Miscela Strategica – Intervistiamo Edoardo Camilli, CEO e Co-fondatore di Hozint – Horizon Intelligence, azienda di consulenza basata a Bruxelles, nonché esperto di sicurezza nazionale. Approfondiamo insieme alcuni aspetti controversi degli attacchi di Bruxelles
Cominciamo con una tua testimonianza diretta: dove ti trovavi durante gli attentati? Cosa hai visto in prima persona?
– In quel momento mi accingevo ad andare all’ambasciata statunitense, che si trova a circa 400 metri dal luogo in cui sono esplosi gli ordigni di Maelbek. Quando sono uscito di casa sapevo già cosa fosse successo, difatti ho trovato l’ambasciata precauzionalmente chiusa e sono dovuto tornare indietro. Nel tragitto ho sentito molte sirene tra cui diverse ambulanze. Le strade erano bloccate, gli elicotteri volteggiavano sulla città. In quel momento non si aveva ancora un bilancio delle vittime né un quadro completo della situazione. Si parlava di un’esplosione ma le notizie erano confuse. Però dal numero di ambulanze e altri mezzi di servizio che convergevano su Maelbek si intuiva che la situazione fosse seria.
Grazie per la testimonianza. Passando ora a temi professionali, tu ti occupi di risk monitoring tramite la tua azienda, Hozint. Le aziende come la tua hanno un ruolo nella prevenzione – per quanto possibile – di questa serie di eventi? Quale apporto possono dare in questi casi?
– Le attività di monitoraggio come quelle svolte da Hozint in Open Source (OSINT) non possono certo prevenire un attentato, ma mitigano il rischio connesso ad attività terroristiche. Per fare un esempio pratico, in questo periodo il numero di notizie notevoli riportate, soprattutto da certe parti della città, è stato considerevole: sono stati effettuati continui arresti, parecchio il materiale esplosivo recuperato, così come armi automatiche e documenti falsi. Questo è un chiaro indicatore che sul territorio ci sono cellule operative, pronte a effettuare un’operazione. Pertanto si posso già prendere delle piccole precauzioni, formulare delle raccomandazioni e incrementare l’attenzione sul flusso di informazioni proveniente da quegli ambienti.
Oggi si discute appunto di misure insufficienti. Ad esempio agli ingressi degli aeroporti o in luoghi particolarmente affollati. Pensi la minaccia sia stata in qualche modo sottovalutata? Quanto incide l’imprevedibilità intrinseca di questo tipo di attacchi e quanto le potenziali misure non prese per tempo?
– Per quanto riguarda le misure preventive su infrastrutture strategiche – gli aeroporti in particolare – io credo che misure più stringenti all’ingresso non avrebbero fatto la differenza. Nel momento in cui non vuoi colpire il traffico aereo ma ti accontenti della folla, dovunque si venga a creare una fila, che sia dentro o fuori, c’è un potenziale target. Che sia all’interno dell’aeroporto o a dieci metri dalle porte scorrevoli, se l’obiettivo è riuscire a colpire 20-30 persone lo raggiungi senza difficoltà, comunque.
Sul livello di attenzione, era già molto alta, e questo è un elemento ancora più preoccupante, non solo per la vicinanza temporale agli attentati di Parigi. Da qualche settimana i controlli erano serrati, il cerchio attorno a Salah Abdeslam si stringeva ed era chiaro che la cattura fosse imminente. Pertanto in questo caso specifico una reazione (non solo/non direttamente alla cattura, ma alla pressione sui simpatizzanti islamisti) si sarebbe dovuta prevedere. Soprattutto perché in questo caso non parliamo di lupi solitari che agiscono di loro iniziativa, ma di uno o più gruppi di fuoco coordinati, ben equipaggiati, riforniti e supportati (alloggio, trasporti, documenti, ecc.). Il loro ancoraggio al territorio è quindi spinto e non recente. A mio avviso gli attacchi sono stati studiati settimane, forse mesi, prima dell’arresto di Abdeslam. In questi casi le attività dei jihadisti per affittare nascondigli sicuri, reperire documenti di comodo, occultare armi ed esplosivi e fabbricare le cinture lasciano delle tracce. Paradossalmente quasi tutti i componenti del gruppo erano conosciuti alle forze di polizia, non necessariamente per terrorismo. Ora le notizie giunte dalla Turchia ci dicono il contrario, ma chiaramente è stato sottovalutato, in questo caso, lo stretto legame tra la criminalità organizzata locale e il network terrorista. Credo che la criminalità organizzata stia supportando con le proprie capacità di eludere la sorveglianza statale l’operato di coloro che oggi sono divenuti terroristi. Nel caso belga molti militanti sono ex-criminali coinvolti in rapine, sparatorie, borseggi. Il processo di radicalizzazione è avvenuto successivamente, in carcere ad esempio.
Fig.2 – Controlli alla stazione metro De Brouckere, oggi
Discutiamo del metodo. Oggi disponiamo di tecnologie avanzate che ci permettono di accrescere in numero di informazioni in nostro possesso per portare avanti le indagini. Ciononostante ci sono tre limiti intrinseci nel loro utilizzo: limiti giuridici (garanzie costituzionali, sistemi giuridici), limiti fisici (quantità di persone e di informazioni controllabili simultaneamente), limiti economici (il budget a disposizione). Inoltre, una massa enorme di informazioni su un numero crescente di persone non dice automaticamente quale pista sia quella corretta. Io credo che, paradossalmente, un metodo di indagine più analitico e meno incentrato sulla quantità di informazioni (ma stringente sulla qualità) potrebbe essere più adeguato. Concordi?
