Dopo i controversi avvenimenti degli ultimi due anni, due rinvii ed una campagna elettorale al vetriolo, finalmente si è votato nel Paese balcanico: ha prevalso, di misura, la VMRO di Gruevski. Tuttavia Skopje rischia di rimanere impantanata in una nuova fase di stallo
LA CRISI E L’ACCORDO DI PRZINO – Le elezioni tenutesi domenica 11 dicembre in Macedonia hanno chiuso, almeno formalmente, un lungo capitolo a tinte fosche per il Paese e le sue istituzioni: un biennio di tensioni politiche che hanno messo a dura prova il fragile equilibrio su cui si fonda la vita democratica della Repubblica sorta dalla dissoluzione della Jugoslavia. La prima fase di tale crisi nasce dallo scontro frontale tra le due principali formazioni partitiche del Paese. Nel gennaio del 2015, infatti, la maggiore forza d’opposizione, la SDSM (Unione Socialdemocratica di Macedonia), ha accusato Nikola Gruevski, Primo Ministro dal 2006 ed esponente della VMRO-DPMNE, di avere ordito un sistema capillare di intercettazioni illegali che, nell’arco di quattro anni, avrebbero coinvolto almeno 20.000 cittadini macedoni ignari. Una frattura politica che ha polarizzato attorno ai due schieramenti gran parte della società civile del Paese: Zoran Zaev, leader socialdemocratico, si è fatto promotore dell’organizzazione di una rete civica, Protestiram, che ha animato numerose manifestazioni di dissenso a Skopje e nelle principali altre città . Parimenti, un nutrito numero di cittadini è sceso in piazza in difesa del Primo Ministro Gruevski, il quale si è appellato più volte alla tutela dell’unità nazionale e alla necessità di compattezza della Macedonia contro gli attacchi al Governo, ritenuti strumentali e finalizzati a frammentare il Paese. La spaccatura si è acuita ulteriormente nella primavera del 2015 a seguito del boicottaggio della SDSM nei confronti del Parlamento macedone, iniziativa che ha convinto le istituzioni dell’Unione Europea ad intervenire direttamente per ristabilire le condizioni minime di convivenza politica nel territorio.
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Fig. 1 – L’ex Primo Ministro Nikola Gruevski al voto a Skopje, 11 dicembre 2016
Con il raggiungimento dell’accordo di Pržino nel luglio 2015, facilitato dal monitoraggio attivo del Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, Johannes Hahn, si è aperta, invece, la seconda fase della crisi. Questa, suggellata nel gennaio del 2016 dalle dimissioni concordate di Gruevski, ha visto entrare in auge un Governo tecnico, sempre a guida VMRO, ma caratterizzato da un singolare controllo bipartisan dei Ministeri del Paese. Emil Dimitriev, segretario generale del Partito di maggioranza, è divenuto Primo Ministro, mentre i due partiti antagonisti si sono divisi il controllo di Ministeri e sottosegretariati. Questo assetto avrebbe dovuto traghettare il Paese solo per pochi mesi, ma dopo due rinvii delle elezioni, si è ritenuto necessario addivenire ad un agreement volto a regolamentare in maniera stringente e puntuale le norme di base per una campagna elettorale priva di colpi sotto la cintura e sufficientemente gradita all’Unione Europea ed agli innumerevoli organi di monitoraggio internazionali giunti sul territorio macedone.
ELEZIONI E NUOVE INCERTEZZE – A dispetto della rilevanza dello scandalo e del clamore causato dal successivo passo indietro di Gruevski, gli ultimi sondaggi resi noti prima del silenzio elettorale prevedevano un consenso netto e consolidato per la VMRO, con una forbice tra il 6-8% di vantaggio sui socialdemocratici. La smentita di tali dati è giunta dalle urne, dalle quali ad ogni modo è emerso una situazione piuttosto nebulosa e che ad oggi lascerebbe presagire l’apertura di un nuovo capitolo di tensioni e asperitĂ . Nella notte tra l’11 e il 12 dicembre tanto la VMRO quanto la SDSM si sono proclamate vincitrici delle elezioni, pur ammettendo ambedue di trovarsi di fronte ad una situazione di esiguo vantaggio rispetto all’avversario. I risultati ufficiali sono giunti solo la sera del 12, quando la DIK (Commissione Elettorale Centrale della Macedonia) ha comunicato la lieve prevalenza della VMRO che, con il 38% dei suffragi otterrebbe 51 deputati contro i 49 dei socialdemocratici, fermi a il 36,7%, con i restanti 20 seggi assegnati a quattro partiti espressione della minoranza albanese. A pagare il prezzo maggiore per le controversie che hanno coinvolto l’ex Primo Ministro sembrerebbe essere stato proprio l’alleato minoritario filo-albanese. Partner fedele della compagine di Gruevski sin dal 2008, la DUI (Unione Democratica per l’Integrazione), guidata da Ali Ahmeti, è uscita fortemente ridimensionata dalla competizione, passando da 19 a 10 seggi, risultato di un crollo di consensi pari al 7,3% contro il 13,7% del 2014.
