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Hong Kong e Pechino sempre più “vicine”

Caffè lungo L’annuncio della riforma elettorale e il fermo degli attivisti stanno inesorabilmente trascinando Hong Kong verso il Governo centrale di Pechino. Tuttavia non sembrano essere gli unici segnali a farlo pensare. Intanto la nuova Presidenza americana pare intenzionata a volersi concentrare su quelli che, a detta di Xi, sono affari interni cinesi.

IL CONTROLLO DI PECHINO SI RAFFORZA

Potremmo riassumere la storia democratica di Hong Kong parlando di un miracolo socio-economico a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila. Tuttavia il 30 luglio 2020, giorno dell’emanazione della National Security Law, e l’11 marzo 2021, approvazione della riforma elettorale, rischiano di diventare argomento delle pagine più complicate della storia dell’ex colonia britannica.
Con ben 2.895 voti a favore della riforma elettorale, Hong Kong vedrà estromessi dalle proprie elezioni tutti gli oppositori della sovranità nazionale e del Politburo cinese. La Governatrice di Hong Kong Carrie Lam ha infatti affermato che la città dovrebbe essere governata dai patrioti, così da interrompere l’odio verso il resto del Paese. La Governatrice ha poi disposto il giuramento di fedeltà al Partito per i consiglieri distrettuali della città. Secondo Carrie Lam si tratta di metodi necessari per consolidare il principio “un Paese, due sistemi”, ma che nella sostanza dei fatti non sono nient’altro che esplicite dichiarazioni populiste.  

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Fig. 1 – Un manifestante di Hong Kong sventola la Union Jack di fronte al consolato britannico della città, agosto 2019

TRA PRESENTE E FUTURO

Dopo il fermo degli attivisti delle manifestazioni anti-establishment, etichettati come sovversivi e secessionisti, alcuni di loro, poi rilasciati su cauzione, sono stati accusati anche di aver organizzato e partecipato a delle votazioni non autorizzate. Lo scopo sarebbe stato quello di ottenere la maggioranza alle elezioni del Consiglio di Hong Kong grazie al supporto di 600mila partecipanti. Un’ipotesi che avrebbe potuto accendere l’ennesima miccia separatista, ma che si è conclusa con un nulla di fatto grazie al blocco da parte del Governo centrale. Per il momento le elezioni del Consiglio sono rimandate.
Uno degli imputati però, l’ex legislatore Lam Cheuk-ting, che era stato prima rilasciato, adesso si ritrova di nuovo in arresto. È stato infatti accusato di corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio. I fatti sono relativi al 2019 quando durante un raduno pacifico, cui lo stesso funzionario stava partecipando, un gruppo di uomini vestiti di bianco attaccò i manifestanti all’interno della metropolitana di Yuen-Long. Di questi scontri l’opinione pubblica lamenta soprattutto il ritardo con cui intervennero le Forze dell’Ordine nel sedare i disordini. L’ex legislatore Lam è accusato di aver rivelato al sovrintendente di polizia che il suo nome risultava presente sul registro degli indagati per gli scontri della metropolitana di Yuen-Long. Lo stesso Lam Cheuk-ting si è però dichiarato non colpevole per tutti e tre i capi d’accusa a lui imputati.
Pechino teme nuove proteste giovanili, questo non è un mistero. Le manifestazioni pro-democrazia infatti sono nate fin da subito sotto il segno degli studenti e forse anche grazie al lavoro del suo volto più noto Joshua Wong, attualmente anch’egli detenuto per cospirazione da dicembre scorso. Per questo motivo già dal 2019 diversi programmi scolastici e universitari sono passati sotto la lente del Partito. Uno di questi è certamente Liberal Studies, accusato di aver fomentato gli studenti nelle manifestazioni contro il Governo centrale. Nel prossimo DSE (Diploma of Secondary Education), infatti, gli insegnanti di questa disciplina non faranno domande su diritto e partecipazione politica.
Altro segnale che deve far pensare a una sospensione della democrazia a Hong Kong è il nuovo regolamento che consente alle aziende e agli enti statali di collaborare a una maggiore applicazione della National Security Law sul posto di lavoro. Grazie a esso infatti gli apparati di sicurezza nazionale saranno autorizzati non solo a installare dispositivi tecnologici di controllo, ma anche a smantellare gli hardware dei computer degli uffici per garantire una maggiore protezione contro la minaccia dello spionaggio.

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Fig. 2 – Lam Cheuk-ting durante un incontro con i giornalisti nel novembre scorso

BIDEN CAMBIA ROTTA E PUNTA DRITTO A ORIENTE

Grandi perplessità al sistema di repressione di Hong Kong sono arrivate da parte di Paul Harris, Presidente di HKBA, definito dalle Autorità locali “politico anti-cinese” per aver criticato l’arresto degli attivisti e l’accanimento nei confronti delle manifestazioni pro-democrazia. Tra i primi a dimostrarsi contrariato per quanto sta accadendo a Hong Kong è stato ovviamente anche Joe Biden, che ha subito fatto sapere che i cambiamenti alla legge elettorale sono un “attacco diretto alla democrazia”. Dopo l’annunciato ritiro delle truppe americane in Afghanistan, Joe Biden sembrerebbe infatti decisamente più interessato a contenere l’ascesa della Cina. Il 10 febbraio ha avuto un lungo colloquio telefonico con il Presidente Xi Jinping in cui si è detto preoccupato per le “pratiche economiche coercitive e scorrette” adottate nei confronti di Hong Kong, Taiwan e delle popolazioni dello Xinjiang. Xi, dal canto suo, ha invece ribadito che le aree citate da Biden altro non sono che “affari interni che riguardano la sovranità e l’integrità territoriale della Cina”. Ha poi concluso sollecitando al dialogo costruttivo per evitare che ci possano essere nei dossier comuni “incomprensioni ed errori”. 

Massimiliano Giglia

6 Oct 2019 anti mask ban_20” by etanliam is licensed under CC BY-ND

Dove si trova

Perchè è importante

  • Proseguono le proteste a Hong Kong a causa della discussa approvazione della legge elettorale e il fermo degli attivisti impegnati nelle proteste contro la repressione delle libertà fondamentali.
  • Pechino è determinata a inglobare l’ex colonia britannica e per riuscirci sta inasprendo ancora di più le misure di contenimento delle proteste democratiche.
  • Da Washington arrivano pesanti ammonizioni nei confronti di Xi Jingping che però sembra voler procedere per la sua strada.

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Massimiliano Giglia
Massimiliano Giglia

Sono cresciuto in Sicilia, la scrittura e le illustrazioni da sempre sono le mie più grandi passioni.
Mi sono laureato in Lettere all’Università di Catania e in Cooperazione Internazionale, tutela dei Diritti Umani all’Università di Bologna. Entrambe rappresentano per me due tappe fondamentali del mio percorso di crescita personale, oltre che di formazione. Conclusi gli studi mi sono trasferito a Londra e ad Harbin, in Cina, luoghi in cui ho potuto assaporare il gusto di trovarmi in un punto di vista diverso. Tutto questo mi ha inesorabilmente aperto gli orizzonti e ha certamente accentuato il mio interesse per gli affari esteri.

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