LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO – La Conferenza delle parti (CoP) 21, alla ventunesima sessione annuale, organo della Unfccc, (United Nations frame work convention on climate change) segna un’inversione di tendenza nella storia della lotta al cambiamento climatico. Da questa edizione i governi dei singoli Paesi sono chiamati ad inviare le loro proposte (piani d’azione sul clima) per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, segnando un ribaltamento dello schema classico usato fino ad oggi. Niente piĂą imposizioni ai singoli Stati ma tutto si inquadra nel tentativo di facilitare un accordo tra i piĂą di 150 paesi partecipanti, responsabili del 90% delle emissioni di CO2, metodo forse discutibile perchĂ© è poco probabile che i Paesi piĂą industrializzati (e quindi piĂą inquinanti) decidano di limitarsi autonomamente, per di piĂą in un contesto economico caratterizzato dalla stagnazione. Di contro, in questo modo nazioni storicamente poco interessate alla questione sono state indotte ad inviare, finalmente, statistiche e dati ufficiali.
Fig. 1 – Il cambiamento climatico è un rischio sempre piĂą concreto
UN ACCORDO NON VINCOLANTE? – Il segretario di Stato USA John Kerry ha provveduto a fugare ogni dubbio. Ha dichiarato al Financial Times, lo scorso 11 novembre, che gli Stati Uniti (ovvero il paese piĂą inquinante del mondo fino a poco tempo fa, il primato negativo oggi appartiene alla Cina) non accetteranno nessun accordo effettivamente vincolante. Sembra dunque che non si ripeterĂ il risultato della CoP 3 del 1997, quella che si è svolta nella cittĂ giapponese di Kyoto e che ha dato vita all’omonimo protocollo. L’Unione Europea aveva giĂ fatto sapere di voler dare all’accordo finale la veste giuridica di trattato o di protocollo, proprio per esigere natura vincolante all’atto. Il tema è di fondamentale importanza, perchĂ© se le emissioni non avranno un’inversione di tendenza avremo un innalzamento delle temperatura superiore ai 2°C (si teme quota 2,7°) entro il 2100. Con ghiacciai che si scioglieranno e conseguente innalzamento del livello del mare fino a 70 metri, desertificazioni massicce e carestie unite a migrazioni bibliche. L’obiettivo del vertice è quello di contenere entro i 2° l’innalzamento della temperatura.
Fig. 2 – Un’immagine della CoP 20 dell’anno scorso, tenutasi a Lima
L’EUROPA E L’ITALIA – L’Unione Europea, come soggetto unitario, si impegnerĂ a ridurre globalmente le proprie emissioni del 40% rispetto ai livelli del 1990, entro una data vicina, il 2030. Lo scorso anno i 28 Stati membri hanno siglato un patto, vincolante e con tanto di sanzioni in caso di mancato rispetto degli obiettivi, il che fa comprendere come il vecchio continente sia il soggetto politico piĂą sensibile al tema. L’Italia, responsabile di poco piĂą dell’1% delle emissioni mondiali, è determinata a giocare un ruolo da protagonista. Probabilmente il ministro Galletti chiederĂ di fissare l’obiettivo ancora piĂą in alto, arrivando a proporre di stabilire l’aumento consentito della temperatura a 1,5° anzichĂ© 2°, con obiettivi qualificati e misurabili ogni 5 anni. Roma proporrĂ , poi, di valutare l’inserimento di una carbon tax. La Gran Bretagna ha fatto sapere che entro il 2025 abbandonerĂ completamente l’economia del carbone per passare a rinnovabili e nucleare, mentre la Francia desidera un accordo sufficientemente ambizioso e giuridicamente vincolante, per raggiungere l’obiettivo dei due gradi; si dovrĂ trovare un equilibrio tra l’approccio di Kyoto – una suddivisione quasi aritmetica degli impegni di riduzione delle emissioni, a partire da un comune limite massimo consentito – e quello di Copenhagen (2009), un insieme di impegni nazionali non costrittivi e quindi blandi.
GLI ALTRI – Nel G7 di giugno, tenutosi a Schloss Elmau, le potenze piĂą industrializzate del mondo (c’erano anche Canada e Giappone) si sono accordate per un drastico calo delle emissioni, tra il 40 ed il 70% rispetto ai livelli del 2010. Tale obiettivo è vincolante e deve essere raggiunto entro il 2050. La Cina, da sempre restia a fornire dati ed informazioni ufficiali, si impegnerĂ a ridurre le proprie emissioni (fino al 65%) a partire dal 2030, e farĂ partire dal vicino 2017 un piano nazionale di scambio di emissioni di carbonio, anche se nessuno sa a quanto ammontano le emissioni cinesi. E gli Stati Uniti? Prometteranno di dare una sforbiciata tra il 26 ed il 28% sulle emissioni, rispetto a quelle del 2005, entro il 2025. Obama ha avviato una serie di accordi separati in materia; uno è quello con la Cina dell’autunno 2014, l’ultimo in ordine di tempo risale allo scorso luglio e coinvolge la maggiore economia dell’America Latina, il Brasile. Sostanzialmente le due potenze si impegnano ad accrescere, nel giro di poco, la produzione di energia da fonti rinnovabili, idroelettrico escluso, privilegiando solare, eolico e biocarburanti. A gennaio Washington aveva concluso un accordo di cooperazione sul cambiamento climatico con il terzo emittore mondiale, l’India. La seconda economia latino – americana, il Messico, ha appena varato un ambizioso piano climatico nazionale, che impegna lo stato a tagliare del 25% entro il 2030 le emissioni di gas serra. E i produttori di petrolio, in teoria quelli meno interessati a centrare gli obiettivi del Cop21, che fanno? L’Arabia Saudita taglierĂ del 30% le proprie emissioni (non ha specificato rispetto a quando) ma solo purchĂ© i profitti derivanti dal petrolio rimangano alti; una formula particolare.
Fig. 3 – Il ministro dell’Ambiente italiano, Gian Luca Galletti
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]
[/box]
Foto: cieau