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Zakir Naik: predicatore del terrorismo?

La strage di Dacca ha riacceso i riflettori sulle attività del predicatore televisivo Zakir Naik, già accusato in passato di essere tra i principali ispiratori dei gruppi jihadisti nel subcontinente indiano. Tuttavia le accuse dei media e le indagini della polizia di Mumbai non hanno portato finora ad alcun procedimento giudiziario nei confronti del controverso religioso.

NELL’OCCHIO DEL CICLONE – La terribile strage di Dacca del luglio scorso ha costretto i dirigenti politici e le autorità di polizia di India e Bangladesh a interrogarsi sull’efficacia delle proprie strategie anti-terrorismo. Allo stesso tempo ha riacceso un dibattito intenso sul fenomeno della radicalizzazione religiosa, vista come la causa principale della crescente popolarità di ISIS e altre organizzazioni terroristiche in Asia meridionale. Finora, però, tale dibattitto non sembra aver portato all’adozione di misure significative nella lotta all’ideologia jihadista, seppur con qualche eccezione. Il Governo del Bangladesh, per esempio, ha stabilito una serie di controlli sui sermoni del venerdì nelle moschee e ha cercato ripetutamente di promuovere messaggi religiosi anti-estremisti. Un’altra decisione importante presa dalle autorità bengalesi è stata poi quella di proibire le trasmissioni di Peace TV, canale satellitare fondato dal predicatore indiano Zakir Naik nel 2006. Inizialmente rivolto solo alle trasmissioni satellitari e agli streaming online dell’emittente, il bando è stato successivamente esteso anche alle applicazioni mobile di Peace TV, portando a un blocco totale delle sue attività in Bangladesh. Il Ministro dell’Informazione Hasanul Haq Inu ha dato grande risalto all’iniziativa, accusando Naik di essere l’ispiratore morale degli attentatori di Dacca, e ha invitato la vicina India a prendere misure energiche contro le varie organizzazioni mediatico-educative fondate dal controverso religioso. Secondo Inu, i sermoni di Naik “non sono in accordo con gli insegnamenti del Corano, degli hadith e della sunnah”, e in molti casi finiscono per provocare la “militanza” di potenziali terroristi. Una posizione apparentemente condivisa anche dal Governo di New Delhi, che non ha rinnovato la licenza di Peace TV a trasmettere in India giusto pochi giorni dopo la strage dell’Holey Artisan Bakery.

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Fig. 1 – Manifestazione popolare a New Delhi contro Zakir Naik, luglio 2016

E il bando informale di Peace TV è stata solo la prima di una serie di azioni prese dalle autorità indiane contro le organizzazioni religiose e filantropiche dirette da Naik. La polizia di Mumbai ha infatti aperto un’inchiesta sui finanziamenti ricevuti dall’Islamic Research Foundation (IRF), riscontrando diverse irregolarità, e ha anche presentato un rapporto molto duro contro l’Islamic International School di Mazagaon, accusandola di “fare il lavaggio del cervello” agli studenti e di promuovere sentimenti intolleranti contro le comunità non musulmane della città. Nel frattempo la polizia del Kerala ha arrestato uno stretto collaboratore di Naik con l’accusa di aver reclutato combattenti per ISIS e ha messo sotto osservazione le attività delle succursali dell’IRF presenti nella sua giurisdizione. L’apice della campagna contro Naik, segnata anche da molteplici attacchi politici e giornalistici, è stato però raggiunto con l’accusa ufficiale da parte della National Investigation Agency (NIA), il massimo organismo di sicurezza indiano, di essere stato l’ispiratore di almeno 50 sospetti terroristi, inclusi membri di Lakshar-e-Toiba e Indian Mujahideen. Un’accusa molto pesante che potrebbe portare a un procedimento giudiziario vero e proprio nei confronti del predicatore, anche se la NIA ha mostrato cautela nel legare direttamente Naik ad azioni di tipo terroristico. Stesso discorso per la polizia di Mumbai, che ha lasciato l’onere di un’eventuale incriminazione al Governo del Maharashtra.