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Fig. 2 – Bandiere macedoni ed albanesi durante una manifestazione anti-governativa a Skopje, 17 maggio 2015
QUALE FUTURO PER LA MACEDONIA – Un’analisi limitata alla dimensione meramente algebrica lascerebbe presagire la conferma dell’alleanza VMRO-DUI, per un sostegno all’esecutivo sul filo di lana: 61 seggi contro 59 in mano alle opposizioni. Stanti le conseguenze politiche pagate dal Partito di Ahmeti, la formazione di una simile maggioranza, ancorché labile e precaria, appare tutt’altro che scontata. Ancor meno probabile la possibilità di giungere ad un accordo che faccia subentrare nella maggioranza le altre tre formazioni albanesi, titolari degli ultimi 10 seggi rimanenti: troppo distanti tra di loro e, soprattutto, decisamente avverse alle politiche della VMRO per poter ipotizzare anche solo delle trattative concrete. La reazione di Nikola Gruevski ed i suoi dopo il responso ufficiale delle urne appare oltremodo sintomatica della situazione in cui riversa il Paese: dopo tre giorni di proteste da parte dei supporter della VMRO di fronte alla sede della DIK, il leader ed ex Primo Ministro è intervenuto sabato 17 dicembre ad arringare la folla, accusando la Commissione elettorale di scarsa indipendenza e denunciando gli accordi di Przino quali causa scatenante di una crescente ingerenza di Paesi stranieri negli affari domestici della Macedonia. Implicito il riferimento all’Ambasciatore statunitense a Skopje, Jess Bayley, principale bersaglio delle contestazioni dei suoi seguaci scesi in piazza.
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Fig. 3 – Il leader della SDSM Zoran Zaev tra i suoi sostenitori dopo la chiusura dei seggi, 11 dicembre 2016
Difficile, in una situazione simile, azzardare previsioni su ipotesi alternative in grado di far uscire il Paese dall’impasse. Se la possibilitĂ di formare una maggioranza stabile è complessa per la VMRO, lo è ancor di piĂą per il partito di Zaev. I socialdemocratici hanno registrato il miglior risultato elettorale dai tempi della debacle del 2006 e, rispetto alle ultime elezioni hanno guadagnato 15 seggi, ma le condizioni per una coalizione che coinvolga tutti i partiti filo-albanesi non sono affatto realistiche: nei giorni seguenti l’esito delle urne, la dirigenza della SDSM ha rivolto le proprie risorse soprattutto per formulare ricorsi contro la commissione elettorale, piuttosto che per intavolare trattative post-voto. Resterebbe, in caso di fallimento totale di ogni altra ipotesi, la strada meno auspicabile: il conseguimento di un nuovo patto istituzionale, presumibilmente di nuovo sotto il monitoraggio dell’Unione Europea, per la formazione di un nuovo Governo di larghe intese che, ancora una volta, possa guidare il Paese in vista di un’altra tornata elettorale.
Riccardo Monaco
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
La Macedonia ha ottenuto, nel dicembre del 2005, lo status di Paese candidato a divenire membro dell’Unione Europea. Tuttavia ben pochi progressi sono stati fatti in tale direzione durante il decennio a guida Gruevski. L’immobilismo istituzionale degli ultimi 24 mesi, in particolare, ha pesato sulla vita internazionale di Skopje. Attualmente non è stato ancora aperto nessuno dei 35 capitoli necessari per ottenere l’acquis comunitario e la disputa con la Grecia relativamente al nome ufficiale del Paese è ancora aperta. La tensione tra i due Stati si riflette, oltretutto, anche nella questione dell’eventuale ingresso della Macedonia nella NATO, su cui tutt’ora pesa il veto espresso da Atene a margine del summit di Bucarest del 2008. [/box]
Foto di copertina di MLazarevski Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-NoDerivs License