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Hollande dice addio all’Africa

François Hollande dice addio all’impegno in Africa durante il summit Africa-Francia, svoltosi il 13 e 14 gennaio a Bamako, capitale del Mali. La sua politica in Africa è stata caratterizzata da interventi militari in nome della lotta al terrorismo islamico. Molte però le polemiche e le accuse di ingerenza sulle questioni africane

IL SUMMIT AFRICA-FRANCIA — Il Presidente francese François Hollande non poteva scegliere evento più carico di significato del ventisettesimo summit Africa-Francia come sua ultima visita ufficiale in Africa. Hollande, che non si ricandiderà alle elezioni Presidenziali che si terranno questa primavera, ha deciso di chiudere il suo impegno nel continente nero così come lo ha iniziato: a Bamako, capitale del Mali, in un incontro dove si è discusso di partnership, pace ed emergenza. Quattro anni prima, sempre a gennaio, Hollande apriva la sua politica africana con un’operazione militare denominata Operation Serval con la quale rispondeva unilateralmente alle richieste di aiuto del governo di Bamako destabilizzato dalla presenza di gruppi armati islamici nel nord del Paese.

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Fig. 1 – Il Presidente francese François Hollande, accompagnato dal colonnello Patrick Secq, incontra i soldati del 126° reggimento della fanteria Brive-la-Gaillarde, che hanno preso parte all’Operazione SERVAL in Mali, giugno 2013 

Ora che la sua amministrazione sta per giungere al termine è tempo di bilanci per il Presidente socialista: molte sono le critiche che gli sono state mosse sia per la sua politica interna che per quella estera portandolo ad avere in patria uno dei più bassi indici di gradimento degli ultimi anni. Per quanto riguarda la sua politica estera in Africa, che si è caratterizzata per il suo interventismo militare in nome della lotta internazionale al terrorismo, è inevitabile interrogarsi sulla legittimità di questi interventi e sul peso che hanno avuto e avranno nei prossimi anni sulle dinamiche interne dei Paesi coinvolti.

LA FINE DELLA FRANÇAFRIQUE? — Un presidente francese non può non fare i conti con il peso del legame storico e culturale che la Francia condivide con i Paesi africani. Hollande, così come il suo predecessore Sarkozy, ha tentato di prendere una posizione netta nelle relazioni con le ex-colonie dichiarando la fine della “Françafrique”. Con questo termine vengono indicate le relazioni personalistiche, fuori dai canali ufficiali e clientelari, tra i dirigenti francesi e quelli africani che hanno dominato la costruzione delle politiche tra questi Stati in uno stretto rapporto di stampo coloniale e neo-coloniale. Ma se il tentativo di Sarkozy si è presto rivelato maldestro — ne sono un esempio le disastrose dichiarazioni dell’ex-Presidente a Dakar quando ha affermato che l’Africa fosse “fuori dalla storia” provocando le ire del mondo intellettuale africano — e fallimentare, dopo l’intervento in Libia, l’operato di Hollande sembra aver compiuto dei passi importanti verso la normalizzazione delle relazioni con questi Paesi. Lo sforzo maggiore del governo di Hollande si può vedere nel tentativo di formalizzare le relazioni diplomatiche utilizzando solo canali ufficiali e nell’impegno a rompere con le decisioni unilaterali e cercare un ampio consenso dei leader africani. È questo il caso dell’operazione militare in Mali: prima di intervenire nel Paese, infatti, Hollande ha chiesto l’opinione di alcuni influenti leader del continente tra cui anche il Presidente del Sudafrica Zuma e quello dell’Algeria Bouteflika.

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Fig. 2 – Hollande incontra il Presidente sudafricano Jacob Zuma al Palazzo Eliseo, luglio 2016

Ma come si può conciliare questa retorica di rottura con il passato con la massiccia e ingombrante presenza francese nel territori dell’Africa occidentale? L’operazione Serval, poi sostituita con la più vasta operazione Barkhane, e l’operazione Sangaris nella Repubblica Centroafricana, vengono lette da alcuni come il tentativo di saldare il legale asimmetrico tra la Francia e le ex-colonie in un periodo in cui le relazioni di queste ultime vanno sempre più diversificandosi.

LA NARRAZIONE FRANCESE — Che i territori africani siano ancora un tassello fondamentale per la Francia è più che evidente. Vecchie e nuove opportunità rendono essenziale per la Francia cercare di sfruttare il vantaggio che ha sulle altre potenze mondiali, tra cui Cina, Turchia e India, per mantenere la sua presenza nel continente. Questi Stati, infatti, continuano ad attrarre per le loro risorse naturali – e in tal senso resta particolarmente strategica l’importazione di uranio dal Niger – oltre che per le opportunità date dai loro mercati in crescita. Da non sottovalutare è inoltre il peso della diaspora africana sul territorio francese, così come dei numerosi lavoratori francesi che risiedono nei Paesi del continente nero, la cui opinione può rivelarsi fondamentale in periodo elettorale.

