Dal 7 al 18 novembre si terrĂ a Marrakech la ventiduesima Conferenza sul cambiamento climatico degli Stati membri del UNFCCC (United Framework Convention on Climate Change), meglio nota come COP22, ulteriore occasione per rinforzare la risposta globale al problema del cambiamento climatico
COP22 E ACCORDO DI PARIGI, DIECI MESI DOPO – GiĂ durante i negoziati dell’intesa firmata nella capitale francese era stato espresso il favore da parte della quasi totalitĂ degli Stati partecipanti alla conferenza (COP21). Su questa scia, lo scorso 5 ottobre sono state raggiunte le soglie per l’entrata in vigore dell’Accordo, che si è assicurato in questo modo un destino differente rispetto a quello di molte altre convenzioni internazionali in tema di ambiente. I requisiti minimi per l’entrata in vigore consistevano nella ratifica dell’accordo da parte di almeno il 55% degli Stati, che nel dicembre 2015 ne avevano siglato il testo, e nella ratifica di un numero tale di Paesi da rappresentare almeno il 55% delle emissioni di gas a effetto serra mondiali (green house gases). Tuttavia, mentre la prima soglia era stata raggiunta giĂ da mesi, la seconda (e piĂą concreta) condizione per l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi è stata resa possibile solo grazie all’intervento dell’Unione Europea, in prima linea negli sforzi internazionali in tema di cambiamenti climatici. Prima della ratifica dell’UE, infatti, l’Accordo di Parigi era stato adottato solo da 61 Paesi che rappresentavano il 47,79% delle emissioni, ben sette punti percentuali al di sotto della soglia necessaria. Bruxelles, dunque, nell’attesa che gli Stati membri procedessero singolarmente, ha ratificato essa stessa l’accordo, colmando ampiamente il gap che separava dal raggiungimento della percentuale necessaria, essendo l’UE responsabile dell’emissione del 12% dei gas a effetto serra mondiali. Ad oggi i Paesi che hanno depositato lo strumento di ratifica sono 81, autori del 60,44% delle emissioni. In questa lista figurano anche gli Stati Uniti, responsabili del 36,2% delle emissioni globali di biossido di carbonio, e ciò stupisce in quanto gli stessi, sebbene lo abbiano siglato, non hanno mai proceduto alla ratifica del Protocollo di Kyoto sul riscaldamento globale. Anche Cina ed India, altri due colossi dell’inquinamento, hanno assorbito l’intesa e per la prima volta non saranno esonerati dagli obblighi di riduzione delle emissioni, contrariamente a quanto avvenuto prima in considerazione della loro qualitĂ di Paesi in via di sviluppo.
Fig. 1 –  Tra le conseguenze dei cambiamenti climatici c’è l’innalzamento del livello delle acque
COP22, LA VENTIDUESIMA CONFERENZA DELLE PARTI – In seno alla conferenza marocchina non solo si seguirĂ inevitabilmente il percorso iniziato a Parigi, ma si tenterĂ anche di completarlo e di migliorarlo. Gli obiettivi che ci si pone sono diversi: in primo luogo vi è quello di dare concreta attuazione all’Accordo sul Cambiamento Climatico, in secondo luogo, vi è il proposito di implementarlo, aggiungendo obiettivi piĂą ambiziosi. Ciò anche in considerazione dell’ampia discrezionalitĂ lasciata dal patto ai singoli Stati nell’individuazione delle strategie per la riduzione di emissioni, essendo gli stessi unicamente chiamati a “intraprendere e comunicare sforzi ambiziosi”. Proprio per questi motivi secondo alcuni l’incontro di Marrakech riveste un’importanza nettamente maggiore rispetto a quello avvenuto a Parigi un anno fa. Infatti, se Marrakech non avrĂ successo, l’Accordo di Parigi rimarrĂ solo un grande accordo politico, come il Protocollo di Kyoto, e nulla di piĂą. Per rendere veramente effettivo l’impegno degli Stati nella lotta al cambiamento climatico sono necessari altri tipi di azioni.
L’IMPORTANZA DELLA COP 22 –  Innanzitutto, proprio in Marocco, si prepareranno i primi Piani di Azione Climatica, che saranno aggiornati ogni cinque anni, così come previsto dall’Accordo di Parigi. VerrĂ inoltre stabilito come dovrĂ operare detto meccanismo di aggiornamento quinquennale e, cosa di fondamentale importanza, verranno definiti i dettagli dei Piani di Azione Climatica che ogni Stato intende intraprendere. Durante la Conferenza marocchina si cercherĂ di perfezionare i meccanismi di trasparenza per monitorare gli obiettivi e i target posti da ciascun Paese: senza la necessaria trasparenza, non sarĂ possibile comprendere se un Piano di Azione Climatica sia veramente efficace e, in tal caso, non si potrĂ esportarlo negli altri Stati. Si spera, inoltre, che i grandi investitori che hanno partecipato alla ventunesima conferenza sul clima quali osservatori, decidano finalmente, in sede di COP22, di puntare sulle nuove tecnologie, dalle quali non si può prescindere se l’obiettivo è quello di promuovere la crescita economica ed al contempo sostenibile. Ed è questo il vero e proprio spirito di COP22: far sì che, nella lotta al cambiamento climatico, il settore privato ed il settore pubblico combattano assieme.
