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Accordo UE – Afghanistan: rimpatri forzati in cambio di soldi e (forse) sviluppo

Dopo i siriani, gli afghani costituiscono il secondo più grande gruppo di richiedenti asilo in Europa. Nonostante ciò, il tasso di riconoscimento delle loro domande di protezione internazionale varia da Paese a Paese, e le autorità europee hanno di recente siglato un accordo di base con il Governo di Kabul per il rimpatrio di coloro a cui viene negato il diritto di asilo. Ma l’Afghanistan è davvero uno Stato sicuro per ospitare queste persone?

EXCURSUS STORICO SULL’AFGHANISTAN –  Alla metà degli anni Novanta i talebani  assunsero il controllo di buona parte dell’Afghanistan, imponendo la legge islamica sulla popolazione (la shari’a) e ponendosi come unica autorità in grado di garantire la sicurezza, il rispetto dell’ordine pubblico e la continuità dei commerci. Dopo aver conquistato Kabul nel 1996, essi riuscirono anche ad ottenere il riconoscimento da parte della comunità internazionale. Potente e numeroso, il gruppo guidato dal mullah Omar strinse alleanza con Al-Qaeda – principalmente per poter ricevere risorse belliche adeguate contro i propri nemici. Tuttavia, dopo gli  attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001,  esso venne considerato dai Paesi occidentali come sponsor del terrorismo fondamentalista e dovette combattere una coalizione militare internazionale a guida USA, alleata con le tribù dell’Alleanza del Nord. Oggi, dopo circa quindici anni di guerra, i talebani sono ancora una presenza fissa del panorama politico locale e sembra che sia impossibile pacificare l’Afghanistan senza combattere. La sicurezza, che rappresenta la priorità fondamentale del diritto internazionale, è difficile da garantire. La popolazione afghana, ormai provata dalle gravi vicissitudini che coinvolgono il suo Paese da oltre vent’anni, non ha ancora trovato la pace e la sicurezza che ogni popolazione merita di avere. Per queste ragioni, sembra certo il rientro delle forze internazionali per sostenere un esercito afghano che non riesce a fronteggiare tutti i focolai di combattimenti presenti sul proprio territorio nazionale.

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Fig. 1 – Manifestazione di protesta in Danimarca contro il rimpatrio forzato dei rifugiati afghani, febbraio 2017

IL JOINT WAY FORWARD AGREEMENT –  Il 5 ottobre 2016 è stato firmato un accordo di base tra la UE e il Governo afghano per rimpatriare i profughi a cui è stato negato il diritto d’asilo nei Paesi dell’Unione. Tale accordo, che rappresenta solo un primo passo verso una maggiore cooperazione bilaterale sul tema dei rifugiati, è stato siglato a margine della contemporanea conferenza di Bruxelles sull’Afghanistan, dove 75 nazioni e 26 organizzazioni internazionali si sono impegnate collettivamente a consolidare la pace, la sicurezza, lo sviluppo sostenibile e la prosperità nel Paese centro-asiatico. Come previsto dalle disposizioni generali del documento, agli Stati membri della UE sarà consentito “rimpatriare, riammettere o reintegrare” in via obbligatoria un numero illimitato di afghani nel loro Paese d’origine, indipendentemente dal loro rifiuto di rientrare in patria volontariamente. Il Governo afghano, dal canto suo, si impegnerà ad emettere passaporti validi per i profughi che devono essere rimpatriati dall’UE entro un mese e si adopererà ad aprire addirittura un terminal all’aeroporto di Kabul dedicato esclusivamente ai rimpatriati. Il patto prevede un massimo di cinquanta deportati non volontari per volo charter durante i primi sei mesi dall’entrata in vigore dell’intesa, mentre non si porranno limiti al numero di voli giornalieri che potranno partire dai Paesi dell’Unione Europea. I partecipanti si sono impegnati ad assicurare la continuità del sostegno politico e finanziario internazionale a favore dell’Afghanistan nei prossimi quattro anni. L’UE e i suoi Stati membri si sono impegnati per un importo pari a 5,6 miliardi di Euro che consentiranno al Governo di Ashraf Ghani di tirare un sospiro di sollievo. Si potrebbe pensare ad un nesso del tipo “niente rimpatri, niente aiuti”, ma l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea Federica Mogherini ha cercato di smentire tale assioma: “Non c’è mai, mai un legame di condizionalità tra i nostri aiuti allo sviluppo e qualunque cosa facciamo sull’immigrazione”. Il Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier (ora Presidente del suo Paese) ha asserito invece che l’appoggio finanziario tedesco è condizionato a dei risultati tangibili sul programma di riforme del Governo afghano, ad esempio nella lotta alla corruzione e nella limitazione del fenomeno migratorio. Le parti interessate regionali e la comunità internazionale hanno inoltre ribadito il proprio impegno a favore di un processo politico finalizzato alla riconciliazione e a una pace duratura. Alla Conferenza stampa conclusiva dell’accordo, lo stesso Ashraf Ghani ha dichiarato: “È stata fatta una promessa. Sarà messa in atto a livello di bilancio e finanziamenti, e poi di programmi e progetti. È una promessa ai poveri, ai giovani, alle donne, agli esclusi, che saranno cittadini di uno Stato in cui ameranno vivere e prosperare”.

