in tarda nottata, quando al termine dello spoglio delle schede elettorali si delineava il verdetto popolare che con un 51,40% dava la propria fiducia al progetto CAMBIEMOS di Macri. Vantaggio esiguo ma determinante e capace di sottolineare a livello regionale una nuova dinamica che potrebbe portare al sorpasso della destra politica ai danni di una sinistra che appare in realtà priva di idee.
Fig. 1 – Mauricio Macri è il nuovo Presidente dell’Argentina
UN SEGNALE CHE ARRIVA DA LONTANO – È nell’aprile 2013 che troviamo un primo segnale di deterioramento del progetto socialista latinoamericano, e lo troviamo proprio dove questo progetto sembrava avere maggiore forza, ovvero in Venezuela. Il Paese orfano di Chávez il 14 aprile 2013 ha voluto dare con poca convinzione (50.78% dei voti) la propria fiducia a Nicolás Maduro. Un campanello di allarme per un progetto nel quale fulcro determinante appare la figura dello scomparso Chávez, tanto da trasformarsi con Maduro in chavismo invece che socialismo. Confusione d’identità e di progetto che finisce con il minare una solidità politica costruita dal 1998 a suon di bolivarismo internazionale. Maduro oggi rincorre senza riuscirci una stabilità sociale ed economica utilizzando più la dialettica che le azioni concrete. Ovviamente parliamo di un Paese fortemente destabilizzato da interessi internazionali, ma che nei fatti trova nella chiusura l’unico modo di (non) reagire. Sarà a tal proposito determinante il voto del 6 dicembre prossimo che traccerà il nuovo assetto legislativo del Paese: il chavismo accetterà una possibile ascesa della destra?
Fig. 2 – Il Venezuela di Maduro vive nel ricordo di Hugo Chávez
UN SEGNALE CHE RISUONA CON MAGGIORE FORZA – Tuttavia, se il Venezuela ha sempre rappresentato un attore discontinuo in ambito economico e di difficile collocazione sulla scena internazionale, il Brasile è tutt’altra cosa. Identificato da inizio secolo quale economia emergente dalle grandi ambizioni, Paese leader a livello regionale e membro del BRICS, oggi vive una preoccupante situazione di immobilismo economico. Il gigante carioca non cresce più, e in molti parlano di “volo della gallina” proprio per identificare quella grande aspettativa di consacrazione mondiale quale nuovo e stabile polo geopolitico, puntualmente ridimensionata dai fatti. Una difficoltà che ha ripercussioni sulla fiducia dell’elettorato, che il 26 ottobre 2014 ha espresso tutta la sua incertezza nel riconfermare Dilma Rousseff alla guida del Paese – la Presidentessa viene riconfermata con un esiguo 51,60%. Si paga l’attuale difficoltà economica strutturale, ma anche l’esistenza di un “lato scuro” all’interno del partito di Rousseff (il PT – Partito dei Lavoratori) sin dalle sue origini. Infatti, sin dal 2002 si sono succeduti diversi scandali istituzionali che comprovavano l’esistenza, all’interno del PT, di una rete clientelare che si estendeva in diversi settori dell’economia. Sia Lula che Rousseff ne sono usciti sempre a testa alta, dimostrando la loro estraneità garantendo la continuità del progetto politico del partito alla leadership. Ma oggi la leadership torna a tremare, e non è detto che alla lunga il progetto politico del PT resterà in piedi.
Fig. 3 – Lula e Dilma Rousseff: anche il modello brasiliano è in crisi?
