Negli ultimi anni il governo brasiliano ha cercato di impegnarsi per sconfiggere la deforestazione, soprattutto quella amazzonica. Ma per diversi motivi, tra i quali corruzione pubblica e privata e danni ambientali commessi per compiacere le aspettative mondiali, il Brasile sta andando nella direzione opposta.
IL POLMONE DELLA TERRA – L’Amazzonia è un’immensa zona boschiva tropicale che si estende per 5,5 milioni di km² che, per intendersi, corrisponde ad un’area 10 volte più grande della Francia. Non a caso è definita “il polmone della terra” e il Brasile ospita circa il 60% di questo territorio. La deforestazione (legale e illegale) della foresta amazzonica iniziò già nella prima metà del Novecento per sfruttarne le risorse minerarie e forestali e il tasso annuo aumentò esponenzialmente alla fine del Secolo. L’allevamento di bestiame è tuttora la causa principale della deforestazione, seguito dall’agricoltura (coltivazione di soia, palma, ecc.), dalla costruzione di centrali idroelettriche e dall’estrazione di legno pregiato. Le conseguenze della deforestazione sono sia ambientali, come l’aumento del surriscaldamento globale e la riduzione della biodiversità, che umane con la distruzione delle terre abitate dagli indigeni.
Fig. 1 – Segnali di deforestazione in Amazzonia
LE POLITICHE AMBIENTALI DEI GOVERNI LULA – Durante i suoi otto anni di governo (2003-2010) Luiz Inácio “Lula” da Silva (del Partito dei lavoratori, PT) intraprese la strada della lotta alla deforestazione. Nel 2003 Lula creò un Gruppo Permanente di Lavoro Interministeriale (GPTI) formato da 15 ministeri impegnati a elaborare politiche capaci di combattere la deforestazione amazzonica. L’anno successivo, il governo lanciò come strategia ufficiale il Piano di Azione per la Prevenzione e il Controllo della Deforestazione legale in Amazzonia (PPCDAm) basato su tre assi: la regolarizzazione del territorio, il monitoraggio ambientale e l’appoggio ad attività produttive sostenibili. Durante le prime due fasi del PPCDAm (2004-2008 e 2009-2011) si verificarono miglioramenti significativi. Il governo Lula investì per il perfezionamento dei sistemi di controllo e di fiscalizzazione, lottò contro la corruzione ambientale incarcerando 600 dipendenti pubblici e nel 2006 implementò una legge per la gestione delle foreste pubbliche. Infatti, dal 2004 al 2011 il tasso di deforestazione diminuì del 77%, raggiungendo nel 2012 il più basso valore storico. Ciò nonostante, il governo Lula non stimolò la creazione di attività produttive sostenibili. Queste attività avrebbero rappresentato nuove fonti di reddito diverse dal disboscamento e perciò un investimento in questa direzione avrebbe portato a risultati efficaci e a lungo termine.
DILMA TRA MONDIALI E OLIMPIADI – Altra esponente del PT, famosa per il suo passato da militante e guerrigliera durante la dittatura militare brasiliana, Dilma Rousseff assunse la carica presidenziale nel 2011 e fu rieletta nel 2014. Sebbene Dilma Rousseff avesse promesso il rafforzamento delle politiche ambientali promosse dal suo predecessore, durante la terza fase del PPCDAm (2012-2015) la deforestazione aumentò di circa il 20% raggiungendo il picco nel 2013. La diminuzione degli investimenti, specialmente a supporto di nuove attività produttive sostenibili, e la corruzione, soprattutto quella legata alle grandi opere per i Mondiali 2014 e Rio 2016, sono stati le cause principali di questo fallimento. Infatti, non solo il primo governo Rousseff investì meno di un terzo di quello investito dal secondo governo Lula, ma inoltre nel settembre 2011 approvò il progetto di riforma del Codice Forestale che permise di incrementare la deforestazione a favore delle infrastrutture per i Mondiali. A ciò si aggiunse la costruzione e l’allargamento illegale di collegamenti stradali che portò alla distruzione di argini di fiume e al passaggio all’interno di aree forestali. Per quanto riguarda Rio 2016, 27 ettari di foresta atlantica (habitat di rare specie vegetali e animali) furono distrutti a beneficio delle grandi opere, come l’ampiamento dei collegamenti stradali Elevado do Joá e Transolímpica e la costruzione del campo da golf olimpionico. Ora sembra impossibile poter raggiungere l’obiettivo di diminuire dell’80% la deforestazione entro il 2020 come annunciato da Lula nella 15° Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico a Copenaghen nel 2009.
Fig. 2 – Un’immagine dell’Elevado do Joa’, costruita apposta per le Olimpiadi di Rio
IL NUOVO GOVERNO TEMER – Michel Temer è diventato il nuovo Presidente del Brasile il 31 agosto scorso, giorno della destituzione di Dilma Rousseff dopo il processo di impeachment nei suoi confronti. Esponente del Partito social democratico brasiliano (PSDB) e neoliberista convinto, Temer ha creato un governo di 21 ministri, tra cui neanche una donna e 7 indagati nell’ inchiesta anticorruzione lava jato. Inoltre, considerando il settore ambientale del governo, la situazione sembra controversa. Il nuovo ministro dell’ambiente José Sarney Filho (figlio dell’ex Presidente José Sarney) esponente del Partito verde, il quale si colloca fuori dal nuovo governo e lo ha infatti caldamente invitato a lasciare l’incarico, è sotto inchiesta per riciclaggio di denaro. Per di più, il nuovo ministro dell’agricoltura Maggi Blairo è conosciuto come il “re della soia” ed è sotto inchiesta per deforestazione illegale. Dunque, per quanto riguarda l’ambiente, questi sono i presupposti da cui parte il nuovo governo di Temer, che il 12 settembre scorso ha annunciato la ratifica dell’accordo sul clima di Parigi da parte del Congresso nazionale. Il Brasile è quindi sempre di più sotto pressione internazionale per il rispetto dell’ambiente, come già si era percepito nel 2015 quando la Cancelliera tedesca Angela Merkel invitò Dilma Rousseff ad azzerare la deforestazione illegale entro il 2030 e firmò un accordo per avviare un finanziamento tedesco per appoggiare gli agricoltori amazzoni. Per rispettare gli impegni presi e quindi soddisfare sia il proprio Paese che la scena internazionale, il governo Temer dovrebbe innanzitutto sconfiggere la corruzione e investire in attività produttive sostenibili.
Viola Graldi
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il Brasile è considerato uno dei Paesi più pericolosi al mondo per gli attivisti ambientali. I leader delle popolazioni indigene e gli attivisti hanno sempre denunciato le violenze subite. Solo nella prima parte del 2016, quindi prima dei giochi olimpici, 33 indigeni sono stati uccisi. Per saperne di più clicca qui.[/box]
Foto di copertina di mrthomson Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License