UNA DIFESA NON CONVINCENTE – La classica “pistola fumante” sembra quindi mancare e gli avvocati di Naik hanno avuto sinora buon gioco a respingere le accuse, rimarcando l’assenza di elementi veramente rilevanti a danno del proprio assistito. Tuttavia il controverso predicatore non si sente affatto sicuro e sta prolungando continuamente i suoi tempi di permanenza in Africa, dove è impegnato in un ciclo di conferenze, nella speranza non troppo nascosta di evitare un arresto al rientro in patria. Anche la difesa mediatica di Naik è parsa abbastanza debole, con una conferenza stampa via Skype rimandata diverse volte e poi eseguita con parecchie difficoltà tecniche in una sala ricevimenti di Mazagaon. Davanti a una folta platea, composta anche da parecchi poliziotti, il religioso ha ammesso che uno degli attentatori di Dacca “potrebbe essere stato” un suo fan, ma ha accusato i media indiani di avere raccolto “voci senza conferma” e ha ricordato come i suoi sostenitori in Bangladesh possano seguire anche altri predicatori più integralisti. Inoltre, ha ribadito di non aver mai incoraggiato l’uccisione di innocenti nei suoi discorsi, accusando i suoi detrattori di avere allestito un processo mediatico basato su menzogne e interpretazioni maliziose delle sue parole. “I giornalisti con una mente senza pregiudizi e privi di un’agenda [politica] capiranno che sono un messaggero di pace”, ha aggiunto poi piuttosto enfaticamente.

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Fig. 2 – Fariq Naik, figlio di Zakir Naik, pronuncia un discorso alla University Science of Malaysia, aprile 2016

Ma i giornalisti presenti all’evento non hanno creduto molto alle sue parole, ironizzando spesso apertamente su Twitter sulle sue professioni di innocenza. Alcuni di loro hanno anche rimarcato le pesanti discrepanze tra le parole di pace pronunciate da Naik in sala stampa e il tenore aggressivo dei suoi sermoni abituali, spesso molto duri nei confronti di musulmani eterodossi o fedeli di altre religioni. E non sono mancati neanche scambi polemici diretti con il predicatore, che ha minacciato più volte di portare in tribunale i suoi contestatori per diffamazione. Alla fine l’improvvisata conferenza stampa non pare dunque aver sortito molti effetti positivi e Naik ha accuratamente evitato un ripetersi dell’evento nelle settimane successive, lasciando la gestione dei rapporti con i media ai suoi avvocati. La verità è che l’immagine pubblica del religioso appare seriamente compromessa, non solo a causa degli sviluppi delle recenti inchieste di polizia ma anche dalle tante polemiche che ne hanno segnato la controversa carriera. Polemiche che hanno creato una vasta pletora di nemici di Zaik, sia a livello politico che religioso, ora pronti a sfruttare l’occasione per chiudere definitivamente i conti con il loro vecchio avversario.

