In 3 sorsi – I due Paesi sono confinanti e condividono degli interessi comuni: la lotta al terrorismo è il principale. Da questa collaborazione il Tagikistan potrebbe guadagnarci sia in termini politici ed economici. Proprio per questo la posizione del regime di Rahmon è molto chiara.
1. IL TAGIKISTAN E IL PROCESSO DI PACE AFGHANO
Nel processo di pace afghano, che in questi giorni è al centro delle cronache per la decisione di Biden di ritirare le truppe entro l’11 settembre, quasi tre mesi e mezzo dopo la data fissata dal suo predecessore Trump con l’accordo di Doha firmato l’anno scorso, la posizione dei Paesi dell’Asia Centrale è quasi del tutto ignorata. Tra gli Stati dell’ex Unione Sovietica il Tagikistan è stato quello che ha seguito più da vicino l’evolversi dei negoziati. Il piccolo Paese è diviso dall’Afghanistan da un confine di più di mille chilometri sul suo fronte meridionale. L’attività diplomatica tra Dushanbe e Kabul è stata molto intensa in questi ultimi mesi. La posizione del Tagikistan è chiara: vuole un vicino stabile e pacificato, quindi appoggia gli organismi riconosciuti a livello internazionale, come l’Alto Consiglio per la Pacificazione Nazionale guidato da Abdullah Abdullah e il Governo di Kabul del Presidente Ghani. Questa posizione può apparire scontata nella regione, ma non lo è: il Turkmenistan, per esempio, ha ricevuto una delegazione dei talebani il mese scorso, mostrando che il loro partner preferito nel processo di pace sono loro e non il Governo ufficiale. Per spiegare la posizione del Tagikistan, i fattori interni sono quelli da tenere più in considerazione.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Presidente del Tagikistan Emomali Rahmon (a destra) insieme a quello dell’Afghanistan Ashraf Ghani nel maggio 2016
2. I ‘TERRORISTI’ INTERNI
Il primo fattore è la lotta al terrorismo comune ai due Paesi. Alla fine dello scorso anno le forze di sicurezza afghane denunciarono la presenza di miliziani tagiki nel nord del Paese a fianco ai talebani. Il Governo di Dushanbe reagì dispiegando soldati al confine, e nelle scorse settimane ha invitato la popolazione a tenersi pronta in caso di incursioni provenienti dal vicino. Ma il termine “terrorista” in Asia Centrale può significare “oppositore politico”, proprio come nel caso del Tagikistan. Nel 2015 fu dichiarato illegale il Partito di Rinascita Islamica del Tagikistan (IRPT) con l’accusa di essere un’”organizzazione estremista” e di appartenere a una rete di organizzazioni terroristiche. La tempistica non deve sorprendere più di tanto: pochi mesi prima Daesh aveva fondato l’ISIS e dal Tagikistan sarebbero arrivati centinaia di foreign fighters (circa 1.500) in Siria. C’era però un piccolo dettaglio: in quel periodo l’IRPT era ancora l’unico partico realmente di opposizione nel Paese, tanto importante che il suo leader Sayid Abdullho Nuri fu uno dei due firmatari dell’armistizio che pose fine alla guerra civile nel 1997 (l’altro fu il Presidente Rahmon). In sostanza Rahmon utilizzò e continua a utilizzare la scusa del terrorismo per rafforzare il proprio regime autoritario e usa ogni occasione per presentare questa minaccia come imminente.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – La diga Rogun sul fiume Vakhsh, situata circa 100 chilometri a nord-est di Dushanbe. Inaugurata nel 2018, la diga è uno dei principali impianti idroelettrici del Tagikistan
3. L’ENERGIA PER L’ECONOMIA
Il secondo fattore da considerare è lo sviluppo economico del Paese. Il Tagikistan è un esportatore di energia idroelettrica e le sue principali destinazioni sono l’Uzbekistan e l’Afghanistan. Il problema è che dal 2016 in poi i talebani hanno compiuto decine di azioni mirate a distruggere le infrastrutture che servono alla fornitura di energia delle regioni settentrionali dell’Afghanistan e di Kabul. I due Paesi fanno parte del CASA 1000-Regional Transmission Line Project, una rete di infrastrutture che mira all’export di energia idroelettrica dal Tagikistan al Pakistan in maniera diretta e l’Afghanistan giocherebbe un ruolo fondamentale in questo progetto, in quanto Paese destinatario e di transito. L’obiettivo ultimo del regime di Rahmon è di diventare una potenza energetica che possa rifornire gli Stati vicini. Se i talebani dovessero aumentare il proprio peso politico fino a mettere in pericolo la sopravvivenza del Governo centrale, rischio da calcolare visto che la firma dell’accordo di Doha con gli Stati Uniti ne ha riconosciuto lo status, il Tagikistan potrebbe perdere anche una fonte di guadagno alternativa alle rimesse provenienti dai suoi emigrati, il vero pilastro su cui si basa l’economia nazionale. L’appoggio ad Abdullah, a Ghani e in generale al processo di pace sostenuto dalla comunità internazionale serve al Tagikistan per garantirsi una fonte economica che sia allo stesso tempo strategica e fruibile per tutta l’economia nazionale e per mantenere la stabilità politica al proprio interno.
Cosimo Graziani
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