Fig. 2 –  Fame e povertà sono causati anche dalla progressiva desertificazione
Tutto questo sarĂ stabilito durante il primo incontro (CMA1) tra i Paesi che hanno giĂ provveduto a ratificare l’accordo, tra i quali non figurerĂ l’Italia, che quindi non parteciperĂ al tavolo delle trattative della prima riunione degli Stati in corsa per la riduzione dell’innalzamento delle temperature. Oltre alla CMA1, la Conferenza delle Parti a Marrakech ospiterĂ anche l’incontro degli Stati che sono parte del Protocollo di Kyoto, in gergo CMP, nonchĂ© le sessioni di tre organi sussidiari, che si occupano della risoluzione di problemi tecnici. PiĂą specificatamente, si riuniranno il SBSTA, (The Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice), il cui compito è appunto quello di fornire informazioni e opinioni scientifiche con particolare riguardo al Protocollo di Kyoto, lo SBI (The Subsidiary Body for Implementation), anch’esso riguardante l’implementazione della convenzione firmata a Kyoto e, infine, l’APA, organo ad hoc istituito in preparazione dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi.
LE DIVERSE POSIZIONI  IN SENO ALLA COP22 –  Merita sicuramente un’analisi la posizione degli USA. GiĂ durante un incontro preparatorio in vista di COP22, la delegazione degli Stati Uniti ha tentato di inserire l’appuntamento dello SBI (The Subsidiary Body for Implementation) sotto la voce “Arrangements for Intergovernal Meetings”. Il tentativo non è sfuggito agli Stati in via di sviluppo che prontamente, con il loro intervento, hanno evitato che attraverso questa semplice mossa si potesse distogliere l’attenzione da tematiche importanti quali il climate finance e, soprattutto, i Piani di Azione di Bali, adottati durante la Conferenza di Bali nel 2007. Questi prevedono, infatti, il trasferimento di tecnologie, l’assistenza e l’impegno finanziario da parte dei giganti dell’economia mondiale, tra cui proprio gli USA, nei confronti dei Paesi in via di Sviluppo. Sempre con riferimento agli Stati Uniti ci si chiede, inoltre, in che modo influiranno le elezioni presidenziali sulla politica adottata per COP22. Hillary Clinton ha ribadito l’intento di proseguire sulla strada della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e dell’aumento della resilienza ambientale, contrariamente a Donald Trump, che ha reso dichiarazioni contraddittorie, fino ad annunciare che, in caso di vittoria, vi sarĂ il recesso dall’Accordo di Parigi. Il 3 ottobre 2016, l’Accordo di Parigi è stato ratificato, in occasione del G20, anche dalla Cina che, contestualmente agli Stati Uniti, si è a sua volta impegnata nella lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, gli obiettivi fissati dal patto sul clima si presentano come molto ambiziosi, forse troppo per il dragone. Infatti, la Cina conserva dal 2006 il primato di piĂą grande inquinatore mondiale di gas a effetto serra e non sempre i dati piĂą recenti sulle emissioni risultano di chiara lettura. Basti pensare che da Greenpeace giungono voci di investimenti cinesi in 210 nuove centrali a carbone. Infine, la ratifica, per così dire, congiunta dell’Accordo da parte di USA e Cina, se da una parte rende speranzosi, dall’altra preoccupa. Per un verso i due Paesi hanno annunciato di comune accordo anche la loro cooperazione per l’attuazione del Protocollo di Montreal del 1989, che prevede la riduzione degli idrofluorocarburi e il taglio delle emissioni dovute al trasporto aereo. Dall’altro, non può che destare sospetti il fatto che i due colossi dell’inquinamento, produttori del 40% delle emissioni globali si siano impegnati lo stesso giorno a rispettare i vincoli del patto sul clima.  Mark Terek, CEO di Nature Conservancy, ha osservato, infatti, il loro particolare tempismo nell’annunciare la ratifica poco prima dell’incontro del G20, preceduto pochi giorni prima dall’appello a ratificare da parte di un gruppo di 130 investitori, proprietari di 13 trilioni di titoli, nei confronti dei Paesi del G20.
Fig. 3 – Le emissioni industriali di Usa e Cina sono un flagello per l’ambiente
Merita di essere approfondita anche la posizione dell’Unione Europea post Brexit. La ratifica dell’UE, come giĂ spiegato, ha reso possibile l’entrata in vigore dell’Accordo e gli obiettivi qui previsti sono meno impegnativi di quelli fissati da Bruxelles. Per dirne uno tra tutti, la riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030. Ma dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, non è molto facile predire quali saranno gli effetti in tema di lotta al cambiamento climatico. Il Regno Unito, il secondo produttore in Europa di emissioni, aveva giĂ annunciato alla fine di giugno l’intenzione di alzare il target di riduzione dei gas a effetto serra al 57% entro il 2030 e quindi ben al di sopra delle intenzioni europee. Tuttavia, il distacco da Bruxelles potrebbe non rendere così semplice il compito, in quanto fuori dall’Unione si parla giĂ di un innalzamento dei costi nel mercato dell’energia. Dall’altra parte, anche per l’UE non sarĂ facile portare avanti la propria politica ambientale senza il voto favorevole della Gran Bretagna per contrastare gli Stati dell’Europa orientale. Non resta quindi che aspettare e osservare da lontano e con il fiato sospeso quali saranno i prossimi passi nella guerra al cambiamento climatico.
Michela Leggio
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
Secondo il Climate Report della Fondazione Sviluppo Sostenibile, dopo un calo netto pari al 20% negli anni 1990-2014, l’Italia ha visto un improvviso aumento del 2,5% delle emissioni di gas a effetto serra. Si ritiene che questo sia dovuto non solo ad un aumento del PIL, fatto di per sé positivo, e ad un calo del prezzo del petrolio e del gas, ma anche ad un rallentamento della crescita delle fonti energetiche rinnovabili, la cui crescita è diminuita dal 43% al 38% tra il 2014 e il 2015. Di questo passo l’Italia sembrerebbe essere davvero molto lontana dagli obiettivi europei fissati per il 2030. [/box]
Foto di copertina di UNclimatechange Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License