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Il rischioso cammino dell’Arabia Saudita

In 3 sorsi Nell’ultimo anno abbiamo visto un cambio di passo radicale nella politica dell’Arabia Saudita. Questo ha portato a supporre che il problema più grave che questa nazione sta affrontando è la sfida a livello regionale con l’Iran e con il terrorismo. La realtà è, però, più complessa e le sfide sono più di ordine economico che politico.

1. CAMBIO DI PASSO – L’aggressività di Riyadh è visibile sia sul piano estero sia su quello locale. In campo internazionale, vi è stato l’intervento in Yemen, l’appoggio a milizie anti Assad in Siria e in Libano, oltre alla creazione di un’alleanza sunnita contro il terrorismo. Internamente, si è notata una stretta sulla minoranza sciita (l’uccisione dello sceicco Nimr al-Nimr e la condanna a morte del nipote di quest’ultimo nel mese di dicembre, ne sono un esempio). Oltre a ciò hanno sofferto anche i “liberi pensatori”: basti pensare alla condanna del blogger Raif Badawi alla flagellazione e all’arresto dello scrittore riformista Zuhair Kutbi per proposto che il Regno divenga una monarchia costituzionale. Una buona parte di queste azioni mira a risolvere, nel discorso saudita, il caos nel Medio Oriente, contenendo l’ingerenza iraniana. Gli sciiti sono nella dialettica nazionalista la ragione della guerra in Siria, con il loro sostegno ad Assad, in Libano con Hezbollah e in Yemen con gli Houthi.

2. I PROBLEMI DEL REGNO  L’uso dell’Iran come minaccia esterna, però, non riuscirà a distrarre a lungo i sauditi dai reali problemi economici del Paese. La decisione di aumentare l’afflusso del greggio nel mercato per escludere altri concorrenti, in primis Russia e Venezuela, non ha considerato né il grado resistenza degli altri estrattori, né gli effetti che i minori introiti avrebbero prodotto nell’economia interna. La conclusione è stata che l’anno scorso il Regno ha reso noti l’aumento dell’afflusso del deficit del 20% del prodotto interno lordo e la diminuzione di cento miliardi di dollari nelle riserve di valuta estera.
L’introduzione di un programma di austerity e diversificazione dell’economia decretato dal Governo, con l’aumento iniziale del 40% dei prezzi di benzina, acqua e gas, unito a una diminuzione sostanziale dei sussidi pubblici sono alcune delle risposte di Riyadh alla situazione, ma alcuni analisti rilevano la possibilità che questo generi disordini nella società civile. Con il taglio dei costi, infatti, vi è il rischio di aumentare la disoccupazione, e questo l’Arabia Saudita, con una popolazione che per 2/3 ha meno di 25 anni e un tasso di disoccupazione giovanile del 30%, non può permetterselo.
Non è da dimenticare, infatti, che la famosa Primavera Araba in Tunisia e in Egitto ebbe come concausa la disoccupazione giovanile e di questo il Governo saudita è profondamente consapevole. Da quest’ottica la stretta sulla libertà d’espressione e sulle minoranze è comprensibile, giacché esse sono considerate possibile causa di dissenso. È stato calcolato che per risolvere il problema della disoccupazione il Governo saudita dovrebbe creare circa tre milioni di posti di lavoro entro il 2020. Investimenti nelle manifatture e nel settore turistico potrebbero risolvere questo problema, ma l’investimento iniziale richiesto – circa 40 miliardi  di dollari secondo le stime del Japan Times – è tale da rendere la sua attuazione dubbia.

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Terzo punto da considerare sono i cambi climatici. Nonostante il suo silenzio sull’argomento, Riyadh sta soffrendo pesantemente per la situazione che ha indotto un aumento di temperatura di quattro gradi. Questo ha avuto come effetto una diminuzione delle riserve idriche nazionali. Gli impianti di desalificazione sono una soluzione, ma il consumo interno petrolifero aumenterebbe, diminuendo il greggio esportabile e la valuta che questo produrrebbe.
Il deficit saudita non è aiutato dal fatto che il 25% del suo budget è dedicato alle spese militari e questo nel programma di austerity non è neppure messo in dubbio. Un altro problema, non proprio di secondaria importanza, è la diminuzione di fondi per i sussidi agli alleati che seguono la guida politica di Riyadh – l’ultimo caso in ordine di tempo è la decisione della Somalia di rompere le relazioni diplomatiche con l’Iran dopo aver ricevuto cospicui aiuti dall’Arabia Saudita. L’impossibilità di continuare quest’approccio potrebbe condurre allo sfilacciamento delle alleanze che i Sauditi stanno tessendo.

3. SOLUZIONI – Una soluzione liberista per la problematica economica, come Matt O’Brien ha fatto notare su un suo articolo sul Washington Post, è la svalutazione della moneta, cosa che darebbe respiro all’economia interna. Unita a una profonda riforma e a una severa privatizzazione (circa il 70% dei sauditi lavora per imprese statali), segnerebbe la fine della dipendenza del Regno dal petrolio e un nuovo sviluppo. È da vedere se il Governo saudita avrà la volontà e la forza per portarlo fino in fondo.
Un problema di più difficile soluzione è la politica estera del Paese. Le azioni saudite hanno portato a un irrigidimento delle negoziazioni sia in Siria e Yemen dove, per “difendere i sunniti”, Riyadh ha preteso che le sue richieste (l’allontanamento di Assad in Siria e la consegna delle armi e il ritorno di Hadi presidente in Yemen), fossero accolte senza condizioni. Questa è stata una delle radici del fallimento nei negoziati. Più grave ancora, la propaganda anti sciita appoggiata dal Regno ha preso piede non solo in Arabia Saudita, ma anche in tutte le regioni sunnite. Si sta assistendo a un aumento di ostilità settaria, cosa che favorisce i gruppi jihadisti con un incremento del numero di giovani disposti a combattere per loro. Questo influirà a cascata sulle politiche del Governo saudita che, per mantenere il suo ruolo di protettore dell’ortodossia, dovrà prendere posizioni ancora più intransigenti. Conseguenza prima di ciò sarà un aumento dello scontro in tutti i teatri di guerra aperti e un fallimento o un allungamento indefinito delle possibili trattative. Uno scontro diretto tra iraniani e sauditi è, per il momento, difficile, ma dove i conflitti via proxy sono già in opera vi potrà essere solo un esacerbarsi della situazione.

Veronica Murzio

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Veronica Murzio

Sono nata nel 1979 e mi sono laureata presso l’Università di Padova con una tesi sui rapporti tra il tribalismo e l’Imamato nello Yemen contemporaneo. Ho vissuto lì per sette mesi studiando l’arabo e la cultura locale dopo la laurea. Partire e lasciarlo mi ha spezzato il cuore nonostante sia uno dei Paesi più problematici dell’area.Ho lavorato come traduttrice letteraria al mio rientro in Italia prima di completare i miei studi con un Master in Studi Mediterranei presso l’Università di Firenze dove ho approfondito la Geopolitica della regione MENA e mi sono addentrata nello studio della Legge Islamica. Ora lavoro per i Musei della mia città, Vicenza.

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