In 3 sorsi – L’eccesso di offerta di petrolio è foriero di conseguenze a livello geopolitico. Una breve analisi delle implicazioni in tre scacchieri tra Europa, Russia e Paesi OPEC
1. IN EUROPA – L’economia dei Paesi dell’Unione dovrebbe beneficiare del maggior potere di acquisto garantito dal ridotto costo delle importazioni petrolifere. Secondo recenti stime della Commissione europea, la crescita del vecchio continente nel 2016 si attesterĂ intorno all’1,7%, aiutata in parte dal diminuito impatto sul PIL delle importazioni energetiche. Il dollaro forte dovrebbe contribuire ad un rialzo dell’inflazione dovuto alle importazioni di idrocarburi, venduti in dollari sui mercati internazionali, ma questo effetto è controbilanciato dal crollo del greggio. Inoltre, il rallentamento della crescita economica in Cina e la recente mossa della FED negli Stati Uniti di incrementare i tassi di interesse contribuiscono a un quadro di inflazione ridotta per l’anno in corso. L’Italia si conferma in debole crescita con un mero 1,3%. Nel complesso i benefici derivanti dal costo delle importazioni energetiche sono controbilanciati dalla debole crescita dell’area Euro. Se qualche anno fa molti pensavano che i Paesi importatori avrebbero beneficiato del crollo del greggio, ora le opinioni sono meno salde: il paventato aumento dei consumi non è avvenuto, ed ora la Banca centrale europea ha sposato la politica del Quantitative easing per cercare di stimolare la crescita nel vecchio continente. Un’Europa che non riesce a uscire dalla spirale di bassa inflazione–bassa crescita che attanaglia il continente oramai da diversi anni (Fig. 1).Â
2. LA RUSSIA – L’ultimo calo dei prezzi paragonabile a quello attuale risale al 1986. In quell’anno il prezzo del petrolio scese del 67% in quattro mesi, fino a raggiungere i 10 dollari al barile circa, dando un importante contributo alla disgregazione dell’URSS, la cui economia dipendeva in buona misura dalle esportazioni dell’oro nero. Le cose non sembrano andare meglio una trentina di anni più tardi: il settore petrolifero rappresenta il 60% delle esportazioni ed il 30% circa del PIL russo. Le conseguenze del crollo dei prezzi dei prodotti petroliferi sono pesantissime per il Cremlino, che ha visto il Rublo perdere il 50% del proprio valore rispetto al dollaro dal 2014 ad oggi (Figura 2). Una moneta debole è un problema per la Russia, netto importatore di gran parte dei beni di consumo, vodka a parte. Le previsioni del Fondo monetario internazionale suggeriscono una contrazione del PIL dell’1% per l’anno in corso, stima che potrebbe rivelarsi generosa date le condizioni disastrose dell’economia russa. Trent’anni fa il crollo del barile fu dovuto in parte ad una strategia americana e saudita mirata a rovinare l’economia sovietica e ridurre la presenza dell’URSS in Medio Oriente. Una storia che si ripete?
Fig. 2 – Una manifestante a Mosca tiene in mano un cartello con la scritta “Mutui in valuta estera -SOS”. Il mercato dei mutui russo è stato colpito duramente dal crollo del Rublo causato dalla crisi petrolifera
3. L’OPEC – Si trova spaccata su due fronti. Da un lato Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi, Qatar e Venezuela, d’accordo con la Russia, vorrebbero congelare la produzione petrolifera ai livelli di gennaio, lasciando crescere la domanda e raggiungendo così un equilibrio di mercato nel medio termine. Dall’altro, c’è un Iran che desidera recuperare la quota di mercato persa durante le sanzioni legate al programma nucleare e che difficilmente accetterĂ un congelamento della produzione ai livelli attuali. Secondo le dichiarazioni di Amir Hossein Zamaninia, assistente al ministro del Petrolio iraniano, la prioritĂ per l’Iran è raggiungere i livelli di produzione pre-sanzioni prima di sedersi al tavolo delle trattative OPEC. Data la ben nota rivalitĂ tra Iran ed Arabia Suadita, ribadita dai recenti confiltti in Siria e Yemen, ci sono i presupposti per un ulteriore inasprimento delle relazioni tra le due potenze mediorientali. I Paesi dell’area OPEC si barcamenano in un precario equilibrio tra aumenti di produzione necessari a sanare i loro deficit di bilancio (anche la ricca Arabia Saudita soffre un budget deficit del 7,5% rispetto al PIL) e prezzo del barile.
Nonostante il prezzo del petrolio si avvicini ai valori degli anni quaranta (Fig. 3), le economie globali non sembrano beneficiarne in particolar modo.
Francesco Finotti
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