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Dopo Tshisekedi cosa cambia in Congo?

La scomparsa di Tshisekedi fa perdere una decisiva pedina nella scacchiera politica congolese in una fase delicata per il Paese che per la prima volta nella sua storia post-coloniale si prepara a una transizione democratica al potere

LA FIGURA DI ETIENNE TSHISEKEDI – Lo scorso primo febbraio, a Bruxelles, è venuto a mancare all’età di 84, Etiénne Tshisekedi, storico leader e fondatore del principale partito dell’opposizione nella Repubblica Democratica del Congo, l’Union pour la Démocratie et le Progrès Social (UDPS). La RDC perde così uno dei più longevi testimoni della vita politica del Paese in seguito all’indipendenza dal Belgio (1960). La “sfinge di Limete” è stato un politico buono per tutte le stagioni. Ambizioso da giovane, primo a laurearsi in legge nel suo Paese, consigliere politico di Patrice Lumumba, ministro dell’Interno nel 1965, estensore della Costituzione nel 1967, emendata tre anni più tardi da Mobutu per instaurare una dittatura del partito unico. Nei primi anni Ottanta avviene una rapida svolta politica: Tshisekedi diventa un radicale oppositore di Mobutu, ne denuncia le violazioni dei diritti umani, fonda nel 1982 l’UDPS. Viene per questo incarcerato e perseguitato assumendo agli occhi del popolo congolese il carisma del martire. Ciononostante, in una delicata fase di crisi economica e di malumore popolare, resta una carta vincente nelle mani di Mobutu, che lo nomina Primo Ministro nel 1991 e nel 1997.

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Fig. 1 – Étienne Tshisekedi, leader dell’opposizione e fondatore dell’Union pour la Démocratie et le Progrès Social (UDPS)

Nel maggio 1997 Mobutu viene deposto e ha inizio l’era Kabila: Tshisekedi rifiuta le avances dei Kabila, criticando la deriva autoritaria della loro politica. Sfida Joseph Kabila nelle presidenziali del 2011, perde a causa di presunti brogli e si autoproclama “presidente eletto” esortando gli uomini del suo partito a disertare l’Assemblea nazionale. Dalla sua roccaforte politica di Limete, a Kinshasa, tiene unite le sparse forze d’opposizione, raggruppate dal giugno 2016 nel blocco Rassemblement des Forces Politique et Sociales de la R.D.C. Acquises au Changement (RASSOP). La fama di uomo intransigente, non disposto al compromesso, non gli impedisce tuttavia fino alla fine della sua vita di facilitare il dialogo tra maggioranza presidenziale e opposizione.

19 DICEMBRE 2016 – Il 19 dicembre 2016 il secondo mandato presidenziale di Kabila si sarebbe dovuto concludere secondo quanto stabilito dall’art. 70 della Costituzione che fissa il limite di due mandati presidenziali di cinque anni ciascuno. Allo scadere del mandato tuttavia Kabila è rimasto al potere. Non sono bastati gli appelli al rispetto dell’adempimento costituzionale formulati sin dal 2014 dalla Conferénce Episcopale Nationale du Congo (CENCO), dagli Stati Uniti, dall’UE, dal Belgio e dalle organizzazioni non governative congolesi per impedire che Kabila restasse al potere. La sua permanenza è stata avvallata formalmente dalla Corte Costituzionale che nel maggio del 2016 l’ha decretata legittima sulla base dell’ultimo paragrafo dell’art. 70 «alla fine del suo mandato il Presidente della Repubblica resta nelle sue funzioni fino all’insediamento effettivo del nuovo presidente eletto». Il calendario elettorale pubblicato nel febbraio del 2015 dalla Commission Electorale Nationale Indépendante (CENI), che fissava le elezioni presidenziali e legislative per il 27 novembre 2016, è stato definitivamente accantonato.

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Fig. 2 – Il Presidente della Conferenza Nazionale Episcopale del Congo (CENCO), l’arcivescovo Marcel Utembi in occasione di un meeting per discutere un accordo sulle modalità di transizione politica del Presidente uscente Kabila, 30 dicembre 2016 a Kinshasa

Le ragioni di questo inadempimento costituzionale sono molteplici. Certamente ha inciso la strategia del “ritardo del voto” portata avanti dallo schieramento della maggioranza presidenziale guidato dal Parti du Peuple pour la Reconstruction et la Democratie (PPRD), il quale ha anche lanciato in più occasioni l’idea di rimuovere il limite dei due mandati per via referendaria sull’esempio di quanto similarmente è avvenuto in Congo-Brazzaville, Ruanda, Burundi. L’opposizione ha rifiutato di partecipare a consultazioni con la maggioranza per arrivare a elezioni pacifiche prima della fatidica scadenza. Nel 2015, l’UPDS e il Mouvement pour la Liberation du Congo (MLC) declinarono l’apertura politica offerta da Kabila a causa della sua opposizione alla mediazione neutra e indipendente dell’ONU. Nell’ottobre del 2016, il RASSOP ha negato la partecipazione dei suoi rappresentanti ai lavori del dialogo nazionale patrocinato dall’Unione africana (UA), nella personalità dell’ex presidente togolese Edem Kodjo, conclusosi il 18 ottobre con la firma dell’Accord politique pour l’organisation d’elections apaisses, credibles et transparentes en Republique Democratique du Congo. In un conclave del RASSOP tenutosi il 4 ottobre, venne fatto appello a un più attivo coinvolgimento della comunità internazionale e dell’ONU al fine di creare le condizioni favorevoli alla convocazione di «un dialogo autentico, credibile e veramente inclusivo». Il 19 dicembre 2016 non ha chiuso i 16 anni al potere di Kabila. È stato piuttosto documentato, che dal 15 fino 31 dicembre, nel corso delle manifestazioni di protesta e di resistenza pacifica, le forze di sicurezza governative hanno fatto uso sproporzionato ed eccessivo della forza, lasciando sul terreno 40 vittime e arrestando centinaia di persone. L’ennesima conferma della continua repressione del diritto al dissenso già documentata da Amnesty International sin dal settembre del 2015.

