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Un’America sempre più “pacifica”: il TPP

Barack Obama sembra deciso a rendere il Trans-Pacific Partnership una componente distintiva della sua eredità politica. Cosa prevede questo progetto e quali sono le sue possibili ripercussioni economiche e strategiche

L’ACCORDO – Lo scorso 5 ottobre, ad Atlanta, i rappresentanti di dodici Paesi affacciati sull’Oceano Pacifico hanno annunciato il raggiungimento di un’intesa su un testo che sarà, con ogni probabilità, il più ampio trattato di libero commercio della storia. Ai lavori hanno partecipato Stati che, congiuntamente, rappresentano circa il 40% del PIL dell’economia mondiale: Brunei, Giappone, Malesia, Singapore e Vietnam per l’Asia; Cile e Perù per l’America Latina; Australia e Nuova Zelanda per l’Oceania; Canada, Messico e Stati Uniti per il Nord America.
Perno centrale del TPP è l’abbattimento degli ostacoli al libero scambio fra Paesi membri attraverso la predisposizione di un complesso di regole commerciali comuni. L’accordo prevede non solo l’eliminazione o riduzione di dazi e barriere non doganali, ma anche interventi ulteriori, quali lo snellimento delle procedure burocratiche, l’imposizione di standard lavorativi minimi, l’armonizzazione delle cornici legali, la predisposizione di meccanismi per la risoluzione di controversie tra Governi e investitori stranieri, il rafforzamento della tutela della proprietà intellettuale.
Secondo i suoi sostenitori, il TPP è un’intesa in grado di promuovere lo sviluppo e l’innovazione, favorire la creazione e il mantenimento di posti di lavoro e sostenere la crescita economica. È stato indicato come il testo che fungerà da modello per gli accordi regionali del futuro.
La natura ambiziosa del progetto è ben rappresentata dal lungo elenco di materie regolate, un elemento che in parte spiega la lentezza con cui si sono svolti i negoziati negli ultimi sette anni. In particolare, rientrano nel TPP temi tradizionalmente sensibili alle inclinazioni dell’opinione pubblica – come l’agricoltura -, aree su cui convergono gli interessi di potenti lobbies – come l’industria del tabacco ed il settore farmaceutico -, materie relativamente innovative – come l’ambiente e le nuove tecnologie. Una molteplicità di campi cui si aggiunge l’eterogenea composizione dei partecipanti: tra gli Stati-parte dell’accordo intercorrono differenze significative, riguardanti il livello di sviluppo economico (il reddito medio pro-capite in Vietnam è di 5.656 dollari l’anno, contro i 54.370 negli Stati Uniti e i 79.890 nel Brunei) ma anche il sistema politico e lo sfondo sociale e culturale.

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Fig. 1 – I dodici negoziatori del TPP in un incontro a Sidney nel 2014

PIVOT TO ASIA – Il TPP costituisce un pilastro fondamentale della politica estera del Presidente Obama. Sebbene il formale interessamento degli Stati Uniti per i negoziati sia avvenuto ai tempi dell’amministrazione Bush nel 2008, è con la guida di Obama che Washington ha assunto la leadership delle trattative e ne ha sollecitato la definizione. Negli ultimi sette anni infatti, parallelamente a una politica di disimpegno nell’area mediorientale, la Casa Bianca ha rivolto lo sguardo verso ovest, seguendo una linea di “Asia-Pacific rebalance”. Il risoluto impegno di Obama nel miglioramento dei rapporti con quest’area del mondo si è manifestato in diverse direzioni. Sul piano politico-militare, grazie a un consolidamento delle alleanze con partner tradizionali (Corea del Sud, Giappone, Australia) ed attori nuovi (si pensi alla collaborazione avviata con l’Indonesia in chiave anti-terrorismo). Sul piano diplomatico, attraverso la graduale normalizzazione dei rapporti con il Myanmar, le frequenti visite di Stato in Paesi come Malesia e Filippine, la partecipazione agli incontri annuali dei vertici dell’ASEAN. Sul piano economico, con l’implementazione di accordi bilaterali e, soprattutto, con il ritmo impresso ai negoziati per il TPP.
In particolare, da quest’ultima manovra emergono gli obiettivi principali perseguiti dalla Casa Bianca. Oltre a intessere legami profondi con quella che considera la regione economicamente più dinamica al mondo, l’amministrazione Obama intende porre gli Stati Uniti al centro di un ampio sistema di libero commercio, grazie al simultaneo sviluppo delle trattative per il TTIP. Inoltre, mira ad impedire che lo spazio vacante nel Pacifico sia occupato dalla grande assente dell’accordo: Pechino.

