Analisi – La pandemia si accanisce furiosamente su Rio de Janeiro, aggravando i problemi atavici di una città sommersa dal peso delle proprie contraddizioni. La crisi economica inasprisce le diseguaglianze storiche, aumentando la violenza e riducendo gli orizzonti, con la sensazione che per la Città Meravigliosa non resti che aggrapparsi a un’ultima spiaggia di speranza.
Decima e ultima tappa di Metropolis, il viaggio del Caffè Geopolitico alla scoperta del futuro delle grandi città del pianeta. Dopo Doha, è la volta di Rio de Janeiro.
“Io appartengo a queste case,
A queste vie,
A questo amore grondante malinconia”.
(Mário de Andrade)
NUMERI DA PAURA
La pandemia corre veloce per le vie strette di Rio de Janeiro, imperversando nei ricchi bairros e nelle più miserabili favelas, svuotando le incantate spiagge di Ipanema e Copacabana. Oltre 258mila casi registrati in città, per un totale di quasi 24mila vittime ufficiali, una tragedia che esonda dai confini cittadini e si allarga a tutto lo Stato di Rio de Janeiro, dove la conta dei morti sale a oltre 44mila vittime. Un’ecatombe che accomuna Rio al resto del Paese, abbandonato alla pochezza di strategie di chi non ha fatto nulla per contrastare l’epidemia e si ritrova ora un’ondata devastante e con un totale di vittime che al momento ammonta a circa 400mila. Come sembra lontano, ora che Rio annega nell’emergenza sanitaria, il biennio d’oro tra 2014 e 2016, i Mondiali e le Olimpiadi, la città al centro del mondo, l’orgoglio di un Paese che sognava di poter conoscere finalmente il vero benessere. Lo sport, d’altronde, è sempre stato il biglietto da visita ideale per il Brasile, che ha generato icone del calibro di Pelè, Ronaldo o Senna. Tutto finito a colpi di inchieste e rabbia, quella che prima ha travolto i vertici del Paese e ne ha poi creati di nuovi sui quali Rio, ma non solo, si interroga dubbiosa ora che la crisi ne ha svelato la pochezza. Così travolgente la crisi da rivoluzionare anche le più profonde pieghe dell’anima di Rio, come il suo Carnevale, che non è mai solo una sfilata di carri o travestimenti, ma espressione stessa del cuore di una metropoli destinata a incarnare l’allegria, ignorando le ombre di dolore che vi si annidano. Troppo grandi i rischi, troppo grave la situazione per non costringere le Autorità locali a cancellarlo per quest’anno.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Commemorazione per le 400mila vittime della pandemia sulla spiaggia di Rio de Janeiro
CIDADE MARAVILHOSA
C’era una volta la città meravigliosa, Cidade Maravilhosa, spiagge dorate e mare cristallino, emblema di trasgressione e libertà, di balli infiniti fino a notte fonda in riva al mare. La città è un mosaico ben più complesso di contraddizioni, tuttavia, già esistenti in tutta la loro gravità prima dello scoppio della pandemia. La crisi economica, che già aveva colpito Rio cinque anni fa al tempo della crisi delle materie prime, oramai registra numeri devastanti. La città ha subìto una contrazione del PIL nel 2020 pari al 4,4%, superiore dunque al dato nazionale del 4%, immensamente dietro ai numeri dell’eterna rivale San Paolo, vero cuore economico del Paese e che lo scorso anno ha registrato un +0,4% di crescita. Il dato di Rio è preoccupante per tutto il Brasile, tuttavia, dal momento che la città produce il 10% della ricchezza nazionale. Il declino economico ha origini lontane che risalgono ai tempi dello spostamento della capitale a Brasilia, quando la perdita di posti di lavoro governativi ha innescato un ciclo di recessioni destinate a ricomparire a cadenza periodica. E che oggi portano a registrare un tasso di disoccupazione del 32% tra chi ha 18 e 24 anni a Rio, un tasso di disoccupazione complessivo del 14,5% (5 punti superiore a quello nazionale) e un debito pubblico cittadino ormai totalmente fuori controllo. Toccando quota 29 miliardi di dollari e raggiungendo il 280% del PIL cittadino, Rio de Janeiro è praticamente una città sull’orlo della bancarotta. Con tutte le conseguenze che ciò comporta sulla crescita delle diseguaglianze e della povertà dilagante, come emerso ancora una volta durante la pandemia.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – La favela di Rocinha, una delle più popolose di Rio de Janeiro
