La morte di Fidel Castro porta ad analizzare la sua importanza nella storia dei Caraibi e dell’America Latina, il mito creatosi e le numerose violazioni dei diritti umani da lui perpetrate
Con Fidel Castro se ne va l’ultimo simbolo di un’epoca che non c’è più. L’ultimo emblema del ‘900 si è spento venerdì a 90 anni di età. Era lontano dalla ribalta pubblica dal 2006, quando a causa di problemi di salute nominò suo fratello Raul, più giovane di cinque anni, presidente. Il lider maximo aveva previsto tutto e provveduto ad una successione “morbida”. Fidel Alejandro Castro Ruiz, terzo di sette fratelli, nasce da madre cubana e padre immigrato dalla Spagna, un latifondista crudele con i suoi sottoposti. Educato in scuole gestite dai Gesuiti, si laureò in legge all’Avana nel 1950. Dopo il colpo di stato del generale Batista, organizzò un assalto armato alla caserma della Moncada il 26 luglio 1953. Più di ottanta tra gli assalitori vennero uccisi e Castro fu fatto prigioniero e condannato a quindici anni di carcere. Rilasciato grazie a un’amnistia generale nel maggio 1955, andò in esilio in Messico e negli Stati Uniti. Ritornò in patria clandestinamente, navigando dal Messico a Cuba su una piccola imbarcazione, il Granma (diventato poi il nome dell’organo ufficiale di stampa). La prima azione del gruppo, che volle chiamarsi il Movimento 26 luglio, si svolse nella provincia di Oriente nel dicembre 1956. Dodici dei suoi uomini sopravvissero e dalle montagne iniziarono la guerriglia contro il governo Batista. I sopravvissuti comprendevano Che Guevara, Raul Castro e Camilo Cienfuegos. Il Movimento si guadagnò a poco a poco il sostegno popolare. Nel maggio 1958 Batista lanciò diciassette battaglioni contro Castro nell’Operazione Verano. Nonostante lo svantaggio numerico, le forze ribelli misero a segno una serie di vittorie, aiutate dalla massiccia diserzione all’interno dell’esercito di Batista, che all’inizio del 1959 lasciò il Paese, mentre le forze di Castro occupavano L’Avana. Inizialmente gli Stati Uniti riconobbero il nuovo Governo, ma gli attriti con Washington si svilupparono ben presto, quando Castro cominciò a espropriare le proprietà delle principali società statunitensi a Cuba (la United Fruit in particolare). Ormai sulla lista nera della CIA, la vita si fece difficile. Castro è sopravvissuto a quasi 60 ani di embargo economico, a svariati tentativi di assassinio e alla crisi missilistica del 1962, quando il mondo dei blocchi contrapposti rischiò di scontrarsi davvero. Eliminando brutalmente l’opposizione interna, Castro riuscì a silenziare ogni voce contraria, almeno fino all’avvento della generazione social che cominciò a raccogliere sostegno nel mondo grazie ai nuovi strumenti informatici. Yoani Sanchez ne è l’esponente forse più conosciuto in occidente. Icona dei movimenti anti-imperialisti, Castro resta ancora oggi molto popolare nel sud del mondo, dove viene identificato con l’era delle lotte rivoluzionarie contro le potenze coloniali occidentali. Ma è anche responsabile di repressioni sanguinose e dello sterminio di intellettuali e omosessuali cubani, oltre ad aver provocato la diaspora di almeno due generazioni di compatrioti. È vero che è risuscito a sviluppare un’economia autarchica e che resistere a questo embargo è stato un autentico miracolo politico, ma il popolo cubano pagherà la sua ortodossia comunista ancora per parecchio tempo. La recente apertura di Raul all’occidente ricorda la fine del regime in Russia. Vedremo come finirà.
Andrea Martire, Simone Pelizza
Foto di copertina di “Carolonline” Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-ShareAlike License