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Fig. 2 – Il Presidente Ashraf Ghani durante la recente conferenza internazionale di Bruxelles sull’Afghanistan, ottobre 2016

I RIFUGIATI AFGHANI E IL CASO DEL PAKISTAN – Le autorità europee hanno deciso di stipulare l’accordo con Kabul per seguire in parte le iniziative di altri Paesi, tra cui il Pakistan, ma anche per assicurarsi che l’Afghanistan ottenga gli aiuti necessari affinché riesca a far fronte a una situazione a dir poco precaria dal punto di vista economico e della sicurezza. Nel frattempo il Primo Ministro del Pakistan, Nawaz Sharif, ha deciso di estendere il diritto legale dei rifugiati afghani di restare nel suo Paese sino alla fine del 2017, dopo avere inizialmente previsto una sua revoca alla fine di questo mese. Inizialmente questo diritto veniva garantito su base annuale, ma a partire dal dicembre 2016 la durata del suo rinnovo è stata ridotta a pochi mesi dal Governo di Islamabad. Le ragioni sono molteplici, ma la principale sembra essere la sicurezza. Molti ufficiali pakistani hanno infatti dichiarato che all’interno del loro Paese vi sono circa un milione di rifugiati afghani non registrati e hanno giustificato la loro decisione con la “necessità di contrastare i terroristi” che si nasconderebbero tra di essi. A rafforzare queste dichiarazioni è stato poi il portavoce dell’Esercito, che ha annunciato l’arresto di ben 309 persone per sospetti legami terroristici.
Queste azioni delle autorità pakistane sono state pesantemente criticate da Saroop Ijaz, ricercatore di Human Rights Watch in Afghanistan: “Queste persone sono venute in Pakistan per scappare dalla guerra. È importante definire e separare le categorie di migranti economici e rifugiati, sono classificazioni serie, che non possono essere fatte alla leggera, non possono essere improvvisate. Per questo, se si vuole neutralizzare la questione della mancanza di fondi, la comunità internazionale dovrà fortemente ampliare le risorse che concede al Pakistan possibilmente legando lo stanziamento di questi fondi alla ratifica di accordi internazionali che garantiscano il rispetto dei diritti dei rifugiati afgani”.

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Fig. 3 – Rifugiati afghani davanti alla loro casa nella periferia di Islamabad. Nel 2016 oltre 600mila afghani hanno lasciato il Pakistan per tornare in patria, spesso dopo pesanti pressioni da parte delle autorità pakistane