ACCORDO DI SAN SILVESTRO – Il 31 dicembre scorso si è giunti alla firma dell’Accord politique global et inclusif du centre Interdiocésain tra le forze politiche della maggioranza presidenziale e quelle dell’opposizione, comprese quelle non firmatarie del precedente accordo patrocinato dall’Unione Africana, in cui la mediazione della CENCO si è rivelata fondamentale. Questo accordo vincola i firmatari a organizzare elezioni presidenziali e legislative entro il dicembre del 2017 e li obbliga a non intraprendere o appoggiare tentativi di modifica della Costituzione. L’accordo prevede che nel periodo pre-elettorale sia formato un governo di transizione di unità nazionale guidato da un primo ministro presentato dal RASSOP e nominato dal Presidente della Repubblica. In ottemperanza all’articolo 70 della Costituzione, l’accordo stabilisce che il Presidente Kabila resti in carica fino all’insediamento effettivo del suo successore eletto. Inoltre l’accordo prevede che vengano messe in atto azioni di “allentamento politico” (attraverso l’esame minuzioso da parte di una commissione di magistrati di alcuni noti casi di arresti e condanne di figure di spicco dell’opposizione politica e civile) e l’istituzione del Conseil National de Suivi de l’Accord et du processus électoral (CNSA) che dovrà essere guidato dal presidente del consiglio dei saggi del RASSOP.

POSSIBILI SCENARI – A distanza di due mesi dalla firma dell’accordo, la sua applicazione si sta rivelando lenta per via del disaccordo tra maggioranza (secondo cui Kabila dovrebbe avere l’ultima parola su una rosa di tre nomi proposti dal RASSOP) e opposizione (la quale vuole proporre un unico nome) sulle modalità di scelta del primo ministro. La scomparsa di Tshisekedi ha lasciato un vuoto enorme nel RASSOP. Alla guida del Consiglio dei saggi del RASSOP, nella fase di transizione, Tshisekedi avrebbe dovuto far da garante per l’implementazione dell’accordo. Sebbene lo scorso 3 marzo il figlio di Tshisekedi, Felix, indicato dal padre prima di morire come futuro primo ministro in una lettera indirizzata a Kabila, sia stato nominato presidente del RASSOP e Pierre Lumbi, leader del Mouvement social pour le renouveau (MSR) sia succeduto al vecchio Tshisekedi nella posizione lasciata vacante, ancora poco chiaro risulta quale nome verrà proposto dall’opposizione per la carica di Primo Ministro.

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Fig. 3 – I funerali del leader dell’opposizione Etiénne Tshisekedi nella Basilica di Koekelberg a Bruxelles, celebrati il 9 febbraio 2017. Tshisekedi è deceduto il 1 febbraio 2017 scaraventando la Repubblica Democratica del Congo in un ulteriore periodo di incertezza 

Due i possibili scenari: Kabila potrebbe riuscire a logorare un’opposizione indebolita dalla scomparsa del suo principale fattore di unità, Tshisekedi, fino ad ottenere una rosa di nomi su cui avere l’ultima parola oppure l’opposizione potrebbe servirsi del ricatto, secondo il quale il corpo di Tshisekedi non tornerà in patria se prima non verrà formato il governo di transizione. Altri punti interrogativi pesano sul processo di transizione: il possibile ruolo riservato alla CENCO, la definizione del calendario elettorale, la messa in sicurezza delle regioni orientali del Paese prima delle elezioni. Resta da chiedersi se si invertirà la tendenza governativa a reprimere con la forza i dissidenti e a chiudere i mezzi di informazione e se si verificherà l’allentamento politico promesso di alcuni rilevanti casi di persecuzione di avversari politici: è il caso di Moise Katumbi, figura in forte ascesa nell’opposizione, possibile successore di Etienne Tshisekedi.

Salvatore Loddo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Avevamo parlato della situazione in Repubblica Democratica del Congo anche qui e qui.[/box]

 

Foto di copertina di Foreign and Commonwealth Office rilasciata con licenza Attribution License

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Salvatore Loddo
Salvatore Loddo

Sono nato in una piccola località turistica della Sardegna nel 1985. Studi e lavoro mi hanno portato lontano. Ultima tappa è Atene, dove vivo da qualche tempo. Ho studiato filosofia a Venezia e Torino, diritti umani e “studi sul genocidio” a Londra. Ho collaborato con il Centro Studi Sereno Regis (Torino), Saratoga Foundation for Women Worldwide (New York), Philosophy Kitchen (Torino). Ho pubblicato nel 2015 La Shoah. Una guida agli studi e alle interpretazioni e articoli sulla crisi in Centrafrica e sulla “responsabilità di proteggere”. Principali aree di interesse sono la violenza politica e le strategie di prevenzione, la trasformazione non violenta dei conflitti e le innumerevoli forme di rappresentazione della violenza estrema.

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