In 3 Sorsi – Spinti dalla crisi economica sempre più venezuelani sono costretti a lavorare nelle miniere dell’Orinoco, terra di schiavitù, malaria e dei guerriglieri colombiani.
1. IL PIANO DI MADURO
Avvelenamento da mercurio, schiavitù e desplazamiento forzado. Sono questi i tre elementi che compongono l’inferno delle miniere clandestine dell’Arco Minero dell’Orinoco, nello Stato Bolivar del Venezuela. Barbarie perpetrate da numerosi gruppi irregolari con la complicità del Governo di Nicolas Maduro.
Ed è proprio nel Palazzo Miraflores di Caracas che nel 2016 era stato approvato il progetto di creazione del Parco minerario dell’Orinoco, una gigantesca riserva di 16mila chilometri quadrati situata a sud del Paese dov’è possibile estrarre oro, coltan, bauxite, diamanti e quarzo. Sfruttare quelle risorse avrebbe consentito al Venezuela di rimpinguare le casse statali dando una boccata d’ossigeno al Paese che dal 2013 sta attraverso una delle più gravi crisi umanitarie del secolo.
Il Governo di Maduro non riuscirà mai a completare il processo di nazionalizzazione. Molte miniere verranno così occupate dai Sindicatos mineros, gruppi irregolari venezuelani che controllano con terrore e violenze le zone di estrazione dell’oro. I pesci piccoli hanno in breve tempo attirato gli squali.
Fig. 1 – Minatori venezuelani in un pueblos mineros dell’Arco minero dell’Orinoco
2. IL RUOLO DELLA GUERRIGLIA COLOMBIANA
Dopo gli accordi di pace firmati all’Avana nel settembre del 2016 tra il Governo di Bogotà e le FARC la maggior parte dei gruppi guerriglieri colombiani sono scappati in Venezuela. Non solo i più fidati uomini del jefe Ivan Marquez, ma anche i capi dell’ELN e gli esponenti delle 180 fazioni di paramilitari sciolte per decreto dal Presidente Uribe Velez, i quali sono quasi tutti entrati a far parte del Clan del Golfo. Per continuare la propria guerra contro lo Stato colombiano questi gruppi hanno trovato rifugio nello Stato Apure, Zulia, Tàchira e Amazonas del Venezuela. Pensando di poter servirsi a proprio piacimento di questi gruppi, il Presidente Nicolas Maduro ha dato il compito alla guerriglia colombiana di prendere il controllo delle miniere dell’Arco Minero dell’Orinoco. Parte della popolazione venezuelana è stata così cacciata con le armi dai propri luoghi d’origine consentendo ai paramilitari e ai guerriglieri di creare nuovi pueblos mineros, cioè piccoli paesi la cui economia è basata interamente sullo sfruttamento delle miniere. Stiamo parlando di insediamenti come El Dorado, El Callao e Sifontes nello Stato Bolivar del Venezuela. Luoghi dove la differenza tra schiavitù e sfruttamento è appena percettibile.
Gli uomini vengono utilizzati in tutto il procedimento di estrazione mentre le donne si dedicano alla preparazione del rancio e alla cura dell’accampamento. Le meno fortunate invece sono costrette a prostituirsi nelle currutelas, una sorta di case chiuse nelle quali sono obbligate ad avere rapporti sessuali con i minatori. La retribuzione corrisponde a pochi grammi d’oro al giorno, una cifra bassissima. ma per la maggior parte dei venezuelani significa poter mettere un piatto di riso e fagioli in tavola.
Uno dei rischi principali ai quali si espongono gli abitanti dei pueblos mineros è la contaminazione da mercurio, un metallo impiegato per separare l’oro dalla terra nel minor tempo possibile. Durante il suo utilizzo il 75% evapora, intossicando persone e animali nelle vicinanze, mentre la parte rimanente cade al suolo, inquinando la terra e la falda acquifera.
Fig. 2 – Guerriglieri dell’ELN nello Stato Apure del Venezuela. Secondo la Fiscalia di Bogotà, loro controllerebbero il traffico di coltan nella frontiera con la Colombia
3. LA PANDEMIA NELLE RISERVE INDIGENE
Chi paga il costo più alto dello sfruttamento minerario sono le comunità indios situate in prossimità delle miniere. Molte sono state costrette dai guerriglieri a fare le valigie e a scappare in Colombia e Brasile, mentre altri villaggi hanno deciso di restare esponendosi alla sicura contaminazione da mercurio. Rischio al quale, secondo studi condotti su queste popolazioni dalle principali università del Paese (de Oriente, Simon Bolivar e Central de Venezuela) sarebbero più esposte le donne, poiché adempiendo alle faccende domestiche risultano maggiormente a contatto con le acque dei fiumi.
Oltre all’intossicazione da metalli pesanti e alla malaria (che tocca livelli record nei pueblos mineros dello Stato Bolivar) c’è anche il rischio di contrarre la Covid-19. Già nella frontiera con la Roraima, a luglio del 2020, i popoli indigeni Yanomami e Ye’kuana denunciarono l’arrivo di 20mila garimpeiros, i cercatori d’oro irregolari, i quali erano sospettati di avere diffuso il coronavirus in decine di comunità indigene. Villaggi che in precedenza non avevano ancora registrato il primo caso di infezione. Così mentre gli indios scappano dal Venezuela la guerriglia colombiana consolida la propria l’influenza nel Paese, l’alleato di cui Maduro ha bisogno per preservare il proprio regime.
Mattia Fossati
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