Ijaz ha anche ricordato che lo Stato pakistano non ha mai firmato il Protocollo di New York del 1967 e la Convenzione ONU del 1951, per questo motivo lo Stato non ha l’obbligo di riconoscere e tutelare lo status di rifugiato .  Come se ciò non bastasse, nel mese di agosto sono stati arrestati 106 studenti afghani che, attraverso un provvedimento di espulsione, sono stati immediatamente rimpatriati. Clamoroso è stato anche il caso di Sharbat Gula, protagonista di una famosa cover del National Geographic sui rifugiati afghani realizzata nel 1984 dal fotografo Steve McCurry. La donna, con la speranza di ottenere una vita migliore, aveva utilizzato una carta d’identità falsa nell’aprile 2014, dichiarando di essere nata in Pakistan e di chiamarsi Sharbat Bibi. Alla fine del febbraio 2015, i documenti ottenuti da Sharbat vennero  annullati perché ritenuti falsi e successivamente la donna venne arrestata  a Peshawar dalla polizia pakistana. Secondo un’inchiesta della BBC sono centinaia di migliaia gli afghani residenti in Pakistan da decenni dopo essere fuggiti dal loro Paese durante l’invasione sovietica del ’79. Ora queste persone vengono costrette a lasciare quella che alcuni considerano la loro terra d’origine. Deportazioni e rimpatri forzati dei nazionali afghani sono infatti in aumento in tutto il Pakistan. Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e dell’Organizzazione Internazionale della Migrazione (IOM), più di 600mila rifugiati afghani hanno abbandonato il Pakistan per rientrare in patria, vittime di violenze da parte delle forze dell’ordine e di restrizioni severe lungo il confine del nord-ovest pakistano con l’Afghanistan. Inoltre le deportazioni hanno coinvolto circa 22559 persone nel solo 2016. In aggiunta a ciò,  il Governo pakistano ha smesso di rilasciare nuove “Proof of  Registration cards”, ovvero i documenti sostitutivi al permesso di soggiorno detenuti dai cittadini afghani sul territorio nazionale. Gli afghani non registrati in Pakistan ricevono aiuti solo per un mese alla frontiera di Trokham, mentre quelli con i documenti “regolari” sono invece incentivati a tornare volontariamente con una borsa di rimpatrio di 400 dollari ciascuno. Donazione che, nella regione è distribuita nel centro di Samarkhel, gestito dall’UNHCR.

Claudia D’Aprile

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””] Un chicco in più

Nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati, esiste un principio detto di non refoulement (non respingimento) che afferma che al rifugiato non può essere impedito l’ingresso su un territorio e che il medesimo rifugiato deve essere trasferito in territori in cui la sua vita sarebbe minacciata. Il divieto di refoulement tra l’altro viene applicato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo indipendentemente dal fatto che alla persona venga riconosciuto o meno lo stato di rifugiato. Si tratta principalmente di un divieto di qualsiasi forma di allontanamento forzato verso un Paese non sicuro. Nonostante ciò, l’Unione Europea ha stipulato due accordi che prevedono misure seriamente restrittive verso i richiedenti asilo, prima con la Turchia e poi con l’Afghanistan. Fermo restando che l’Unione Europea si è assicurata che gli Stati stipulanti tali accordi rispettino gli standard internazionali di sicurezza nei confronti dei rifugiati, solo il tempo dirà quali risultati concreti scaturiranno da queste misure.[/box]

Foto di copertina di ResoluteSupportMedia rilasciata con licenza Attribution License

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Claudia D'Aprile
Claudia D'Aprile

Nata a Cagliari nel 1990, ho conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche e  quella specialistica in Governance e Sistema globale presso l’Università degli studi di Cagliari. Dopo  sei mesi di studio a Bruxelles presso la Vrije Universiteit  e tre esperienze di tirocinio all’estero presso due Istituti di cultura Italiani (a Budapest e a Sydney) e presso l’Ufficio Nazionale del turismo (a Stoccolma),  ho deciso di assecondare la mia grande passione per la politica internazionale e di collaborare con il Caffè Geopolitico per discutere di tematiche da me profondamente studiate e amate.  Sono socia del Rotaract Club di Cagliari, in cui ho avuto l’incarico di Segretaria e Presidente di Commissione Internazionale per due anni di fila, e sono anche volontaria per Emergency e Medici Senza Frontiere. Adoro la storia e cerco sempre l’occasione per partecipare ai dibattiti sui temi che mi appassionano, leggo anche molti report e riviste geopolitiche perché voglio sempre essere aggiornata in tempo reale sulla situazione politica riguardante i Paesi prevalentemente orientali e mediorientali.

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