GUERRA URBANA
La crisi economica, oltre ad aggravare la deficitaria risposta alla pandemia, scava solchi ulteriori all’interno del tessuto sociale di Rio. Fenomeno delicato in una città che ormai da decenni conosce emarginazione sociale e povertà endemica, che hanno portato alla realizzazione di decine di favelas, baraccopoli accatastate alla rinfusa attorno ai quartieri più esclusivi, prive di qualsiasi servizio essenziale. Veri e propri templi della miseria, dove la vita scorre tra droga, sparatorie e violenza, solo occasionalmente saliti agli onori della cronaca per qualche calciatore di successo capace di emarginarsi da tanta indigenza. Ma la realtà quotidiana di favelas come Rocinha, ad esempio, racconta un’altra storia. Quella di un intreccio di violenze tra le gang del narcotraffico, milizie paramilitari che controllano quartieri interi come fossero clan mafiosi e la risposta della polizia, spesso altrettanto violenta. Così da confondere sempre più le linee di confine tra buoni e cattivi, anche grazie a una corruzione endemica che ha portato in prigione 3 degli ultimi 4 governatori dello Stato di Rio. Il risultato è che circa 2 milioni di persone vivono sotto la minaccia di gruppi armati violenti che sono ormai in grado di controllare circa il 60% del territorio cittadino. Inizialmente formatesi per contrastare la dilagante violenza delle gang legate al narcotraffico, coagulando spesso ex agenti di polizia e membri dell’esercito, le milizie paramilitari si sono di fatto sostituite allo Stato, imponendo le proprie regole e leggi e, spesso, abusandone. Si calcola che circa il 5-10% delle transazioni immobiliari nei quartieri gestiti da questi gruppi finiscano nelle tasche dei membri delle milizie mentre la sicurezza che dovrebbero garantire ai cittadini di Rio sembra latitare, considerati i 3.500 omicidi avvenuti in città nel solo 2020 che portano il totale a 94mila dal 2003 a oggi. Con un tasso di 60 omicidi ogni 100mila abitanti, lo Stato di Rio de Janeiro è più pericoloso dell’intero El Salvador. Ma se lo strapotere delle milizie è possibile, è anche grazie alla dilagante corruzione che alberga a tutti i livelli del potere politico e istituzionale in città, come dimostrato ormai da una serie impressionante di inchieste che segnalano come tali gruppi siano foraggiati, o comunque godano di protezioni e coperture, ai più alti livelli. Chi ne fa le spese sono gli abitanti di Rio, spesso i più poveri, che si trovano tra il fuoco incrociato di una guerra tra bande tra le vie più malfamate dei quartieri più miserabili, con la polizia che ciclicamente non si fa scrupolo di agire con la forza incurante degli effetti collaterali.
Partendo da questi dati non è facile immaginare quale futuro attenda Rio de Janeiro dopo la pandemia. I flebili segnali di speranza degli anni passati sembrano ormai sepolti sotto un mare di corruzione, violenza, povertà dilagante e crisi economica inarrestabile. Mentre la pandemia miete vittime nell’impotenza generale, la città cerca di aggrapparsi a esili fili di speranza e bellezza sempre più sbiaditi col passare del tempo. Scoprendo che dietro la patina di allegria carnevalesca ostentata e forzata si nasconde la malinconia profonda di una favela eterna, cui provare a resistere pensando possa esserci qualcosa di meglio nel futuro di Rio de Janeiro. Un’ultima spiaggia di redenzione, forse meno dorata, ma che spalanchi le braccia come il Cristo Redentor che veglia sulla città.
Luca Cinciripini
Immagine in evidenza: Photo by Poswiecie is licensed under CC BY-NC-SA