Da anni l’Angola è uno dei Paesi africani più legati alla Cina, con una crescente collaborazione politica ed economica. Allo stesso tempo, tuttavia, il Governo di Luanda mantiene stretti rapporti anche con il Brasile, forte della comune esperienza coloniale portoghese. Facciamo il punto sullo stato di questa relazione triangolare
UN PAESE DA RICOSTRUIRE – Gli investimenti esteri in Angola assumono una certa rilevanza a partire dalla metà degli anni Duemila. All’inizio del millennio l’Angola era infatti uno Stato appena uscito da una guerra civile trentennale (1975-2002), in grave crisi economica e con l’impellente necessità di ricostruire da zero le proprie infrastrutture, potendo fare affidamento solo sulle immense risorse naturali del proprio sottosuolo, in particolar modo sull’esportazione di diamanti e petrolio, attraverso la quale i due fronti in lotta (il partito governativo del MPLA e i ribelli dell’UNITA) si erano finanziati durante il conflitto. Approfittando della crescita del prezzo del barile, a partire dal 2004 l’Angola ha conosciuto quindi un vero e proprio boom petrolifero che nel triennio precedente la crisi economica del 2008 ha permesso al Paese di toccare tassi di crescita annui mediamente vicini al 20% del PIL e di attirare numerosi investitori esteri per finanziare le spese. Tuttavia il crollo del prezzo del petrolio negli ultimi anni ha costretto il Governo angolano a rivedere al ribasso le stime sulla spesa pubblica destinata alla costruzione di nuove infrastrutture, nonostante il settore estrattivo abbia mantenuto il PIL abbondantemente in crescita. Ancora una volta Luanda deve guardare all’estero per cercare finanziamenti. In questo contesto diventa particolarmente rilevante il ruolo di quelli che a oggi sono i due principali investitori esteri in Angola, Cina e Brasile. Entrambi i Paesi rappresentano per Luanda un fondamentale partner economico e possono vantare di aver contribuito in maniera consistente all’opera di ricostruzione angolana.
Fig. 1 – I Presidenti Joao Dos Santos e Dilma Rousseff, 16 giugno 2014
I PROGETTI FINANZIATI – I progetti portati a termine grazie ai finanziamenti che provengono da Pechino e Brasilia sono infatti innumerevoli e coinvolgono tutte le attività economiche del Paese, spaziando dall’edilizia abitativa ai grandi sistemi infrastrutturali, fino all’attività mineraria ed estrattiva. Grazie ai finanziamenti pubblici e privati forniti da Pechino, nell’ultimo decennio l’Angola è stata in grado di ricostruire e rinnovare anche le principali linee ferroviarie del Paese, quella di Benguela – che collega la città portuale di Lobito alle miniere di Lubumbashi nella Repubblica Democratica del Congo – e quella di Moçamedes – che mette invece in comunicazione il porto di Namibe nel Sud con la città di Menongue – per una spesa vicina ai 500 milioni di dollari. Sempre nella città di Lobito un consorzio sino-angolano aveva iniziato la costruzione di una raffineria, poi affidata alla sola parte angolana a causa di visioni divergenti sull’utilizzo del petrolio raffinato e recentemente presa in consegna dall’ENI. Dal canto suo, invece, il Brasile ha visto crescere i propri investimenti in Angola di venti volte tra il 2002 e il 2008 attraverso il coinvolgimento delle più grandi aziende del Paese. Odebrecht, che opera principalmente nel settore delle costruzioni, è la principale destinataria di una linea di credito da 3 miliardi di dollari che il Brasile ha aperto per finanziare progetti in Angola e ha portato a termine 16 progetti, tra cui i lavori di costruzione dell’aeroporto di Namibe, dell’autostrada che collega Benguela e Baía e soprattutto di una delle più importanti centrali idroelettriche del continente africano, a Laúca, oltre ai lavori preparatori per la raffineria di Lobito.
