In 3 sorsi – Tra errori strategici, titubanze di Kennedy e mancato sostegno della popolazione cubana, 60 anni fa andava in scena la debacle statunitense della Baia dei Porci. Biden potrebbe aprire un nuovo capitolo nelle relazioni tra i due Paesi, ma non a breve.
1. LA RIVOLUZIONE E LE PRIME SCHERMAGLIE
Nel 1959, in piena Guerra Fredda, un evento aveva sconvolto la geopolitica latinoamericana e non solo. Dopo aver posto fine alla dittatura filo-statunitense di Fulgencio Batista, Castro e il nuovo gruppo dirigente diedero avvio alla radicale trasformazione di Cuba, che non aveva in quella fase particolari connotazioni dogmatiche. Al contrario questo nuovo capitolo si dispiegava all’insegna del pragmatismo e tenendo ben presente le contraddizioni socio-economiche dell’isola. Soprattutto, almeno nelle prime fasi, si sottolineava il carattere esclusivo della rivoluzione, “tan cubana como las palmas”. I contrasti con il vicino statunitense, però, cominciarono praticamente da subito. Le riforme agrarie e gli espropri colpirono anche molte aziende a stelle e strisce, vennero stipulati accordi commerciali con l’Unione Sovietica e si procedette a una normalizzazione delle relazioni diplomatiche con quest’ultima. Una serie di incidenti, tra cui l’esplosione nel marzo del 1960 della nave francese Coubre nel porto dell’Avana, che Fidel Castro attribuì a un sabotaggio statunitense, e le ripetute incursioni di aerei da turismo che decollavano da Miami per distruggere piantagioni cubane, acuì il malumore nell’isola. Contestualmente mentre a metà settembre dello stesso anno Castro pronunciava alle Nazioni Unite un discorso di 4 ore e 29 minuti – il più lungo della storia ONU – la CIA addestrava in Guatemala esuli cubani in vista dell’invasione dell’isola.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Cubani alla commemorazione del discorso di Fidel Castro nel quale dichiarò il carattere socialista della Rivoluzione
2. L’INVASIONE
Il 15 aprile dell’anno successivo una spedizione aerea progettata dalla CIA, ma affidata a controrivoluzionari ed esuli cubani bombardava tre aeroporti, distruggendo cinque aerei cubani e uccidendo 7 persone. Ai loro funerali, con un discorso passato alla storia, Castro parlò per la prima volta di Rivoluzione “socialista”. All’alba del 17 aprile, 1.500 uomini addestrati dalla CIA e provenienti dal Nicaragua sbarcarono a Playa Girón, nella Baia dei Porci, ricevendo copertura da aerei statunitensi. Dopo aver creato una testa di ponte sulla spiaggia penetrando fino a 10 chilometri sulla terraferma, la Brigata 2506 non ricevette tuttavia il supporto sperato, né da parte della popolazione cubana né tantomeno dagli stessi Stati Uniti, il cui neo-Presidente Kennedy non autorizzò nuovi voli dal Nicaragua. L’atteggiamento di Kennedy verso l’operazione è questione storica ancora controversa e dibattuta. Il piano di invasione dell’isola era stato approvato nel 1960 dal suo predecessore Eisenhower, grazie anche all’azione decisiva dell’allora vicepresidente Nixon. Alcuni errori strategici – come la scelta della Ciénaga de Zapata come punto di sbarco – uniti al carattere ormai tutt’altro che segreto dell’operazione – a inizio aprile Tad Szulc, corrispondente del New York Times l’aveva praticamente anticipata al mondo – diedero modo a Castro di organizzare la controffensiva e respingere il tentativo contro-rivoluzionario. Ne conseguirono un danno d’immagine enorme per gli Stati Uniti e l’avvicinamento definitivo di Cuba all’Unione Sovietica.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Guillermo Alvarez, veterano della battaglia della Baia dei Porci, nel luogo della tentata invasione
3. LA PRESIDENZA BIDEN E LE SPERANZE DI NORMALIZZAZIONE
L’anno del sessantesimo anniversario dell’invasione della Baia dei Porci ha visto l’elezione alla Casa Bianca di Joe Biden, dal quale molti si aspettano la continuazione della distensione dei rapporti con Cuba che aveva già favorito in veste di vice-Obama. La lobby cubano-statunitense facente capo al Partito repubblicano farà sicuramente quanto possibile per ostacolare la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, anche se l’embargo, come spesso accade anche in altri Paesi, continua a colpire soprattutto le classi più deboli. Oltre a ciò sarà interessante capire con che tempistiche il Presidente degli Stati Uniti intenderà affrontare una questione che, almeno per adesso, non risulta in cima alla sua agenda. Se sul fronte interno i suoi sforzi appaiono concentrati soprattutto nel combattere la pandemia, in politica estera le priorità sembrano essere un rinnovato multilateralismo e l’innalzamento del livello dello scontro con Cina e Russia. Per ora Cuba può aspettare.
Michele Pentorieri
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