APOLOGETA INTRANSIGENTE DELL’ISLAM – Cinquant’anni, originario di Mumbai, Naik ha cominciato la sua carriera di predicatore nei primi anni Novanta, dopo un incontro con il carismatico religioso sudafricano Ahmed Deedat. Da quest’ultimo Naik ha infatti ripreso la tecnica della comparazione diretta dell’Islam con le altre fedi religiose e l’uso del format televisivo per dibattere complessi argomenti di carattere dottrinale. E anche caratteristiche assai più discutibili come l’ostilità verso il Cristianesimo e una visione della fede musulmana estremamente rigida e intransigente. Non a caso il giovane predicatore cominciò a farsi notare nel 1994 polemizzando duramente con la scrittrice femminista Taslima Nasreen sul tema della libertà d’espressione. L’inimicizia tra i due risale proprio a quel periodo e continua ancora oggi senza esclusione di colpi sui principali social network del subcontinente indiano. Apparentemente freddo e distaccato, lo stile retorico di Naik è estremamente provocatorio e mira alla completa denigrazione dei suoi avversari, ridicolizzati ferocemente e spesso insultati in modo non troppo sottile. È uno stile ripetuto con consumata abilità in molti dei suoi sermoni su Peace TV e messo al servizio delle interpretazioni coraniche più integraliste. Durante una visita in Australia nel 2004, per esempio, Naik sostenne che la vera uguaglianza per le donne è solo nell’Islam, perchè l’abbigliamento “rivelatore” dell’Occidente le rende più vulnerabili allo stupro. In un’altra occasione difese invece il diritto dei mariti musulmani a picchiare le proprie mogli, anche se in modo “leggero” e “gentilmente”. Durissimi poi i suoi giudizi sui gay, visti come malati affetti da “peccaminosi problemi mentali” o schiavi dei “film pornografici” trasmessi dalle tv occidentali. Per risolvere la loro “anormalità”, Naik ha sostenuto spesso punizioni esemplari, inclusa la pena di morte. Una posizione che ha scatenato feroci polemiche giornalistiche e che ha certamente contribuito alla decisione di Canada e Gran Bretagna di rifiutare il visto d’ingresso al predicatore indiano nel 2010. Inutile dire che Zaik si è sempre difeso accusando i media di interpretare in modo disonesto e parziale le sue parole, come avvenuto anche nella recente conferenza stampa di Mazagaon.

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Fig. 3 – Dubai, sede di Peace TV e centro di molte attività delle organizzazioni educative e religiose dirette da Naik

Nonostante tante controversie, la popolarità di Naik tra le comunità islamiche dell’Asia meridionale è andata aumentando di anno in anno e ciò ha portato inevitabilmente alla creazione di una vasta rete di associazioni non-profit facenti capo alla famiglia del predicatore. Dopo aver fondato l’IRF nel 1991, diretto insieme alla moglie Farhat, Naik ha infatti creato l’Islamic International School e lo United Islamic Aid, volti a sostenere l’educazione dei giovani musulmani poveri di Mumbai, e si è dedicato successivamente all’espansione delle attività multimediali di Peace TV, con lo sviluppo di applicazioni per cellulari e la vendita di DVD con le principali trasmissioni dell’emittente. Ormai residente a Dubai da diversi anni, il predicatore ha anche sviluppato una serie di legami discreti ma significativi con l’establishment politico-religioso dell’Arabia Saudita, ricevendo anche il King Faisal International Prize nel 2015 per il suo ruolo di infaticabile propugnatore dell’Islam a livello internazionale. Durante la pomposa cerimonia Naik ha ricevuto personalmente una medaglia d’oro da re Salman e un assegno da 200mila dollari a sostegno delle sue attività filantropiche. La scelta del Governo saudita è stata apertamente criticata dagli Stati Uniti, anche se Washington si è astenuta da una vera e propria condanna formale dell’evento.

ISPIRATORE DEL TERRORISMO? – Da tempo le autorità indiane sospettano che tra i referenti di Naik a Riyadh vi siano anche diversi leader dell’estremismo salafita e addirittura membri di organizzazioni terroristiche come Al Qaeda e ISIS, ma finora non hanno trovato riscontri effettivi a tale tesi. Tuttavia Naik ha spesso rilasciato dichiarazioni ambigue sulle azioni violente di questi gruppi, rifiutando di condannarli in modo categorico e mostrando talvolta una certa simpatia per la loro visione integralista dell’Islam. Inoltre ha affermato ripetutamente di credere che il terrorismo jihadista sia un complotto occidentale contro il mondo musulmano iniziato con gli attentati dell’11 settembre 2001, a suo avviso un “inside job” dell’amministrazione Bush per giustificare le successive invasioni militari di Afghanistan e Iraq. Naturalmente Naik è sempre stato cauto nella formulazione dei suoi giudizi pubblici sull’argomento terrorismo, evitando di prendere una posizione netta e giocando spesso scaltramente sulle sfumature della tradizione teologica musulmana.