Fig. 2 – Dipendenti della Odebrecht al lavoro a Luanda
CINA E BRASILE: DIFFERENZE E SOMIGLIANZE – Sebbene Brasile e Cina siano i due principali finanziatori esteri dell’Angola, le loro posizioni presentano alcune differenze rilevanti. Le relazioni diplomatiche tra Brasilia e Luanda risalgono al tempo dell’indipendenza del Paese africano dal Portogallo e si sono sempre mantenute ottime, facendo leva sulle comuni radici culturali e su una comune “cultura degli affari”. Importanti aziende brasiliane come Odebrecht e Petrobras, la compagnia petrolifera di bandiera, sono infatti attive in Angola fin dai primi anni Ottanta. La diplomazia cinese ha invece dovuto ricucire gli strappi dovuti all’appoggio fornito dal Governo di Pechino ai ribelli dell’UNITA durante la Guerra Fredda. Inoltre, in maniera opposta alla Cina e ad altri Paesi del gruppo dei BRICS come l’India, il Brasile non ha bisogno delle risorse energetiche e minerarie del continente nero, essendo uno Stato già naturalmente ricco di materie prime. La partecipazione del Brasile alle vicende africane, piuttosto, è cresciuta in seguito a un’esplicita volontà politica del Presidente Lula, che nel 2003 ha indicato l’Africa come una priorità del suo Governo. Al contrario, per Pechino la ricerca continua di fonti di approvvigionamento energetico rappresenta la base delle relazioni con l’Angola. Nelle linee guida della diplomazia brasiliana, l’approccio verso il mercato del lavoro angolano – e africano più in generale – si preoccupa di garantire la sostenibilità delle imprese assumendo numerosi lavoratori indigeni e fornendo loro la formazione necessaria a creare una classe di operatori specializzati – Odebrecht, ad esempio, è il principale datore di lavoro privato del Paese. All’opposto si situa la strategia cinese, che garantisce efficienza, rapidità e maggior controllo sulla qualità favorendo l’assunzione di dipendenti cinesi a scapito della presenza di lavoratori angolani, anche se questa differenza di approccio è spesso più formale che pratica, come dimostrato dalla stessa Odebrecht.
Fig. 3 – Dilma Rousseff con il Presidente cinese Xi Jinping a Brasilia, 17 luglio 2014
UNO SCONTRO TRA GIGANTI? – In Angola operano quindi due ambiziose potenze emergenti, spinte da interessi differenti. Tuttavia, nonostante alcune ipotesi, uno scontro tra Cina e Brasile per l’influenza in Angola è lontano dal diventare realtà. Pechino e Brasilia stanno attraversando un periodo di relazioni diplomatiche ottime, e la differenza di obiettivi da perseguire nel Paese africano sembra ridurre al minimo le possibilità di tensioni, soprattutto considerando che nessuno dei due Stati ha una posizione completamente dominante all’interno del mercato angolano, specie nel settore petrolifero, dove operano tutte le principali compagnie internazionali. È anzi possibile che la contemporanea presenza dei due Paesi possa evolversi in una situazione vantaggiosa per tutti e tre gli attori coinvolti. La Cina attraverso i suoi investimenti ottiene le materie prime necessarie a mantenere il proprio settore industriale e crea nuova occupazione per i propri cittadini nei cantieri africani, mentre l’Angola vede completati i lavori infrastrutturali di cui necessita per continuare il percorso di uscita dalle difficoltà del dopoguerra grazie ai benefici economici indotti dagli investimenti. Nella prospettiva brasiliana, infine, da un lato gli investimenti aiutano le principali aziende del Paese a diversificare le loro attività al di fuori del Brasile, mentre dall’altro il previsto aumento della ricchezza in Angola attraverso gli investimenti può favorire un aumento delle esportazioni di prodotti lavorati verso il continente africano, vero punto di forza delle relazioni commerciali tra i due Stati.
Andrea Rocco
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
La presenza della Cina come principale investitore in Angola si spiega anche tramite la decisione di Pechino di non applicare condizioni politiche alla concessione dei prestiti, a differenza delle istituzioni monetarie internazionali, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale su tutte. Non avanzando richieste su temi sensibili per il Governo angolano – come la lotta alla corruzione, la trasparenza del sistema bancario e una maggiore democratizzazione della vita politica – Pechino è così diventata in poco tempo un interlocutore privilegiato per Luanda, attraverso la formula degli oil-backed loans, ovverosia prestiti forniti dalla Cina da ripagarsi attraverso forniture prestabilite di petrolio [/box]
Foto: Blog do Planalto