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Fig. 3 – Hollande in compagnia del presidente senegalese Macky Sal e del Presidente della Guinea Equatoriale Obiang Nguema Mbasogo al 15° summit dell’International Organization of French Speakers, nel novembre 2014 a Dakar 

Ma probabilmente ad avere un peso decisivo sull’interesse della Francia per il continente africano è il ruolo che queste relazioni hanno sull’immagine stessa della nazione francese. Per la Francia resta fondamentale essere ancora il primo interlocutore per le ex-colonie in tempo di crisi, e questo elemento deve essere considerato quando si analizza l’intervento di Hollande in Mali. Resta inoltre centrale la “grande narrazione dove la fragilità degli Stati africani minaccia l’equilibrio globale e l’intervento francese offre una via di uscita da questa costante instabilità. In una lettura che troppo spesso sottovaluta gli elementi locali dei conflitti, finiscono per presentarsi nuovamente le contraddizioni dalla politica post-coloniale francese che legittimava regimi fragili e autoritari in nome di interessi nazionali (francesi) e di un presunto equilibrio sistemico.

GLI INTERVENTI MILITARI — L’11 gennaio 2012 Hollande annunciò l’inizio dell’operazione Serval. L’intervento militare fu accolto da un generale clima favorevole della comunità internazionale e appariva legittimato dalla richiesta di supporto del governo maliano e dalla risoluzione ONU che aveva autorizzato un intervento internazionale a sostegno del Mali. Nonostante il successo della missione per quanto riguarda i suoi obiettivi di breve pericolo, ovvero fermare l’avanzata degli estremisti islamici verso il sud del Paese, secondo diversi osservatori l’intervento non ha posto le basi per un reale processo di pace. Secondo l’International Crisis Group, l’enfasi sulla necessità di stabilizzare politicamente il Paese, fino a spingere per un processo di pace “formale” accelerato, ha finito per soffocare le reali richieste di cambiamento e il mal contento dei cittadini maliani e per legittimare forze politiche che non hanno un reale consenso diffuso sul territorio. L’intervento francese è stato infatti contemporaneo a una grande manifestazione contraria al governo transitorio che quindi non ha avuto il tempo di prendere forma e portare a un reale proposta di cambiamento.

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Fig. 4 – Hollande tiene un discorso alla presenza del Primo Ministro maliano Modibo Keita e del ministro della difesa Jean-Yves Le Drian, rivolgendosi alle truppe impegnate a contrastare il terrorismo tramite l’operazione Barkhane, nella regione di Gao, nel Sahel, il 13 gennaio 2017

Ma le contraddizioni della politica militare di Hollande non si sono esaurite con l’intervento in Mali: dal 1 agosto del 2014 il governo francese ha riorganizzato la sua presenza nell’area attraverso una nuova operazione, Operation Barkhane, che ha portato più di 3500 soldati in una zona compresa tra il Burkina Faso, il Ciad, il Mali, la Mauritania e il Niger con il compito di supportare e coordinare le truppe locali in uno sforzo comune per frenare l’avanzata dei gruppi terroristici. Particolarmente controversa è l’alleanza con Idriss Déby, Presidente del Ciad dal 1990 e il cui governo si è da sempre caratterizzato per la corruzione e la violazione dei diritti umani. Hollande è quindi criticato di legittimare ancora una volta un governo fragile e autoritario ripercorrendo quindi strade già percorse in passato dalla Francia e che hanno contribuito a destabilizzare territori già dai difficili equilibri.

Marcella Esposito

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Qui un interessante report dell’Institut français des relations internationales sull’argomento.[/box]

Foto di copertina di STUDIOTOBAGO rilasciata con licenza Attribution-NoDerivs License

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Marcella Esposito
Marcella Esposito

Laureata in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa, da anni mi occupo dello studio della situazione socio-politica in Africa Orientale e in particolare della Tanzania, paese che amo e che ho potuto conoscere in profondità grazie ai miei viaggi e alla conoscenza della sua splendida lingua, il swahili. Mi interesso di governance urbana, informalità e sviluppo locale, ma anche di come identità di genere, razza e classe si interfacciano nel contesto dell’Africa sub-sahariana. Per il Caffè Geopolitico mi occupo di Africa Meridionale.

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