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Fig. 4 – I funerali di Marco Tondat, una delle vittime della strage di Dacca del luglio scorso. Il Governo del Bangladesh considera Naik come uno dei principali ispiratori dell’attentato jihadista

Sfortunatamente per lui, però, il numero di jihadisti “ammiratori” dei suoi sermoni è aumentato sensibilmente negli ultimi tempi, spingendo la polizia di Mumbai a intensificare le proprie indagini sulle attività delle sue organizzazioni e della sua famiglia. Nel 2009, ad esempio, parte del bagaglio ideologico del qaedista Najibullah Zazi, coinvolto in un tentativo fallito di far esplodere delle bombe nella metropolitana di New York, è stato fatto risalire dagli inquirenti proprio ai sermoni del fondatore di Peace TV, di cui Zazi è sempre stato un fervente ammiratore. Stesso discorso per Rahil Sheikh, coinvolto negli attentati alla rete ferroviaria di Mumbai nel 2006, che pare abbia persino frequentato assiduamente l’IRF nei mesi precedenti alle sue azioni terroristiche. E per due dei responsabili della recente strage di Dacca, accaniti seguaci di Naik sui social media con frequenti post elogiativi sia del suo stile di predicazione che della sua visione rigorista dell’Islam. Sono stati proprio questi post a portare alle attuali indagini delle autorità indiane e alla decisione del Governo bengalese di bandire Peace TV dal proprio Paese.

Naik verrà quindi condannato come ispiratore di attentati terroristici nel subcontinente indiano? È difficile dirlo. Gli elementi a suo carico sono labili e non ci sono prove che lui o le sue organizzazioni abbiano legami diretti con gruppi come ISIS o Al Qaeda, a dispetto delle simpatie di alcuni membri di tali organizzazioni verso gli insegnamenti fondamentalisti del predicatore di Mumbai. In ogni caso, l’opinione pubblica indiana crede fermamente alla “responsabilità indiretta” di Naik nella diffusione della violenza jihadista in Asia meridionale e sta esercitando pressioni sulle autorità locali e nazionali perchè adottino provvedimenti esemplari contro il suo impero educativo e filantropico. Le ultime voci sulla stampa parlano addirittura di un bando totale nei confronti dell’IRF e di una probabile incriminazione dello stesso Naik per attività terroristica. Il controverso predicatore rischia quindi di fare la stessa fine del suo collega britannico Anjem Choudary, condannato recentemente da un tribunale di Londra per il suo sostegno (neanche troppo nascosto) a ISIS.

Simone Pelizza

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Molti musulmani indiani hanno spesso mostrato scetticismo e ostilità nei confronti degli insegnamenti di Naik, giudicandoli contrari alla propria tradizione religiosa. La comunità sufi del Paese ha persino inscenato diverse manifestazioni di protesta contro l’IRF e il suo fondatore, mentre il noto studioso Maulana Wahiduddin Khan non ha nascosto la propria contrarietà verso le interpretazioni coraniche di Naik, giudicandole eccessivamente personalistiche e provocatorie. [/box]

Foto di copertina di Marco Zanferrari Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-ShareAlike License

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Simone Pelizzahttp://independent.academia.edu/simonepelizza

Piemontese doc, mi sono laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano e ho poi proseguito gli studi in Gran Bretagna. Dal 2014 faccio parte de Il Caffè Geopolitico dove mi occupo principalmente di Asia e Russia, aree al centro dei miei interessi da diversi anni.
Nel tempo libero leggo, bevo caffè (ovviamente) e faccio lunghe passeggiate. Sogno di andare in Giappone e spero di realizzare presto tale proposito. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare la Cina, che ho visitato negli anni scorsi per lavoro.

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