– Sì, anzi, allargherei ancora un po’ il discorso. Nel caso belga le capacità che un Paese piccolo può schierare sono comunque limitate rispetto al livello di minaccia. Il Belgio ha fornito circa 500 foreign fighters ai teatri mediorientali, di cui 130-170 sono rientrati e attualmente presenti nel Paese, cui si aggiunge un numero maggiore di persone radicalizzate ma che non sono partite direttamente per i teatri di guerra esteri. Una comunità piccola rispetto a quella francese, ad esempio, ma impossibile da monitorare in toto in proporzione alle dimensioni e capacità che il Belgio può esprimere. Il sistema giuridico non aiuta, la sorveglianza dell’apparato giudiziario sulle forze di polizia è davvero stringente. Ad esempio, nel corso delle operazioni del mese scorso, in uno dei tentativi di cattura di Abdeslam, alcune perquisizioni non poterono essere effettuate secondo necessità per mancanza dei mandati necessari. Peraltro non esiste in Belgio – è tema di questi giorni – uno “stato di emergenza” come quello francese, che consenta prerogative straordinarie per situazioni eccezionali. Quindi anche in casi di necessità in cui il tempismo sia la chiave del successo, le forze di polizia risentono di questi limiti.
Per quanto riguarda i metodi, manca una forte penetrazione delle forze dell’ordine nelle dinamiche della malavita locale, forse proprio perché desuete rispetto alle attuali metodologie di investigazione.
Insomma infiltrati o agenti sul campo che abbiano una “percezione istintiva” o che capiscano quando in un quartiere qualcosa “bolle in pentola”…
– Esattamente, una percezione diretta che non sia legata esclusivamente ad ammassi di dati da spulciare. Un po’ di lavoro sul campo in più e un processo di analisi delle informazioni che dia direzioni più chiare da seguire aiuterebbe a ridurre il rischio di fallimenti come quelli francese e belga.
Video – Hozint provvede servizi di risk monitoring, bespoke analysis e API (Application Programming Interface) Keys
Queste problematiche accomunano tutti i Paesi europei oggi. È realistico parlare di soluzioni comuni, al di là delle dichiarazioni di principio di trovarle?
– Quando fai questa domanda ai funzionari dell’Unione che se ne occupano, questi ti rispondono che dipende direttamente dagli Stati membri. La loro risposta è sempre la stessa, a prescindere dal Paese di provenienza del funzionario. La questione è complessa e va perfino oltre la tradizionale ritrosia delle agenzie nazionale a condividere le informazioni. Anche perché questo implicherebbe un gioco a carte scoperte sul come quelle informazioni siano state ottenute, un tasto ancora più sensibile del contenuto stesso e un livello di segretezza ancora maggiore. Per fare un esempio facilmente comprensibile a tutti, consideriamo il dibattito sul PNR – Passenger Number Record – che prevederebbe la condivisione automatica dei dati dei passeggeri delle linee aeree all’interno dell’Unione. In linea teorica si prende un volo, il passeggero viene identificato e i suoi dati messi a disposizione di tutte le agenzie. Qual è il problema? Il nocciolo della questione per gli Stati di diritto risiede nel rapporto tra libertà e sicurezza e/o tra sicurezza e privacy. Questo rapporto è sancito in maniera diversa nei Paesi dell’Unione, qualcuno è più garantista, qualcun altro meno, ma le formule trovate sono diverse da un membro all’altro. Senza una vera decisione comune su questo rapporto e sulle sue conseguenze giuridiche si rimane in un limbo molto pericoloso, nel quale persone malintenzionate si insinuano – più o meno coscientemente – giocando sulle differenze di regolamentazione e sull’assenza di un modus operandi uniforme sul territorio dell’Unione.
Sono veramente tanti i temi in gioco, e tutti complessi. Tu e la tua azienda sareste in grado di dare un apporto al Governo belga in questo momento? In che modo?
– Io spero che il Governo belga abbia strumenti molto più avanzati. I nostri clienti sono soddisfatti dei nostri servizi, ma il flusso di informazioni che siamo in grado di garantire è indirizzato a un processo di decision making di tipo diverso e che non richiede una prontezza così elevata. È chiaro, però, che la nostra piattaforma consente di aggregare le informazioni disponibili, calcolare e spiegare i rischi legati alla sicurezza e coadiuvare il processo di previsione e prevenzione. Le expertise analitiche del nostro team sono comunque a completa disposizione del Governo belga o di altre Istituzioni che dovessero avere bisogno del nostro supporto. Se necessario potremmo rappresentare un valido supporto esterno, in particolare per la raccolta e la categorizzazione delle informazioni. E questo non solo per il Governo belga ma anche su base transnazionale, possiamo aggregare tutte le informazioni delle varie operazioni, degli sforzi di ciascun Paese e poi captare con i nostri metodi di analisi dedicati anche eventuali segnali deboli.
La nostra intervista si conclude qui. Rivolgiamo un caloroso ringraziamento a Edoardo Camilli per la disponibilità!
Marco Giulio Barone
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più
Hozint – Horizon Intelligence è una società di consulenza specializzata in raccolta e monitoraggio di informazioni su sicurezza e stabilità di tutti i Paesi con metodologie dedicate basate su fonti open source.
Il Caffè Geopolitico e Hozint hanno lavorato insieme alla redazione della forecast The Libyan crisis and Italy’s national security, pubblicata il 9 Marzo 2015.
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Foto: Emanuele Cardinali