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Biden da solo non può cambiare il destino dello Yemen

In 3 sorsiL’Amministrazione statunitense vuole porre fine alla tragedia yemenita investendo capitale politico nelle Nazioni Unite. A primo impatto, però, questa linea sembra tramutarsi in una ripresa dei cruenti scontri armati.

1. LO SCOPPIO DEL CONFLITTO E LA POSIZIONE AMERICANA

Nel 2015, a seguito dello scoppio della guerra civile tra le forze governative e quelle del movimento di Answar-al Sadat, i cosiddetti ribelli Houthi, l’Arabia Saudita annunciava a Washington la formazione di una coalizione internazionale in vista della richiesta d’aiuto del Presidente yemenita Hadi. Quest’ultimo era stato costretto a lasciare il Paese dopo la rivoluzione e la conquista della capitale Sana’a da parte dei ribelli. L’allora Presidente Obama aveva rilasciato una comunicato stampa in cui gli Stati Uniti condannavano gli scontri e la presa del potere e garantivano supporto logistico e d’intelligence alla coalizione a guida saudita. Questa posizione di aperto schieramento americano a supporto delle operazioni saudite si intensificherà nei primi anni dopo l’elezione di Trump. Simbolica la scelta del Presidente repubblicano di recarsi in Arabia Saudita nel 2017 come prima meta del proprio mandato. Nell’occasione venne finalizzata la vendita di materiale bellico per un ammontare di 100 miliardi di dollari e un ritorno a una postura molto più assertiva nei confronti dei nemici regionali e comuni, come l’Iran.

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Fig. 1 – Combattenti fedeli al Governo yemenita sostenuto dai sauditi eseguono una danza tradizionale nella provincia nord-orientale di Marib, Yemen

2. LA PACE IN YEMEN E LA ‘GUERRA FREDDA’ TRA IRAN E ARABIA SAUDITA

Il tentativo americano di passare da una posizione interventista a quella di intermediario imparziale nasce nel 2019 successivamente a due eventi avvenuti durante le elezioni di metà mandato nel 2018: un bombardamento aereo che ha causato la morte accidentale delle dozzine di bambini dentro a uno scuolabus e l’omicidio Khashoggi. Entrambi i fatti hanno raffreddato la vicinanza statunitense a Ryad: questo è verificabile dalla convergenza bipartisan del Congresso sulla questione, con l’interesse ad approvare un disegno di legge che avrebbe ritirato completamente ogni attività di supporto americana a favore della coalizione capeggiata dai sauditi. La risoluzione del conflitto, d’altro canto, non passa esclusivamente dalla posizione di Washington. La questione del nucleare iraniano e la “guerra fredda tra Arabia Saudita e Iran, che appoggiano fazioni opposte nel conflitto, giocano il loro ruolo in questa partita complicata. Di conseguenza è impensabile poter risolvere la crisi yemenita senza soluzioni concrete su questi due fronti.

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Fig. 2 – Un gruppo di persone si riunisce in protesta contro gli attacchi aerei e l’embargo dell’Arabia Saudita contro lo Yemen il 26 febbraio 2019 a New York, Stati Uniti

3. LO YEMEN AL CENTRO DELLA NUOVA POLITICA ESTERA DI JOE BIDEN

Joe Biden ha messo al centro della propria politica estera nella regione la risoluzione dell’estenuante conflitto, e della conseguente crisi umanitaria. In linea con il ritorno degli Stati Uniti a un approccio multilaterale dei problemi globali, il Presidente americano ha rimesso in moto la macchina diplomatica per dare nuovo vigore agli sforzi delle Nazioni Unite, e porre fine alle sofferenze della popolazione yemenita. Gli Houthi, i ribelli che ricevono approvigionamenti di materiale bellico e addestramento da parte dell’Iran nonostante le continue smentite da parte della Repubblica Islamica, hanno interpretato diversamente lo sforzo diplomatico americano. Dal discorso della nuova politica estera americana tenutosi a febbraio gli Houthi hanno intensificato gli scontri armati con le forze governative e lanciato l’offensiva per la città di Marib, strategicamente molto importante. Gli Houthi non recepiscono favorevolmente la postura di Washington in Yemen, dal momento che per anni gli USA sono stati direttamente coinvolti nel conflitto civile vendendo grossi ingenti di equipaggiamenti militari all’Arabia Saudita. L’inasprirsi del conflitto nelle ultime settimane suggerisce le seguenti ipotesi riguardo alla strategia dei ribelli: l’intensificare degli scontri serve per sedersi al tavolo delle negoziazioni con più potere contrattuale, oppure guadagnare qualche vantaggio tattico nel conflitto. Il risultato dell’iniziativa USA è stato dunque per ora, nel breve termine, l’ennesima ondata di violenza e miseria per la popolazione yemenita, già allo stremo da 7 anni di lotte intestine.

Augusto Sisani

Immagine di copertina: “661 PBS Screen Capture” by Felton Davis is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • Dall’inizio del conflitto yemenita gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto una posizione di aperto schieramento a supporto della coalizione saudita contro i ribelli Houti.
  • Nel 2019, a seguito di un bombardamento aereo in Yemen e dell’omicidio Khashoggj, gli USA decidono di passare da una posizione interventista a una intermediazione imparziale nel conflitto.
  • Nonostante Biden abbia messo al centro della propria politica estera nella regione la risoluzione dell’estenuante conflitto, la strategia americana non ha ancora avuto il successo sperato.

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Augusto Sisani
Augusto Sisani

Nato ad Assisi nel 1996 da padre italiano e madre neozelandese, sono cresciuto a Perugia e mi sono laureato attraverso un programma di doppia laurea magistrale in Relazioni Internazionali  presso la LUISS Guido Carli e Université Libre de Bruxelles. Durante i miei soggiorni accademici all’estero negli Stati Uniti, Regno Unito e Belgio ho maturato un forte interesse per il Medio Oriente e Nord Africa, con particolare attenzione per la Penisola Arabica e la storia moderna dell’Iran. In aggiunta, sono appassionato del ruolo della NATO nella sicurezza internazionale, avendo participato al ‘International Model NATO 2020’ a Washington D.C.

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