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Fig. 2 – Un recente incontro tra Xi Jinping e Barack Obama

RIPERCUSSIONI E CRITICITÀ – In un discorso tenuto in Oregon nel maggio di quest’anno, Obama ha spiegato che gli Stati Uniti non possono permettere che sia la Cina «a scrivere le regole economiche del ventunesimo secolo». Giocando d’anticipo, pertanto, i negoziatori americani hanno insistito per includere nel testo del TPP previsioni difficilmente conciliabili con il peculiare sistema economico cinese, come quelle riguardanti il contenimento dei sussidi governativi alle compagnie nazionali. Il fattore Pechino permette di comprendere l’importanza geopolitica dell’accordo, che ne supera i vantaggi commerciali. Dal punto di vista economico, infatti, i maggiori beneficiari del TPP saranno non tanto gli Stati Uniti, quanto i Paesi in via di sviluppo e di dimensioni ridotte (come il Vietnam) le cui merci a basso costo troveranno nuovi sbocchi nei grandi mercati giapponese e americano. Da un punto di vista strategico, tuttavia, il peso del TPP è significativo: esso potrebbe infatti inscriversi in una politica di containment della potenza cinese, avente come scopo ultimo la divisione del settore Asia-Pacifico in sfere di influenza, ripartite tra Washington e Pechino.
Secondo un opposto orientamento, tuttavia, l’obiettivo di lungo termine del TPP sarebbe quello di ottenere la partecipazione della stessa Cina all’area di libero scambio. Sebbene oggi quest’ipotesi appaia improbabile, anche a fronte dello scetticismo mostrato dal Governo cinese sull’effettivo impatto economico del progetto, si tratta di una possibilità di cui tener conto, posto che il trattato sarà aperto all’adesione di qualsiasi altro Paese. Il piano, dunque, potrebbe essere quello di creare un blocco commerciale forte e attraente, tale da indurre Pechino ad accettarne le previsioni e piegarsi alle regole che lo disciplinano al fine di entrarvi. Questa prospettiva sembra essere in linea con la posizione espressa più volte dell’amministrazione Obama circa i rapporti USA-Cina; posizione efficacemente riassunta nel 2011 dall’allora Segretario di Stato Hillary Clinton in un articolo per Foreign Policy: «entrambi trarremmo maggiori guadagni da una cooperazione piuttosto che da una situazione di conflitto».
Al fine di spiegare i suoi effetti geopolitici, tuttavia, il TPP dovrà superare l’ostacolo della ratifica ed entrare in vigore. A Washington si prevede una dura battaglia nel Congresso, dove la maggioranza repubblicana, seppure tradizionalmente favorevole a questo tipo di iniziative economiche, non è unanime nella valutazione del progetto. Né vi è consenso fra i democratici, con la stessa Clinton che si è detta contraria all’approvazione dell’accordo sic et simpliciter. Tra le critiche più diffuse figurano i dubbi sulla reale portata espansiva del trattato, sulla mancanza di precisi divieti di svalutazioni competitive, sull’assenza di adeguate misure di protezione dei lavoratori americani e, non da ultimo, sulla segretezza con cui si sono svolti i negoziati. Il Presidente Obama dispone di un anno di tempo per cercare di raccogliere consensi trasversali e convincere deputati e senatori dell’opportunità dell’intesa.

Giulia De Nardis

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

  • L‘ASEAN (Association of Southeast Asian Nations) è un’organizzazione economica nata nel 1967 che oggi comprende dieci Paesi dell’Asia sud-orientale, tra cui gli Stati partecipanti al TPP ad eccezione del Giappone. Scopo principale dell’ASEAN è la promozione della crescita economica e del progresso sociale dei suoi membri. Si stima che, se fosse una singola entità, costituirebbe la settima economia più grande al mondo.
  • Per TTIP (Transatlantic Trade and Investement Parnership) si intende il negoziato in corso fra Stati Uniti ed Unione Europea relativo alla costituzione di una zona di libero scambio tra i rispettivi mercati. Sebbene le barriere economiche tra questi Paesi siano già relativamente basse, la Casa Bianca considera il TTIP una parte fondamentale delle sue misure di politica commerciale, nonché un indispensabile completamento del TPP.

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Foto: worldwidefinance1

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Giulia De Nardis
Giulia De Nardis

Nata nel 1989 a Pescara ma romana d’adozione, mi sono laureata in giurisprudenza con una tesi in filosofia del diritto. Ho conseguito un master alla SIOI in Studi Diplomatici ed attualmente sfido la sorte preparando alcuni concorsi pubblici. Nel mondo delle relazioni internazionali guardo con particolare interesse all’America Latina, al Medio Oriente ed agli Stati Uniti, dei quali mi occupo per Il Caffè Geopolitico.

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