LA REGIONE SI TRASFORMA – Il sogno di Bolivar sembra dunque in crisi, e per una visione del regionalismo che prende quota e diventa sempre più desiderato (vedi il progetto fino ad ora di successo dell’Alleanza del Pacifico), altri sembrano perdere consistenza. Parliamo dell’ALBA ad esempio, un progetto costruito sull’asse Cuba-Venezuela, poi ampliato tra Caraibi e regione andina per contrarsi nuovamente sull’asse Bolivia-Ecuador. Infatti, se da un lato la grande isola caraibica è distratta dalla possibilità di vedere l’epilogo imminente dell’embargo statunitense, dall’altro lato Caracas, pur alla guida del progetto socialista e bolivarista regionale, deve concentrarsi sul sempre più precario equilibrio interno. Agli inizi dell’Ottocento Bolivar sognava una grande regione capace di condividere finalità in un contesto di piena indipendenza. Oggi invece, pur resistendo l’idea di indipendenza, viene meno l’idea di condivisione prima politica, poi sociale ed infine economica di un continente che cova più rivalità che solidarietà. Anche l’Argentina non è immune a questo discorso. Pur rientrando nel Mercosur e nell’Unasur, in concreto Buenos Aires ha cercato fino ad ora di sfruttare il regionalismo a proprio vantaggio concentrandosi su una condivisione ideologica. Fattore utile per rafforzare la propria posizione internazionale in merito a temi quali il debito estero e la questione delle Malvinas, ma poco funzionale ad una contestualizzazione economica. L’Argentina in concreto opera nel Mercosur perseguendo il vantaggio competitivo sui propri partner più che il rafforzamento dell’integrazione economica con gli stessi.
IL SORPASSO – Per concludere, torniamo al ballottaggio del 22 novembre, dove si è consumato il sorpasso del centro-destra ai danni del kirchnerismo. Il neo Presidente Macri ha un arduo cammino davanti a sé. In primis si prospetta una svalutazione del peso argentino per arginare la crisi valutaria del Paese. Svalutazione che tuttavia avrà ripercussioni sul potere d’acquisto reale della popolazione e sull’occupazione. Pertanto Macri e il suo Governo dovranno far fronte alla necessaria ricerca di un nuovo equilibrio interno. Inoltre il Presidente eletto ha più volte manifestato la sua volontà di sedere a un tavolo e ridiscutere il debito estero del suo Paese senza escludere un’interazione con il FMI. Una vera e propria rivoluzione se pensiamo al corso kirchnerista, per il quale non è possibile fare previsioni. Ogni risultato dipenderà dalla volontà di cercare, nonostante l’inclinazione liberale, il giusto equilibrio tra crescita interna – oggi stagnante – e riabilitazione nel circuito finanziario esterno. Saranno da preservare gli accordi commerciali già raggiunti con Russia e Cina, ma allo stesso tempo vi è la ferma convinzione di riaprire un dialogo costruttivo con gli Stati Uniti. Ma forse la vera sfida per Macri sarà quella di riposizionare Buenos Aires nel contesto regionale: protagonista o eterna inseguitrice? Per gli sconfitti del FPV, invece è tempo di analizzare gli errori del passato, errori che vanno ben oltre la scelta di un candidato poco carismatico come Scioli, ma che albergano in un progetto politico che si è via via sbiadito negli ultimi anni.
William Bavone
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Un chicco in più
Il paradosso venezuelano. Se guardiamo l’involuzione venezuelana notiamo come durante la presidenza di Chávez il Paese rappresentava un modello socialista a tal punto da traghettare, idealmente, Cuba fuori dal suo isolamento. Il Venezuela quale esempio da emulare per sviluppare un socialismo nel mondo nonostante l’embargo statunitense. Con la prematura morte del leader bolivariano e l’ascesa di Maduro alla leadership del Paese, i rapporti si sono invertiti, e il Venezuela ha iniziato a ridimensionare il proprio progetto politico fino all’isolamento. Una posizione che se da un lato pone Caracas sulla difensiva nei confronti di interferenze esterne, dall’altro obbliga il Paese a soffrire gravemente una grave crisi economica e sociale interna. Un’isola nel continente, possiamo dire, che paradossalmente guarda inerme l’internazionalismo di Cuba.
Disastro ambientale senza precedenti. Il 5 novembre a Mariana, nello stato di Minas Garais (Brasile), due dighe hanno ceduto ed hanno riversato 60.000 metri cubi di sostanze tossiche nella vallata sottostante. Un disastro che annovera anche la morte di 17 persone e senza precedenti in Brasile, da imputare alla negligenza dell’anglo-australiana Samarco Mineracao Sa. e della brasiliana Vale. Approfondimento disponibile su Il Fatto Quotidiano.
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Foto: ProArgentina